RECENSIONE N.1

Da qualche parte nelle suburbana America degli anni `70 vive la famiglia Lisbons; un padre inefficace (James Woods), una madre sessuofoba e amara (una Kathleen Turner coraggiosamente unglamor) ed le loro cinque belle figlie bionde. Come osservato dai ragazzi del quartiere (uno dei quali narra la storia ad anni di distanza dall’accaduto), le sorelle Lisbons non sono altro che angeli che la loro via non è degna di ospitare. E, effettivamente, le ragazze sembrano destinate al ritorno al cielo.

La prima ad indicare tali propensioni è la più giovane, Cecilia (Hanna Hall). Sua è la frase di ogni adolescente rivolta al suo medico, di mezza età e senza alcun sospetto della tragedia imminente, quando lui esprime il suo shock al di lei tentato suicidio: ” ovviamente, dottore, non siete mai stato una ragazza di tredici anni “. Cecilia lascia presto questo pianeta dopo di che la vita dei Lisbons si disfa lentamente. Accade che Lux (una splendida Kirsten Dunst), la sorella più graziosa, rimane prigioniera dell`amore del ragazzo più popolare della scuola Trip Fontaine (Josh Hartnett)) che sebbene non abbia mai desiderato nessuna così tanto (Lux rappresenta il frutto più proibito) per l’immaturità che è dell`età rompe il suo cuore già segnato. Allora la signora Lisbons decide di proteggere la sue figlie dal brutto del mondo rinchiudendole completamente. Mentre sulla famiglia vige il coprifuoco, i ragazzi locali tentano disperatamente di afferrare quel che possono dei loro angeli prima che sia troppo tardi.
Il film è stato adattato dalla regista Sofia Coppola (signora Spike Jonze), qui al suo debutto, dal romanzo di Jeffrey Eugenides (1993) che porta lo stesso titolo.
La regista è riuscita a creare un’atmosfera luminosa, eterea e sognante che ben si addice a trattare una tema come l’adolescenza. Non mancano I momenti di humor e varie citazioni (tra tutte quella del ballo di fine anno del cult “Carrie”).
Una nota particolare va data alla colonna sonora originale realizzata dal duo parigino Air, una delle band più interessanti sentite negli ultimi anni.
Giudizio 3 su 5

Alessandro Righini, dagli States

RECENSIONE N.2

“The virgin suicides” è il primo lungometraggio di Sofia Coppola, figlia di Francis Ford, il quale gli mette a disposizione i soldi per produrre un film interessante a metà, senza nerbo, pleonastico. E’ la storia di 5 sorelle, in qualche modo diverse dalle altre, raccontata nel periodo cruciale dell’adolescenza: dovranno subire le pedanterie dei genitori, la scoperta del sesso, la crudeltà e la sofferenza del mondo esterno, la solitudine dell’isolamento, e cercheranno la loro via di fuga nella morte.
Premesse ambiziose, e in effetti c’era da aspettarsi qualcosa di più nel risultato finale. Ma cerco di dare un ordine.
Struttura da racconto di formazione, dove le figure maschili si contrappongono alle angeliche 5 sorelle: due mondi differenti narrati da una donna, e lo sguardo femminile si sente, soprattutto nella descrizione dei rapporti interpersonali, nell’atmosfera vagamente surreale e leggera ma al tempo stesso terribilmente opprimente. Peccato che la regia latiti in modo permanente, se non in qualche rara scena di impatto maggiore. Si lascia trasportare in cadute di tono insopportabili (il ballo della scuola), in facili – e inspiegabili – espedienti narrativi (l’intervista all’amico), in sequenze prive di ritmo (la festicciola), in argomenti visti e rivisti (i genitori ultra-rigorosi), nonchè in una narrazione lambiccata e frammentaria, soprattutto nella seconda parte. Lo sguardo è sottile, ammiccante, ispiratorio, ma proprio quando dovrebbe essere vigoroso ed energico, si ha l’impressione che la regista perda il controllo della macchina da presa, aggrappandosi ai suoi personaggi, che purtroppo non hanno lo spessore necessarrio a reggere un film. Ecco quindi che si slancia in inutili osservazioni ruffiane (le 5 ragazze, ormai rinchiuse in casa, assaporano la “libertà” con la musica), o in parentesi simil-oniriche (la scena finale nella villa). Insomma, un film che nasce in maniera interessante, ma che muore molto presto, bruciato dalle ambizioni e dalla voglia di essere diverso. Bravissime le 5 ragazze.

Andrea D’Emilio (Travis)

RECENSIONE N.3

Come capita tutte le volte che si trae un film da un libro che si è molto amato, temevo il peggio. Invece, un pieno successo. Le Vergini Suicide di Jeffrey Eugenides (leggetelo assolutamente, c’è anche in edizione economica) è stato uno dei romanzi americani più belli degli anni 90, un esordio di quasi stupefacente bravura e sicurezza. In tutto il libro non vi è una sola frase fatta, una sola immagine usurata, un solo giudizio affrettato o moralistico. E’ anche l’unico romanzo che conosca con un narratore in prima persona plurale – una specie di portavoce del ‘noi’, del gruppo di ragazzini che dopo vent’anni non si è ancora ripreso dal suicidio collettivo delle 5 sorelle Lisbon (non è uno spoiler, dato che ci viene detto dopo un paio di minuti).
La prosa del romanzo è precisa e colorata, gonfia di dettagli apparentemente precisi – l’effetto ricorda un poco Escher, ci vogliono molte pagine per rendersi conto che la storia si svolge verso la metà degli anni 70 e non negli anni 50 o in un vicino futuro. Il film non può rendere l’accumuluzione di dettagli ed interpretazioni – si capisce subito dove e quando ci troviamo – a Grosse Pointe, Michigan, un suburb quasi elegante di Detroit – ma ottiene il suo effetto di straniamento grazie ad un uso enfatico e virtuosistico della luce, all’utilizzo di piccoli trucchi che più che al cinema richiamano alla pubblicità di quegli anni, all’assenza di ogni ironia nella ricostruzione d’epoca, all’uso della voce fuori campo adulta che fa procedere l’azione da un quadro all’altro (non era possibile altra soluzione, se si voleva mantenere lo spirito del romanzo).

Non c’è molta trama. Non c’è neppure molto dialogo: si tratta di adolescenti dolorosamente inarticolati, l’imbarazzo è il sentimento predominante in tutti i personaggi a parte le sorelle. La bellezza eccessiva delle sorelle Lisbon sconvolge la vita di tutti, in modi tutt’altro che ovvi. Il loro suicidio appare immotivato: la severità dei genitori (un patetico James Woods ed una matronale Kathleen Turner) è tanto ottuso quanto velleitaria. Sappiamo benissimo che le sorelle potrebbero sfuggirgli in qualsiasi momento. La loro è una tragedia del solipsismo, della self-absorption: sono così più sagge dei ragazzini ossessionati che cercano disperatamente di capirle (e continuano a provare anche da adulti, le loro vite rese squallide e inutili dal flash di quella tragedia adolescienziale) che finiscono per trovare il mondo e la vita del tutto inadeguati alla loro sensibilità. “L’essenza di quei suicidi non era la tristezza, non era il mistero, ma un puro e semplice egocentrismo. Le ragazze si erano arrogate decisioni che spettavano a Dio. Erano diventate troppo potenti per vivere fra noi, troppo preoccupate di se stesse, troppo visionarie, troppe cieche… Non potevamo nemmeno immaginare il vuoto di una creatura che si apre le vene dei polsi con un rasoio, il vuoto e la calma… l’oltraggio di una creatura che pensa solo a se stessa.” L’immagine delle quattro sorelle abbandonate l’una sull’altra sul tappeto dopo il primo suicidio, quello di Cecilie, colpisce molto. La forza e la sensibilità femminili, elevate all’ennesima potenza, diventano autodistruttive: le sorelle appaiono sempre calme e sicure e soprattutto consapevoli, a differenza di tutti gli altri. Oltre a Woods ed alla Turner appaiono anche Danny De Vito e Scott Glenn ed il re degli straight-to-video Michael Pare’. Ma i veri protagonisti sono gli attori adolescenti, in particolare Kirsten Dunst come Lux, la più affascinante delle sorelle, e Josh Harnett come Trip Fontaine, il seduttore della scuola che finirà per ‘provocare’ la tragedia finale. La Sofia Coppola di New York Stories ed il Padrino III è felicemente dimenticata: non era la sua strada. Se questo esordio registico è tutto farina del suo sacco – il padre figura come produttore – abbiamo una nuova regista da seguire. Non solo per l’ambientazione ma questo film mi ricorda il meraviglioso Dazed & Confused di Richard Linklater (uscito in Italia come La Vita è un Sogno). La colonna sonora degli Air, sofisticata ed insinuante, aggiunge moltissimo al film, come pure la scelta di brani easy-listening di quel periodo.

Stefano Trucco