Tom Ripley, personaggio culto della scrittrice Patricia Highsmith, ha gia’ ispirato Wim Wenders con “L’amico americano” e Anthony Minghella con “Il talento di Mr. Ripley”. Rispetto al film di Wenders, Liliana Cavani sposta l’azione in Italia e sostituisce la mafia italiana con quella russa. Ma cio’ che sembra interessare maggiormente la regista sono le dinamiche psicologiche che si creano tra i personaggi. Un sottile gioco al massacro, nato per capriccio e destinato a concludersi tragicamente. Il protagonista, colto, pacato, elegante, raffinato, ma privo di qualsiasi coscienza in grado di rielaborare le azioni compiute, e’ quella faccia da magnifico bastardo di John Malkovich. Un attore cui basta muovere un sopracciglio per trasmettere ambiguita’ e fascino.
Scelta che si rivela fin troppo facile, ma perfetta per trasmettere la calamitante fascinazione di un lato oscuro in cui male e bene convivono senza rassicuranti distinzioni. Oltre all’approccio attento alla psicologia dei personaggi, funziona pero’ anche il livello puramente narrativo della storia thriller, in cui un uomo qualunque si trova per caso (o necessita’?), comunque inaspettatamente, a diventare un assassino. Suggestiva l’ambientazione italiana, che sceglie la provincia veneta generalmente poco sfruttata al cinema, serrata la sceneggiatura e morbidi i movimenti della macchina da presa, con una regia non invasiva ma mai casuale. Puramente decorativa la presenza di Chiara Caselli.

Luca Baroncini