Regia di Paul Weitz

con Dennis Quaid, Topher Grace, Scarlett Johansson, Marg Helgenberger.

Voto da 1 a 5: ***

Un titolo profetico, “In good company”: infatti sono andato al cinema da solo. E non è che ci fosse tanta altra gente in sala. Il fatto è che un certo genere di film medio, ed in particolare la commedia (a meno che non venga iperpubblicizzato o che non abbia un interprete in grado di attirare da solo la grande massa) ormai si preferisce guardarselo a casa, noleggiando il dvd o direttamente sulla tv satellitare. A questo proposito mi ha fatto molto riflettere una coppia di cari amici, con una bimba avuta da poco, che mi ha confessato di andare al cinema solo se c’è un film che merita di esser visto sul grande schermo. Sinceramente sono rimasto un po’ spiazzato: credevo che la cosa fosse soggettiva, specialmente in un’epoca dove un impianto home theatre lo si trova in vendita anche dal fruttivendolo… Eppure, a torto o a ragione, c’è chi non uscirebbe mai di casa per andare a vedere un film “solo” gradevole come “In good company”.

In effetti la pellicola non è di quelle più reclamizzate, né gli interpreti possono garantire una presa così forte sul potenziale pubblico. Dennis Quaid, ad esempio, sembra aver dato il meglio di sé negli anni ottanta; è un attore forse non proprio straordinario, ma tuttavia in grado di ispirare una simpatia immediata. La storia del cinema è costellata di attori di questo tipo, basti pensare (ora lo so che molti grideranno alla bestemmia) a nomi come Cary Grant, Tony Curtis, James Stewart e, in epoche più recenti, a Harrison Ford, Tom Selleck, George Clooney. Probabilmente non artisti così immensi, ma capaci ugualmente di dare un imprinting molto personale ai film da loro interpretati.

“In good company” ha un cast davvero ineccepibile (occhio al giovane Topher Grace), nessuno è fuori parte e la presenza dell’ormai prezzemolina del cinema americano di questi ultimi anni (sì, la solita, brava, bella e buona Scarlett Johansson…) sembra voler nobilitare un film che proprio d’autore non è. Paul Weitz fece molto meglio con “About a boy” (ma tradurre i titoli no, eh?), anche se alle spalle c’era un libro di una certa “consistenza” (l’ho messo tra virgolette apposta, senza nulla togliere a Nick Hornby).
Insomma, se avete voglia di una commedia sugli scontri generazionali, ben interpretata, ma senza grandi picchi, questo film fa per voi. Se invece ciò che cercate sono fuoco e fiamme, botti, botte ed inseguimenti a profusione… beh, allora mi sa che vi converrà rivolgervi da qualche altra parte… Tanto c’è sempre il videonoleggio sotto casa, giusto? Vabbè…

BenSG in good company with himself