Regia Peter Jackson
con Elijah Wood, Sir Ian McKellen, Sean Astin, Billy Boyd, Orlando Bloom, Kevin Conway, Hugo Weaving, Brad Dourif, Martin Csoka, Bernard Hill, Sir Ian Holm, Christopher Lee, Dominic Monaghan, Viggo Mortensen, John Rhys-Davies, John Noble, Liv Tyler, Karl Urban, Cate Blanchett

Recensione n.1

Si chiude la trilogia e l’epica saga cinematografica dell’Anello si è compiuta (in attesa del DVD con l’extended version. E ci sarà mai un film da L’Hobbit?).
Il terzo film mantiene tutte le sue promesse: spettacolo, emozioni, tensione.
Impossibile annoiarsi, nonostante la smodata lunghezza (più di 3 ore).
L’assedio di Gondor, l’ingresso a Mordor, l’ascesa a Monte Fato…Alcune scene di guerre prese pari pari da L’Impero colpisce ancora.
Il libro è stato più volte smentito, tagliato, dimenticato, ma non se ne sente troppo la mancanza, soprattutto in tutta la parte finale.
L’ironia di Gimli riesce ad esempio a stemperare la tensione nei momenti caldi, più che nel libro, e alcuni episodi sono addirittura superiori (la visita alla valle dei morti).
Scenografia ed effetti speciali sono al massimo, ma anche il lavoro di sceneggiatura è notevole: che sia l’anno buono per l’Oscar? se andasse al buon Sam (certamente più convincente di Sean Penn in 21 Grammi) non avremmo nulla da ridire.
Peter Jackson è riuscito in un’impresa titanica, e merita ampiamente la nostra ammirazione e giusti riconoscimenti.
Grazie, Peter!

Vito Casale

Recensione n.2

Il signore degli anelli il ritorno del reNell’infanzia di ognuno di noi, abbiamo avuto nostro padre e nostra madre che ci hanno raccontato delle fiabe, coinvolgendoci con particolari fantastici e infinite vicende che facevano dei personaggi, dei piccoli Virgilio che ci conducevano in mondi lontani ed astratti facendoci vivere emozioni che probabilmente mai più avremmo provato. “Il signore degli Anelli – il ritorno del Re”, ha compiuto con la nostra immaginazione lo stesso lento processo, affascinando il bambino nascosto dentro la nostra anima, costruendo mattone dopo mattone città che non avremmo potuto sognare nemmeno durante i sonni più onirici. Tre ore e mezzo di pura emozione che si trasforma in un trance che coinvolge lo spettatore nel fuoco e nel vento della Terra di mezzo, luogo non luogo di personaggi eroi nel cuore ma non nell’aspetto, e quando sono eroi nell’essere si inchinano a chi non sembra dimostrare nei modi di fare i poteri dell’assoluto.
“Il Signore degli Anelli”, la Trilogia, è prima di tutto un film sull’amicizia, su un piccolo gruppo di persone che credono in un ideale unico e comune che genera un solo amore che connette l’uno con l’altro attraverso un legame circolare come l’oggetto, l’anello, obiettivo e brama del bene e del male. “Per Frodo” grida Aragorn, portavoce eletto della compagnia, e in quel momento si capisce che quelle due parole sono il senso del film e il significato del cinema, quando l’epica prende per mano la fantasia e conquista lo sguardo. Raccontare la storia della terza parte del “Signore” è poco funzionale e non soddisferebbe certamente detrattori e amanti della favola di Tolkien, tuttavia c’è un mentore e un creatore in questo immenso progetto. E’ il regista Peter Jackson che ha costruito nella sua Nuova Zelanda, un regno che non c’è, facendo uso delle più avanzate tecniche cinematografiche per realizzare la sua visionarietà. “Il ritorno del Re”, ancora più dei suoi due predecessori è un film visto dall’alto che ha nella verticalizzazione delle riprese l’”occhio che guarda”. La vertigine, i piani sequenza, che conducono di fuoco in fuoco sulle vette delle montagne, la ripidissima scala per Mordor, rimangono impresse nelle menti forse più di chi si muove all’interno di questi spazi. Le atmosfere buie e poi solari sono gli elementi divisori delle storie parallele dei singoli personaggi, che Jackson orchestra perfettamente per compiere il suo progetto, e il montaggio, che non concede tregua mantenendo viva la tensione in ogni secondo, non tradisce mai la sua natura di cineasta d’autore e lo innalza all’Olimpo della Settima Arte, che nel grande schermo ha il suo palco, occhieggiando a George Lucas, che prima di lui, aveva reso in modo così limpido la fantasia ai giorni nostri.
Gli attori, all’interno di questo meccanismo, rappresentano semplici interpreti di una filosofia superiore al servizio di un burattinaio buono che li guida illuminando la loro strada. Solo due escono allo scoperto per meriti e caratteri differenti. Sono Gollum e Sam. Il primo sostiene con la doppia personalità e la voce suadente e inquietante un ruolo che pochi avrebbero saputo sostenere. E’bianco e nero, cupidigia e rispetto, sintesi della natura dell’anello. Senza di lui, “sherpa del fantastico”, i nostri eroi non avrebbero percorso la strada verso la salvezza.
Il secondo, Sam, sarebbe stato un hobbit qualunque, un piccolo “uomo” medio. Il coraggio, che minuto dopo minuto cresce in lui e scaturisce in un momento cruciale, lo innalza a emblema della trilogia, dimostrando, come un regista venuto dal luogo più lontano del mondo, che si può essere grandissimi davanti al mondo reale.

Mattia Nicoletti

Recensione n.3

Piu’ che un film, un evento mediatico, un vero e proprio fenomeno di massa che, superando le piu’ rosee aspettative al box-office, ha dato voce (ma soprattutto pupille) al bisogno di fuga dal poco rassicurante quotidiano di buona parte della platea mondiale. Ed e’ davvero curioso veder intere generazioni di spettatori in docile sottomissione alle coordinate, non poi cosi’ immediate, della Terra di Mezzo. Tutti desiderosi di conoscere la fine di un’avventura iniziata sullo schermo piu’ di due anni fa e che ha accompagnato fino ad oggi la magia, molto piu’ terrena, del succedersi inesorabile delle giornate. Il primo film, il piu’ riuscito della trilogia, ha aperto la strada alla saga con una narrazione compatta, fondendo con peculiare equilibrio i prodigi tecnici e il lato umano dei personaggi. Con il secondo episodio, forse il piu’ difficile per la sua fisiologica funzione di raccordo, qualche cosa nei risvolti psicologici si perde, ma il Gollum di parziale sintesi, unito all’epicita’ del racconto, mantiene saldo l’incanto. Arrivati al capitolo finale, c’e’ la necessita’ di tirare le fila della storia (e qualche lungaggine mista ad ingenuita’ nei dialoghi si fa sentire), ma Peter Jackson si fa lungimirante interprete delle esigenze di un pubblico famelico di effetti speciali non privi di sostanza. E cosi’ orchestra la conclusione sull’attesa (diciamolo, eccessiva) prima della potente resa dei conti. Sono quindi tre i momenti in cui e’ possibile suddividere il lungometraggio: la preparazione, la grande battaglia e la conclusione; parte, quest’ultima, dagli esiti ridondanti, con una successione di non-finali che smorza il pathos di addii e onorificenze. Tanto che la parola fine, dopo tre ore e venti minuti di proiezione, e’ salutata, nonostante l’affezione verso i protagonisti divenuti eroi, con un “Ohh!” di incredula liberazione. E’ comunque il senso di meraviglia il collante delle varie sequenze, tutte improntate alla maestosita’ dell’avventura. Solo i fan, o chi in questi tre anni ha avuto voglia di studiarsi il complicato mondo della Terra di Mezzo, potranno capire a fondo le motivazioni dei personaggi. Gli altri, grazie ai diversi livelli di profondita’ della sceneggiatura, riusciranno comunque a non perdersi tra le molteplici etnie e a godere principalmente della sublime efficacia dell’impianto visivo. E’ con un “ohh!”, questa volta di stupore,che si segue lo spettacolare arrivo di Gandalf a Minas Tirith, e l'”ohh!” aggiunge nuove vocali nella trepidazione che accompagna l’ascesa di Frodo e Sam tra le rocce, nelle viscide mani dell’infido Gollum. Le vocali raggiungono poi sonorita’ sibilanti quando giganteggia il mostruoso ragno, fino a zittirsi davanti all’imponenza della battaglia in energica progressione, dove draghi e olifanti si uniscono a razze di ogni specie prima che la iattura dell’anello riesca finalmente a dissiparsi. In gioco c’e’ la salvezza o la rovina totale e la regia predilige i toni cupi di un’atmosfera vicina al crepuscolo, perfettamente coadiuvata dalla fotografia livida di Andrew Lesnie. Un po’ datata solo la resa ectoplasmica dei “non-morti”, che riempie lo schermo ma lascia eccessive tracce di pixel. Tra i personaggi,oltre alla scissione di Gollum (che resta la creatura piu’ riuscita), ai turbamenti di Frodo, alla prestanza di Aragorn e al carisma di Gandalf, e’ il momento di Sam, vero artefice della vittoria e colpisce la breve ma spaventosa maschera di Whitch King, comandante della flotta dei draghi. Gli interpreti continuano a ben rappresentare le dinamiche dei personaggi che incarnano. Gli uomini sono meglio delle donne, ridotte a puro ornamento, fatta eccezione per la guerriera Miranda Otto (Liv Tyler e Cate Blanchetthanno trovato nel film un provvidenziale vitalizio, facendo poco o nulla e ritagliandosi un posto nellaleggenda). A questo punto, a degna conclusione della favola, manca solo l’Oscar. Anche se non sara’ l’ambita statuetta, cassa di risonanza piu’ commerciale che artistica, a determinare il valore di un’opera che, volenti o nolenti, ha cambiato, rivitalizzandoli, i canoniestetici del genere fantasy.

Luca Baroncini da www.spietati.it