Scheda film
Titolo originale: The Notebook
Regia: Jànos Szàsz
Sceneggiatura: Tom Abrams, Andràs Szekér, Jànos Szàsz
Fotografia: Christian Berger
Montaggio: Szilvia Ruszev
Scenografia: Gergely Csòri
Costumi: Jànos Breckl
Musiche: James Apollo, Manuel Laval
Ungheria/Germania/Austria/Francia – Drammatico/Bellico – Durata: 112’
Cast: Làszlò Gyémànt, Andràs Gyémànt, Piroska Molnàr,
Ulrich Thomsen, Ulrich Matthes, Diàna Kiss, Orsolya Tòth
Uscita: 27 agosto 2015
Distribuzione: Academy Two

Sale: 12

Due gocce d’acqua in un mare in tempesta

Ci sono voluti due anni, ma per fortuna l’Academy Two ha deciso di portare sui nostri schermi Il grande quaderno, trasposizione cinematografica del primo dei tre romanzi (“La prova” e “La terza menzogna”) firmati dalla compianta scrittrice ungherese naturalizzata svizzera Àgota Kristòf che vanno a comporre la “Trilogia della città di K”. Nel mentre però un bel po’ di acqua è passata sotto i ponti, a cominciare dalla vittoria del Globo di Cristallo a Karlovy Vary, la partecipazione in concorso al Giffoni Film Festival e soprattutto la designazione come rappresentante magiaro nella corsa alla statuetta come miglior film straniero nel 2014. Ma come si dice, meglio tardi che mai, anche se quel tardi significa 27 agosto, ossia negli ultimi vagiti della stagione balneare e a qualche giorno dall’apertura della 72esima Mostra di Venezia. Data a parte, l’importante è che la pellicola diretta da Jànos Szàsz sia riuscita a ritagliarsi uno spazio nella poco meritocratica programmazione cinematografica italiana, perché è di quelle opere che vanno assolutamente viste per tutta una serie di motivazioni che proveremo qui di seguito a elencare.
Cominciamo con il dire che l’ultima fatica dietro la macchina da presa di Szàsz, che rompe di fatto un silenzio che durava dal 2007, anno di Opium, ha le radici narrative e drammaturgiche che provengono direttamente dalle pagine di un romanzo di straordinaria potenza, della quale la pellicola è una fedele trasposizione. In tal senso, il cineasta ungherese segue alla lettera il percorso tracciato dalla Kristòf nel 1986, sia in termini di racconto che di personaggi e ambientazione, decidendo di tradirlo solo in sporadiche occasioni per esigenze tecniche e di scrittura. Scelta a nostro avviso saggia, vista la natura dichiaratamente cinematografica del testo. Il regista magiaro, non nuovo ad adattamenti (vedi quella del Woyzeck), coglie sia l’anima che il corpo dell’opera letteraria, portando sul grande schermo un film capace di trasformare in immagini, suoni e parole, tanto la superficie quanto le diverse stratificazioni che vi sono al di sotto. Di riflesso, lo spettatore si trova a fare i conti con tutto quel “magma incandescente” di temi, riflessioni, emozioni, sensazioni e situazioni, che la scrittrice ha saputo imprigionare su carta e che Szàsz ha poi così abilmente condensato nelle quasi due ore che vanno a comporre la timeline. Capita raramente, infatti, che le trasposizioni riescano ad eguagliare la bellezza e la forza intrinseche delle matrici dalle quali provengono e quella de Il grande quaderno è una di queste. Già questo rappresenta un primo e ottimo motivo per catapultarsi nella sala più vicina.
C’è poi la solidità di un film che nel suo complesso ha solamente qualche flebile segno di cedimento nella parte centrale, compensati però dall’eccellente lavoro di regia e di recitazione che Szàsz e l’intero cast (a cominciare dai due giovani protagonisti e da Piroska Molnàr nel ruolo della nonna materna) hanno donato all’operazione. Quei passaggi a vuoto finiscono così con l’essere fagocitati e nascosti da quanto fatto dietro e davanti la macchina da presa. Entrambe le componenti permettono al film di sprigionare sullo schermo tutto l’orrore e la ferocia che trasudano dall’opera letteraria, un romanzo di formazione che non ha timore di dire e di mostrare, crudo e coraggioso quando si tratta di rappresentare quello che scorre nelle menti e davanti agli occhi dei due gemelli protagonisti, costretti a crescere in un habitat dove le violenze e le umiliazioni sono all’ordine del giorno. Un habitat (la casa della nonna materna in quel di Koszeg, piccola cittadina nella campagna ungherese durante la Seconda Guerra Mondiale), questo, nel quale dovranno imparare a sopravvivere auto-imponendosi delle “regole” di comportamento che ovviamente non possiamo rivelarvi, ma che li porteranno a regredire e allo stesso tempo a cercare di mantenere intatta la purezza e la dolcezza che li ha contraddistinti nei primi anni vita.
Terzo buon motivo, ma non in ordine di importanza, il fattore catartico che un film come Il grande quaderno è in grado di far scaturire nello spettatore di turno, letteralmente travolto da un’aspirale che esplora le spettro di emozioni umane. Di conseguenza, il fruitore si trova a fare i conti nel giro di un battito di ciglia con le gioie e i dolori di due ragazzi scaraventati senza se e senza ma in un inferno terreno quotidiano scavato tra le macerie materiali e quelle umane.

RARO perché… già, perché?!

Voto: 8

Francesco Del Grosso