Scheda film

Regia e Sceneggiatura: Hong Sang-soo
Fotografia: Jee Yune-jeong e Park Hong-yeol
Montaggio: Hahm Sung-Won
Musiche: Jeong Yong-jin
Corea del Sud, 2012 – Drammatico – Durata: 89′
Cast: Isabelle Huppert, Yu Jun-Sang, Jeong Yu-mi, Yoon Yeo-jeong, Keon Moon Sung, Hyo Kwon Hye, Moon So-ri
Uscita: 22 agosto 2013
Distribuzione: Tucker Film

Sale: 21

 Va dove ti porta il faro

C’è un cinema che per lo spettatore occidentale (a meno che non sia cinefilo) è ancora sconosciuto, ma che pian piano sta facendo capolino nei nostri circuiti cinematografici, merito soprattutto dell’apertura e del coraggio delle distribuzioni nostrane senza delle quali molti film di registi orientali (e non solo) sarebbero ancora visibili solo ai festival.
A differenza dei registi coreani della sua generazione quali Park Chan-wook (1963) e Kim Ki-duk (1960), Hong Sang-soo non è ancora stato accolto dalla critica occidentale con gli onori riservati ai già citati connazionali, chissà che non sia proprio In another country la molla per lo scatto che gli spetta. Di pellicola in pellicola il cineasta ha costruito una coerenza stilistica e narrativa che guarda alla Nouvelle vague – e in particolare a Éric Rohmer – e la scelta di Isabelle Huppert come protagonista è la ciliegina sulla torta che suggella questo percorso.
Sin dalla sua prima apparizione sulla spiaggia di Mohang (per nulla attrattiva se guardiamo coi nostri occhi turistici), Anne (la Huppert) trasmette grazia e quel tocco di francese che ben si amalgama con i colori e gli umori cercati e rincorsi da Sang-soo. Allo stesso tempo avvertiamo come il suo essere straniera in una terra che non conosce trasformi lei nel centro di interesse per tutti i personaggi che incontra. A muovere i fili delle tre storie a sé stanti, incentrate su tre donne, tutte con lo stesso nome (Anne appunto) e lo stesso volto, è una ragazza che inizia a scrivere una sceneggiatura «per calmare i nervi». In un gioco di incastri e ripetizioni, in ogni storia tornano (quasi sempre) gli stessi interpreti, magari in ruoli diversi. Ci pensano le costanti a quadrare il cerchio di una drammaturgia così geometrica e al contempo evocativa, in linea con la leggerezza che contraddistingue In another country tornano, infatti, elementi e temi ricorrenti come la bottiglia di soju (il liquore di riso coreano), Anne che cerca (metaforicamente e non) il faro e la figura dell’uomo inadatto. Già in Oki’s movie il regista sud-coreano aveva scardinato l’immagine tipica del maschio e così anche in In another country, tramite il personaggio del bagnino, Sang-soo rifugge dal maschilismo ponendo al centro tre donne (in una) che seducono senza strizzare l’occhio all’uomo di turno né allo spettatore, ma giocando e ironizzando.
Tutte e tre le donne sono sole, cercano il loro faro, si trovano davanti a un bivio, ora vanno a sinistra ora a destra, senza smettere di camminare. In questo mood di cinema francese, non possiamo non sottolineare la buffa Anne della seconda storia che bela e come la sua camminata richiami quella del bagnino e soprattutto evochi la gestualità di Tati.
Se in The day he arrives la ripetitività nel racconto pesava, qui si fa chiave di lettura del mondo, fedeli all’idea che «nella vita le cose si ripetono ma noi non ce ne accorgiamo» (da Oki’s movie) e allora ci corre in soccorso il cinema. Sfruttando a suo vantaggio la messa in scena minimale, optando per zoom in e out (realizza, infatti, carrelli ottici in alcuni momenti velocissimi, in altri lenti) e un uso attento del gioco di entrate e uscite fuori e dentro il campo, Hong Sang-soo usa il linguaggio meta-cinematografico, l’elemento ricorrente della figura del regista e tanti piccoli (ma significativi) corsi e ricorsi della sua filmografia per dipingere la ciclicità della vita guidato dall’amore per il cinema.
Così, pur non essendo ancora abituati al suo cinema (questo è il suo primo film ad essere distribuito in Italia), non si può non rimanere incantati da una leggerezza tutta personale per quanto sia figlia della consapevolezza e della conoscenza della storia del cinema. Con tocco leggiadro – merito anche di una straordinaria Isabelle Huppert, il vincitore del Pardo per la miglior regia (Our Sunhi) all’ultimo Festival di Locarno ci trasmette sul grande schermo come «basti poco per vedere la vita da un punto di vista allegro».
Determinate inquadrature che ci fan sognare, ci riportano alla mente queste parole: «l’amore è come il vento: non lo vedi, ma lo percepisci» (senza voler abbassare il livello citando “I passi dell’amore” di Nicholas Sparks). Forte dello sguardo lieve, In another country potrebbe apparire come un film totalmente surreale, “senza storia”, ma non è così, qui il cinema lo vedi e lo percepisci. Un sorriso ci accompagna durante e dopo la visione nonostante, davanti a noi, scorra la fragilità dell’uomo e dei rapporti.
RARO perché… è un bel film di una cinematografia da noi poco frequentata. 

Voto: 7 e ½

Maria Lucia Tangorra