Scheda film
Regia: Stefano Lodovichi
Sceneggiatura: Stefano Lodovichi, Isabella Aguilar, Davide Orsini
Fotografia: Benjamin Maier
Montaggio: Roberto Di Tanna
Scenografia: Daniele Fabretti
Costumi: Ginevra De Carolis
Suono: Carlo Missidenti
Musiche: Riccardo Amorese
Prodotto da: Onemore Pictures e Sky Cinema
Itali,a 2015 – Thriller/Horror – Durata: 93’
Cast: Filippo Nigro, Camilla Filippi, Ted Achille Caprio, Giovanni Vettorazzo, Stefano Detassis, Maria Vittoria Barrella, Luca Filippi
Uscita: 19 novembre 2015
Distribuzione: Notorius

Il diavolo in corpo

Recuperare tutto il carico di istanze, archetipi, personaggi, atmosfere, situazioni, stili e stilemi dell’horror old e new school per poi metterlo interamente, dopo averlo mixato, al servizio del plot di turno. Ciò comporta una perdita sostanziale in termini di originalità da parte del o degli autori durante la fase di scrittura che, nel caso di In fondo al bosco, appare chiaramente come una scelta voluta, o meglio come un sacrificio necessario per fare in modo che quanto portato sul grande schermo riuscisse a fare leva su tutta quella serie di elementi ampiamente codificati e facenti parte dell’ormai noto menù del genere di riferimento. Il conoscerli significa semplificare il processo di approccio alla storia e ai personaggi al centro del film. Ma qui si decide di non avvalersi del citazionismo, bensì di puntare sulla familiarità con i suddetti elementi basici. Ne consegue una prevedibilità piuttosto marcata davanti a certi accadimenti e ai suoi sviluppi che non può non depotenzializzare il fattore sorpresa, ma ci sembra che anche questa presunta mancanza sia stata messa in conto sin dallo sviluppo dello script. Sacrificio anch’esso inevitabile per un’equazione che non vuole essere perfetta, ma semplicemente efficace. Insomma, è chiaro e lampante cosa si vuole ottenere e come lo si vuole ottenere. Questo passa inevitabilmente attraverso un dare e avere. Tale indirizzo e onestà nel perseguirlo sono caratteri che ci sentiamo di sottolineare e premiare.
È quanto si evince dalla visione del nuovo film scritto e diretto da Stefano Lodovichi, qui alla sua seconda fatica dietro la macchina da presa in un lungometraggio di finzione, dopo il fortunato esordio del 2013 con Aquadro, nelle sale a partire dal 19 novembre con Notorius. Con In fondo al bosco, il regista si avventura nel tortuoso sentiero del cinema di genere e per farlo si appoggia, come abbiamo già illustrato all’inizio della recensione, a un modus operandi ben preciso. Se nella pellicola d’esordio aveva attinto a piene mani al dramma a sfondo adolescenziale nell’epoca del 2.0 per approfondire un tema delicatissimo e attualissimo come quello della minaccia della rete, soffermandosi in particolare sull’uso distorto che se ne può fare e sulle sue conseguenze, qui cambia completamente rotta per passare a un thriller psicologico dalle venature orrorifico-soprannaturali, andando ad aprire il bagaglio ormai classico e logoro del suddetto genere per cucire una storia che, come già accennato, ha il retrogusto del già visto e sentito. Del resto, è inevitabile se decidi di cucire il racconto con un bosco avvolto in una notte nera come la pece, una comunità chiusa e bigotta barricata tra le montagne innevate, tutta una serie di credenze popolari, un bambino scomparso che riappare dal nulla a distanza di tempo e che si pensa posseduto dal diavolo in persona. Inutile, in tal senso, andare a scomodare analogie con questo o con quel film, perché la lista sarebbe lunghissima e comprenderebbe titoli come The Omen, Rosemary’s Baby e tutti quelli riconducibili al ricco filone J-Horror dei bambini posseduti.
Per dare forma e sostanza alla drammaturgia di In fondo al bosco, Lodovichi e gli sceneggiatori che lo affiancano evitano intelligentemente l’impari confronto con moltissime pellicole del passato e con i rispettivi illustri autori che le hanno firmate. Si concentrano, infatti, sulla storia, sulla sua fruibilità e sulle dinamiche dei personaggi, incastonando nella base horror componenti mistery e drammatiche che fanno riferimento a un altro tema fortemente attuale, ossia quello della pressione mediatica e della spettacolarizzazione voyeurista che la alimenta quando si tratta di efferati delitti. I genitori del piccolo protagonista, in particolare il padre Manuel Conci, viene sottoposto a un fuoco incrociato da parte dei media e dell’opinione pubblica che lo accusano di aver ucciso il figlio e di averne occultato il cadavere. La sua vita e quella della sua famiglia vengono mandate in frantumi e alla ricomparsa del bambino lo sforzo di rimettere insieme i pezzi e ricominciare non sarà facile. Un copione che nell’ultimo decennio si è impossessato letteralmente del piccolo schermo e delle pagine dei giornali. Lodovichi prende in presto anche questo, così come ha fatto con quello del genere di riferimento, creando un corpus unico che non genera cortocircuiti drammaturgici e nel quale è possibile rintracciare un filo comune con Aquadro, rintracciabile proprio nel voler porre ancora una volta l’accento su una critica piuttosto evidente ai mass media e alle pressioni esercitate da parte dell’opinione pubblica sulle vittime e sui presunti colpevoli. Il tutto funziona e scorre, presenta dei passaggi a vuoto soprattutto nella parte centrale con cali improvvisi di tensione, ma senza provocare danni irreparabili.
Da un punto di vista strettamente tecnico, il film presenta una confezione fotografica e registica di qualità, che trova nel montaggio una perfetta chiusura del cerchio. Il regista dimostra di conoscere bene l’hardware e di saper dirigere bene anche gli attori, che restituiscono a loro volta le attenzioni ricevute con delle performance intense e soprattutto credibili (Filippo Nigro in particolare nel ruolo di Conci).

Voto: 7

Francesco Del Grosso