Dopo aver rifiutato il sequel di “Fast & Furios”, il neo-divo Vin Diesel e’ star assoluta del lungometraggio di F. Gary Gray (lo stesso di “The Italian Job”, ora sugli schermi, e del precedente “Il negoziatore”). Una banale storia di droga che si trascina senza guizzi tra i luoghi comuni del gia’ visto. L’orribile titolo italiano evoca pratiche contabili, ma si riferisce al ruolo rivestito dal protagonista: un poliziotto che, dopo avercela messa tutta per stare dalla parte della legge, quando gli uccidono la moglie decide di farsi giustizia da solo, in barba a qualsiasi regola di convivenza civile.
La vendetta diventa il suo scopo di vita, come se si trattasse dell’episodio 548 de “Il giustiziere della notte”. Unica variante, il legame di amicizia con un poliziotto, che continua ad essergli vicino anche quando viene radiato dall’ordine per i suoi modi psicotici. Non piu’ un eroe solitario, quindi, come vorrebbe il mito, ma pur sempre un eroe, che in base alla solita logica fascistoide sublima nella vendetta la rabbia e il dolore e riesce pure a far trionfare il “bene”. Ma Charles Bronson non e’ l’unico modello del film. La particolare complicita’ che si crea tra il protagonista e il boss in prigione Memo Lucero, ricorda infatti, in superficie, il rapporto tra Hannibal e Clarice ne “Il silenzio degli innocenti”. Ma le sfumature psicologiche non hanno certo modo di esprimersi, perche’ e’ l’azione il fine ultimo del film. All’inizio si vorrebbe pensare (senza particolari entusiasmi) a una nuova pagina sul traffico di droga lungo il confine tra Stati Uniti e Messico (bella la scena in cui si vedono tranquille signore che preparano la droga come se stessero setacciando farina), ma la sceneggiatura opta presto per le tinte forti. Le interminabili sparatorie e gli inseguimenti soffrono pero’ di una messa in scena confusa e caotica e lo spettatore, non avendo modo di capire cosa stia effettivamente accadendo, deve limitarsi ad attenderne gli esiti. Dopo una prima parte ricattatoria (la famigliola eccessivamente felice) ma pur sempre solida, lo script si sfilaccia progressivamente, imbastendo situazioni a credibilita’ zero. Difficile, ad esempio, pensare che un poliziotto che ha arrestato un super boss, e quindi famoso e temuto, riesca a fingersi uno spacciatore senza che nessuno se ne accorga. Il finale, poi, arriva senza alcun nesso logico e pare appiccicato in fretta, ma sembra che sul risultato abbiano influito divergenze produttive dell’ultima ora (le immancabili proiezioni test per misurare il gradimento del pubblico). Ma ora veniamo a lui: Vin Diesel. Continuiamo a trovarcelo nel ruolo di super-macho che non deve chiedere mai, ma dietro al fisico imponente sembra tradire un animo da “cucciolone”. Nonostante gli sforzi,infatti, la limitata espressivita’ facciale comunica piu’ spaesamento o bisogno di coccole che collera e disperazione. Da un momento all’altro, soprattutto nelle scene a piu’ alto dosaggio di “pathos”, non stupirebbe vederlo intonare una canzone di Eros Ramazzotti. Purtroppo sia lui che il film deficitano, in mancanza di originalita’ e mordente, di un elemento determinante: l’ironia.

Luca Baroncini