Scheda film
Regia: Marco Bellocchio
Sceneggiatura: Marco Bellocchio, Ludovica Rampoldi, Valia Santella e Francesco Piccolo
Fotografia: Vladan Radovic
Montaggio: Francesca Calvelli
Scenografie: Andrea Castorina
Costumi: Daria Calvelli
Musiche: Nicola Piovani
Suono: Gaetano Carito e Adriano Di Lorenzo
Italia/Francia/Brasile/Germania, 2019 – Biografico/Storico – Durata: 148′
Cast: Pierfrancesco Favino, Maria Fernanda Cândido, Luigi Lo Cascio, Alessio Praticò, Gabriele Arena, Fabrizio Ferracane, Jacopo Garfagnoli
Uscita: 23 maggio 2019
Distribuzione: 01 Distribution
L’uomo di mondo, anzi, dei due mondi
Siamo nel 1980, Festa di Santa Rosalia. In un clima vagamente felliniano, con camerieri vestiti da arabi che tengono delle fiaccole in mano, Stefano Bontate e Salvatore Riina, hanno appena siglato in una riunione una pace di cartapesta, destinata a durare molto poco, spazzata via dall’omicidio dello stesso Bontate, che darà inizio alla seconda guerra di mafia. Come in un trailer e nello stile dei grandi cineasti, nella prima scena c’è già tutto il film. Lo spiegano le didascalie: Tommaso Buscetta, alias “Don Masino”, aka “il boss dei due mondi”, è un semplice “soldato” di Cosa Nostra e non partecipa alla riunione, ma si aggira poco loquace tra tutti i personaggi, che verrano poi immortalati in una foto, egli compreso, e che, se sopravvissuti, saranno destinati loro malgrado a comparire qualche anno dopo nella vetrina del Maxiprocesso.
Buscetta non vede l’ora di tornare in Brasile, dove ha mente e cuore ed anche affari. Non vede l’ora di tornarci con la giovane moglie Cristina, perché lui ha un concetto molto personale della Mafia, di Cosa Nostra. Come lo ha della vita.
Andando contro una tendenza molto discutibile, iniziata a metà degli anni duemila con le fiction televisive Il capo dei capi e Romanzo criminale, dedicate rispettivamente a Totò Riina e alla Banda della Magliana, Marco Bellocchio, alla soglia degli ottant’anni, affronta un ritratto lucido ed il più possibile obiettivo del personaggio. E se appare ammantato da un’aura “mitologica” è perché quell’aura Don Masino se l’è costruita negli anni, camminando – come il personaggio interpretato da Donald Sutherland in JFK – tra le gocce di pioggia senza bagnarsi. Non il peggiore dei mafiosi, ma neanche il migliore degli esseri umani, un crinimale che ha affascinato donne, attrici, personaggi che si sono avvalsi della sua preziosa collaborazione come Giuseppe Falcone, le guardie che lo hanno scortato tra un processo e l’altro, i giornalisti che lo hanno intervistato come Enzo Biagi e Ganni Minoli.
Emblematica una scena, che il regista di Bobbio dilata fino all’ultimo fotogramma: Buscetta, parlando dei metodi della vecchia Cosa Nostra, racconta a Falcone di essere stato incaricato in gioventù di uccidere un uomo; quest’uomo, per evitare di farsi sparare si fa scudo col proprio figlioletto e lui si ferma, poiché secondo il proprio comdice d’onore non avrebbe mai potuto coinvolgere una creatura innocente; quell’uomo poi non si sarebbe più separato dal figlio, tenendoselo ben stretto; nell’ultima scena del film, in un flashback, si vede come, appena terminato il matrimonio del figlio di quell’uomo, mentre questi si accende una sigaretta, Don Masino sbuca fuori dal buio e gli spara uccidendolo.
Ecco, questo esce dal potente film di Marco Bellocchio, che torna dietro al macchina da presa a distanza di tre anni da Fai bei sogni: un criminale con un personale codice d’onore, che non si sentì traditore di Cosa Nostra, bensì, da “soldato semplice” qual era, tradito dalla nuova deriva che essa stava assumendo in mano ai Corleonesi di Riina, un uomo che amò la vita e le donne e che seppe sporcarsi il minimo indispensabile, vivendo oltreoceano, volutamente lontano dalle sfere del potere, mafioso e non. Pur conoscendole molto bene.
Un personaggio che avrebbe voluto comunque tornare a mangiare un “gelato a Mondello”, ma che sperava, come unica vendetta, di arrivare a morire nel proprio letto, come fece all’età di 72 anni, stroncato da un tumore.
La regia asciutta di Bellocchio, prediligendo le inquadrature fisse, senza ampi movimenti di macchina, quindi anche con uno stile insolito per un “mafia movie”, sostiene l’iinterpretazione magistrale ed iperrealista di Pierfrancesco Favino, che non fa né interpreta, ma È Tommaso Buscetta. La sua bravura è accompagnata da quella di Fabrizio Ferracane, quasi irriconoscibile nei panni dell’ambiguo Pippo Calò, e di Luigi Lo Cascio, nel ruolo del sodale Totuccio Contorno, e da quella di Fausto Russo Alesi, che restituisce un Falcone quasi astratto, ma estremamente riuscito. I duetti tra tutti i personaggi, spesso in siciliano stretto – che ha richiesto sottotitoli pressoché costanti per tutta la durata del film – sono delle autentiche lezioni di recitazione, come quello tra Calò e Buscetta al Maxiprocesso, che tra l’altro in maniera inedita ci mostra il protagonista “di faccia”, mentre nella realtà fu sempre inquadrato da dietro per ragioni di sicurezza.
L’elemento onirico è lasciato appunto solo ai sogni agitati di Don Masino, lasciando spazio ad un inusitato realismo da parte di un regista che per una volta si è voluto cimentare con un materiale molto distante dal suo autobiografismo, dal suo Nord e dalle sue origini.
Come ha già detto qualcuno, Il traditore è un film che resterà. Un film necessario, da mostrare anche nelle scuole, di cinema e non…
Voto: 7
Paolo Dallimonti