Scheda film
Titolo originale: Tale of Tales
Regia: Matteo Garrone
Sceneggiatura: Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Matteo Garrone, Massimo Gaudioso
Fotografia: Peter Suschitzky
Montaggio: Marco Spoletini
Scenografie: Dimitri Capuani
Costumi: Massimo Cantini Parrini
Musiche: Alexandre Desplat
Produzione: Archimede, Le Pacte, Rai Cinema
Italia/Francia/Regno Unito, 2015 – Fantasy – Durata: 128′
Cast: Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Stacy Martin, Alba Rohrwacher, Bebe Cave
Uscita: 14 maggio 2015
Distribuzione: 01 Distribution
Meravigllusu Basile
Quando sono filtrate nell’ambiente le prime indiscrezioni riguardanti il nuovo progetto di Matteo Garrone, lo stupore mescolato a una bella dose di scetticismo per la scelta operata hanno iniziato da subito a serpeggiare fra gli addetti ai lavori. Nonostante il regista capitolino abbia abituato sin dagli esordi il pubblico a un passaggio continuo da un genere a un altro, che gli ha permesso di variare l’offerta e di diventare uno degli esponenti più versatili del panorama cinematografico nostrano, il fatto che abbia deciso di misurarsi con un fantasy è apparso agli occhi degli spettatori anche più ottimisti come un vero e proprio triplo salto mortale carpiato. Di conseguenza, si è arrivati alla visione de Il racconto dei racconti con un carico di attesa misto a pregiudizio. L’esito ovviamente ha sciolto tutti i possibili interrogativi, spaccando la critica in due opposte fazioni: da una parte coloro che non hanno gradito e dall’altra chi, come noi, ha apprezzato moltissimo l’operazione nella sua interezza.
Per onestà, nonostante la grande stima nei confronti di Garrone e del suo cinema, il nutrire dei forti dubbi sulla scelta di trasferire sul grande schermo una pietra miliare della letteratura fantasy del Seicento come “Lo Cunto de li Cunti” (pubblicata postuma tra il 1634 e il 1936) di Giambattista Basile erano più che leciti. Per cui, non ci sentiamo di salire sul carro dei vincitori, perché come tanti altri abbiamo atteso la visione prima di sciogliere ogni dubbio ed esprimere un giudizio a riguardo. Ora possiamo scendere in campo a difesa di quella scelta che inizialmente ci era sembrata azzardata, per non dire folle. I dubbi venivano dal DNA della matrice originale, che ha messo Garrone nelle condizioni di doversi misurare con un qualcosa che ci è sembrato non appartenergli per niente e con il quale non aveva nulla da spartire per una serie di motivi, a cominciare dal metodo di lavorazione portato avanti sino a questo momento, diventato un marchio di fabbrica del cinema garroniano: troupe ridotta al minimo, riprese in ambienti reali e in continuità, uso della cinepresa a spalla, del sonoro in presa diretta e di attori non professionisti. Ne deriva un cinema aperto all’improvvisazione, che rifiuta la spettacolarità fine a se stessa per mettersi al servizio della realtà. Un film come Il racconto dei racconti, invece, lo ha costretto a rivedere completamente il suo modus operandi. Qui se la deve vedere, infatti, con un tipo di cinema votato alla spettacolarità, con la gestione di un cast composto da star internazionali del calibro di Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones e John C. Reilly, ma anche con un modo totalmente diverso di filmare (sontuosi e chirurgici movimenti di macchina che disegnano geometrie nei grandi spazi a disposizione, alternati a pedinamenti in steadycam), con il consistente aiuto della computer grafica e con una lingua che non è la sua, ossia l’inglese. Ma questa marea di cambiamenti non lo travolge, al contrario gli dà una nuova spinta propulsiva e l’opportunità di mettere ancora più in vetrina le sue enormi capacità di regista e narratore.
Il cineasta romano è riuscito a trovare una chiave personale anche in un’opera che per caratteristiche ed esigenze drammaturgiche e tecniche appariva lontana anni luce dal suo modo di concepire e dare forma alla Settima Arte. Per farlo, prende in prestito tre delle cinquanta fiabe contenute nella raccolta dello scrittore partenopeo e come i fratelli Taviani con le novelle di Boccaccio, ma con esiti di ben altra caratura, le riadatta liberamente. Evita con intelligenza di perdersi fra le pagine dei libri, scegliendo tre storie al femminile (“La regina”, “La pulce” e “Le due vecchie”) che mettono al centro dei rispettivi plot altrettante donne colte nelle diverse fasi della vita: una ragazzina sognatrice, una madre viscerale e gelosa, una vecchia ingenua. Garrone e il suo gruppo di sceneggiatori al seguito saltellano abilmente da una storia all’altra senza che nessuna prenda mai il sopravvento drammaturgico sull’altra, trovando strada facendo persino dei punti di intersezione in grado di restituire un corpus unico, equilibrato e compatto (l’epilogo nel cortile di Castel del Monte e la famiglia circense che ritroviamo in tutti e tre i racconti mentre gira col suo carrozzone di villaggio in villaggio, di castello in castello). Ne viene fuori una narrazione scorrevole, che dopo un tentennamento iniziale ingrana finalmente la marcia, trascinando lo spettatore di turno in un vortice sempre più coinvolgente di emozioni, registri e toni. Si passa così in un battito di ciglia dal comico al tragico, dal reale al fantastico, dal grottesco al macabro. Il tutto spalmato su una timeline che si muove senza soluzione di continuità tra il realismo e la dimensione fantastica, con tanto di archetipi rivisitati e una serie di pennellate orrorifiche che accelerano il ritmo. E per trasformare in immagini tutto questo carico di suggestioni e intenzioni, Garrone si affida alla fotografia di Peter Suschitzky e alle musiche di Alexandre Desplat, ma soprattutto ai suoi trascorsi da pittore che gli hanno suggerito di ispirarsi alla serie di incisioni di Francisco Goya dal titolo “Capricci” che con le pagine di Basile sembrano avere delle vere e proprie affinità elettive.
Le storie raccontate permettono a Garrone di parlare di temi come la nascita, la morte, il sacrificio e il desiderio di cambiamento. Pur se datate, le tre fiabe sono per contenuti e messaggi ancora straordinariamente moderne, poiché capaci di cogliere alcune ossessioni contemporanee: la smania per la giovinezza e la bellezza, il desiderio morboso di una madre pronta a tutto pur di avere un figlio, il conflitto generazionale e la violenza che una ragazza deve affrontare per diventare adulta. Proprio le ossessioni diventano il comune denominatore del film, alcune delle quali (vedi la trasformazione del corpo) hanno animato le precedenti performance dietro la macchina da presa del pluri-decorato cineasta romano (una su tutte Primo amore, dove troviamo un uomo ossessionato dalla magrezza femminile e dal desiderio di controllo assoluto sull’essere amato). La bravura di Garrone sta proprio nell’aver saputo cogliere questa modernità tra le pagine di Basile, pagine che sino ad oggi erano semisconosciute ai tanti, ma che tra le righe passano in rassegna tutti gli opposti della vita e gran parte delle sue innumerevoli sfumature.
Dunque, i grandissimi meriti che gli vanno riconosciuti, al di là che il risultato piaccia oppure no, sono quelli di aver reso finalmente giustizia a un autore inspiegabilmente ignorato, di averne saputo carpire l’essenza, di non aver scopiazzato i fantasy a stelle e strisce o anglosassoni, ma soprattutto di essersi preso tutti i rischi del caso (un po’ come accaduto anni or sono con Gomorra), dimostrando un coraggio che in pochi altri connazionali possono vantare, ossia quello di aver voluto rimettere tutto in gioco, compresa la credibilità e i crediti conquistati da L’imbalsamatore in poi. Per quanto ci riguarda la scommessa la si può considerare vinta, ma bisogna aspettare la risposta del box office e vedere quale sarà l’accoglienza che la platea di Cannes riserverà alla pellicola nel giorno della sua presentazione, ossia il 14 maggio, data scelta dalla 01 Distribution per il lancio nelle sale italiane. Staremo a vedere.
Voto: 8
Francesco Del Grosso