Scheda film
Regia e Sceneggiatura: Alicia Scherson
Soggetto: tratto da “Un romanzetto Lumpen” di Roberto Bolaňo
Fotografia: Ricardo De Angelis
Montaggio: Soledad Salfate e Ana Àlvarez Ossorio
Scenografie: Tim Pannen, Marta Zani e Sebastián
Costumi: Carola Espina
Musiche: Caroline Chaspoul e Eduardo Enrìquez
Suono: Bernd Hackman, Piero Fancellu e Alfonso Segura
Italia/Cile/Germania/Spagna, 2013 – Drammatico – Durata: 94′
Cast: Manuela Martelli, Nicolas Vaporidis, Luigi Ciardo, Alessandro Giallocosta, Daniela Piperno, Pino Calabrese, Patricia Rivadeneira, Rutger Hauer,
Uscita: 19 settembre 2013
Distribuzione: Movimento Film
Sale: 6
To Rome With Hate
Al di là dei meriti (si contano sulle dita di una mano) e dei demeriti (tanti) riscontrabili, Il futuro di Alicia Scherson ha dalla sua parte un’importante carta da spendere sul mercato internazionale che permette di fatto al film di vantare, almeno sulla carta, un prestigioso primato. Quella scritta e diretta dalla regista dei pluri-premiati Play e Turistas è, e rischia seriamente di rimanere (purtroppo visti gli esiti), la prima e ultima trasposizione cinematografica di un romanzo di Roberto Bolaňo. Respinti i numerosi attacchi sferrati dalle Majors a stelle e strisce (e non solo) a suon di dollari fumanti, rimandate al mittente le non poche offerte giunte negli anni, viene da chiedersi come la Scherson e il produttore Bruno Bettati siano riusciti a convincere gli eredi, nonché proprietari dei diritti di sfruttamento dell’opera omnia di Bolaňo, a cedere quelli relativi ad uno dei romanzi (tra i 12 complessivamente realizzati) più affascinanti e misteriosi firmati dal celebre scrittore cileno, ossia “Un romanzetto Lumpen”. Risaputa è, infatti, la severissima politica messa in atto dai detentori dei suddetti diritti a partire dalla dipartita dello scrittore avvenuta nel luglio del 2003 per preservarne e rispettarne il valore e la memoria, che ha portato gli stessi, almeno fino ad oggi, a resistere alle innumerevoli tentazioni legate agli elevati introiti che ne potevano derivare. Basterebbe questo a solleticare la curiosità e l’interesse nei confronti de Il futuro, che proprio di quell’opera è l’adattamento per il grande schermo.
Dopo la distribuzione nel mercato estero e un più che apprezzabile percorso nel circuito festivaliero che l’ha portata a partecipare alle recenti edizioni del Sundance e di Rotterdam, l’ultima fatica dietro la macchina da presa della Scherson approda nelle sale nostrane a partire dal 19 settembre con Movimento Film in una ventina di copie. Scritto durante un soggiorno a Roma e ambientato proprio nella Capitale, “Un romanzetto Lumpen” è la storia di due fratelli adolescenti di nome Bianca e Tomàs che, rimasti orfani all’improvviso, si addentrano progressivamente in una vita tra crimine e prostituzione spinti da due delinquenti locali che si fingono loro amici. La speranza arriva personificata in Maciste, ex stella del cinema, vecchio, cieco e affascinante. Un uomo tutto muscoli e dal cuore grande che sarà in grado di far sentire Bianca al sicuro e farle vedere quella luce di cui la ragazza ha bisogno per affrontare il futuro.
Si tratta di una sinossi che sulla carta, alla pari di quella che animava la matrice originale, lascia presagire risvolti interessanti e soprattutto una base drammaturgica dall’enorme potenziale. Purtroppo, come già anticipato, l’adattamento non riesce a restituire la bellezza, la poesia e la magia che pervadono il libro dalla prima all’ultima pagina. Questo perché la regista cerca di rimanere il più possibile fedele ad un testo la cui straordinaria forza immaginifica, va di pari passo con la complessità di una scrittura che ha davvero pochissimi eguali e precedenti nell’intero panorama letterario contemporaneo. Va detto per onestà che il tentare di tramutare in immagini e suoni la materia letteraria astratta di Bolaňo è impresa ardua, per cui il fatto di esserci quantomeno riusciti senza scadere nel ridicolo è già un bel traguardo. Tuttavia ciò non è sufficiente a cancellare l’idea che si tratti di un’occasione letteralmente divorata da coloro che hanno avuto il privilegio di misurarsi con la penna dello scrittore cileno. Ed è proprio la scelta di non prendere le dedite distanze dal romanzo a decretare a nostro avviso il parziale fallimento del film. Ennesima riprova che difficilmente, salvo rare eccezioni, da un buon libro possa nascere un buon film. Il futuro scivola, infatti, sotto la sufficienza nonostante qualche intuizione avuta in fase di scrittura e durante le riprese, come ad esempio quella di accostare alla visione da cartolina filtrata da Bolaňo, costellata da luoghi e paesaggi riconoscibili, un controcampo su una Roma periferica e più nascosta, che porta sullo schermo scorci inediti di una metropoli scissa. Da questo punto di vista, tale accostamento consente alla pellicola di restituire al fruitore cinematografico la medesima sensazione di pura scoperta che animava le parole di Bolaňo, ossia quelle di uno straniero che arriva per la prima volta nella città eterna e ne rimane folgorato. In tal senso, la Scherson fa decisamente meglio del Woody Allen del pessimo To Rome With Love.
Da parte sua, la cineasta cilena apporta pochissimi cambiamenti che non vanno oltre il passaggio dalla prima persona alla terza (alcuni monologhi interiori di Bianca sono presenti anche nello script sotto forma di voice over) e l’aggiunta di nuove location rispetto a quelle citate nel romanzo, che nel complesso non influiscono di tanto sull’esito. Al contrario struttura narrativa e personaggi rimangono immutati. Il tallone d’Achille dell’intera operazione sta dunque nel non aver capito che il miglior modo di lavorare sulla scrittura di Bolaňo, così misteriosa, arcana, per certi versi incomprensibile e intraducibile (le descrizioni delle atmosfere e dei luoghi sono minime, accennate ma in grado di renderle comunque visibili) è quello di non provare a dargli una forma e una sostanza, piuttosto carpirne l’essenza e le intenzioni per poi interpretarle e se necessario abbandonarle definitivamente. Il futuro e la sua autrice cadono di conseguenza nella trappola e il problema è che non hanno fatto nulla per evitare di scivolarci dentro. Ne viene fuori un film che lascia l’amaro in bocca, che si dimostra incapace di mescolare i toni come faceva lo scrittore nel suo romanzo, passando dal surreale all’apocalittico, dal dramma al noir non con la medesima fluidità disarmante, che offre sprazzi di buona recitazione solo quando scende in campo un magnetico e intenso Rutger Hauer nel ruolo di Maciste, e che stilisticamente non rende giustizia al talento visivo mostrato in precedenza dalla Scherson che qui appare decisamente sottotono.
Voto: 5
Francesco Del Grosso