L’ultima fatica di Frank Darabont, regista de “Il Miglio verde” (film snobbato agli oscar nonostante diverse candidature) è un film assai particolare: 3 ore di durata per narrare una storia tutto sommato affascinante, nonostante alcune cadute di tono. Il film, ambientato negli anni ’30, narra la curiosa esperienza vissuta da Paul Edgecomb (Tom Hanks in forma), guardia carceraria nel braccio della morte di un penitenziario della Louisiana. Coscienzioso nel suo mestiere, non per questo è incapace di compassione. La sua amicizia imprevista con un nero gigantesco, condannato a morte per l’omicidio di due bambine e le
misteriose doti sciamaniche del presunto criminale (della cui colpevolezza Edgecomb comincia a dubitare), porteranno nel Miglio verde ( il braccio della morte del carcere) prodigi soprannaturali ed improvvisi “corto circuiti” umani tra i vari protagonisti ( non tutti umani!) della storia.
Il film si nutre di rimandi a generi cinematografici assai lontani, come il noir degli anni 40 e il cinema fantastico/new age dei nostri tempi ed affascina per la sua ricchezza e la capacità di stupire uscendo dai cliché del genere carcerario. A tratti duro, a tratti dolce, a volte terrificante, a volte tenero. Il tutto è condito da una vena “liberal” (condanna della pena di morte, come evento disumanizzante per eccellenza, una considerazione su tutte: la scelta del regista di mostrare “in diretta” le sentenza capitali) che appartiene al regista già autore di “Le ali della libertà”. Entrambi i film sono tratti da opere di S.King: difficile ipotizzare una semplice coincidenza, più probabile una evidente sintonia spirituale tra i due artisti. Entrambi i film peccano, forse, un po’ sul piano registico: regia abbastanza piatta, la storia prevale di gran lunga sul “come” viene raccontata. Questo limite, insieme alla prolissità del regista ed ad alcune cadute nel banale, come il finale tutto sommato prevedibile e scontato, fanno del “Miglio Verde” certamente uno dei film più interessanti della stagione, ma con quella sensazione di incompiutezza che solo i mancati capolavori sanno avere.
Vito Casale