Scheda film

Regia: Danny Boyle
Soggetto e Sceneggiatura: Joe Ahearne e John Hodge
Fotografia: Anthony Dod Mantle
Montaggio: John Harris
Scenografie: Mark Tildesley
Costumi: Suttirat Anne Larlarb
Musiche: Rick Smith
G.B., 2013 – Thriller – Durata: 101′
Cast: James McAvoy, Rosario Dawson, Vincent Cassel, Danny Sapani, Matt Cross, Wahab Sheikh, Mark Poltimore
Uscita: 29 agosto 2013
Distribuzione: 20th Century Fox

 La peggiore offerta

Nella ricchissima e affollata programmazione dell’ultimo weekend di agosto, mentre l’attenzione degli addetti ai lavori è interamente assorbita dal cartellone della 70esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica di Venezia, prova a farsi largo nelle sale nostrane In Trance. Nella pellicola, un curatore di una casa d’aste si unisce a una banda di malviventi per trafugare un prezioso dipinto di Francisco Goya. Si tratta del celebre “Le streghe nell’aria”, realizzato dal pittore e incisore spagnolo nel 1797, realmente rubato dalle sale del Victoria & Albert Museum di Londra e appartenente al ciclo di tele dal titolo “Pitture nere”. Durante il colpo la talpa viene accidentalmente colpita alla testa. Al suo risveglio non ricorda più nulla, tantomeno dove ha nascosto il quadro. È compito di un’ipnoterapista fargli tornare la memoria e sciogliere il mistero; ma più lei scava nel suo inconscio, più la posta in gioco si alza.
Titolo e plot potrebbero a una prima lettura spingere lo spettatore di turno a pensare che si tratti dell’ennesima pellicola scritta e diretta da Christopher Nolan. Del resto, per il regista britannico la mente umana sembra non avere più alcun segreto, tanto da averci costruito sopra un’intera filmografia, esplorandola in lungo e in largo nei quindici anni di attività che separano l’esordio con Following dai giorni nostri. L’associare un film come In Trance, che almeno sulla carta presenta caratteri, costruzioni e temi analoghi a quelli abitualmente frequentati da Nolan, a cominciare dal continuo e invisibile palleggio drammaturgico tra conscio e subconscio, dunque, è un errore piuttosto facile da compiere per tutti coloro che non sono andati a sbirciare nei credits. In realtà dietro la macchina da presa troviamo il connazionale Danny Boyle, che per la prima volta ha deciso di confrontarsi con una storia che oltrepassa la calotta cranica fino a penetrare nei meandri labirintici della mente per portare sullo schermo quello che vorrebbe essere un intricato gioco di specchi e di scatole cinesi, ma che a conti fatti si risolve in una nuvola di fumo che avvolge un fragile meccanismo celebrale a incastri.
Più che di thriller vero e proprio sarebbe corretto parlare di noir mnemonico, nel quale il regista premio Oscar con The Millionaire mescola i canoni estetici e le atmosfere del secondo con gli ingredienti classici del primo. Il risultato è una tela narrativa che a furia di dipanarsi genera un caos drammaturgico costellato di colpi di scena sparati in rapida successione come proiettili a salve che, invece, di incalzare lo spettatore, lo confondono fino a fargli perdere l’interesse nei confronti dell’epilogo. Un lusso, questo, che un film simile non può per nulla al mondo permettersi. Il tutto nasce da un continuo scompaginamento nell’ordine degli eventi attraverso un isterico andirivieni temporale che svela progressivamente le verità nascoste, rimandando a una serie di schemi ciclici che, ripresi di volta in volta, consegnano in simultanea a coloro che sono dentro e oltre lo schermo la chiusura del cerchio. Boyle si ritaglia il ruolo di narratore onnisciente, un po’ come Fincher aveva fatto nel suo The Game, giocando una lunga ed estenuante partita a scacchi sia con la platea che con il gruppo di personaggi, entrambi confinati in una posizione assolutamente passiva e paritaria. Una partita caratterizzata, però, da evidenti e frequenti fasi di stallo, nella quale trovano spazio triangoli morbosi, rapporti di dipendenza reciproca e rovesciamenti nei ruoli dei singoli personaggi. In Trance acquista così la forma di un mosaico, peccato che i tasselli chiamati a comporlo funzionino solo a fasi alterne. Basterebbe questo a spiegare quale abisso ci sia tra l’ultima fatica di Boyle e una qualsiasi diretta da Nolan, al quale va riconosciuta la capacità più unica che rara di confondere in maniera perfetta i piani temporali e dimensionali, restando magnificamente in equilibrio precario sulla soglia che separa il sogno dalla realtà.
Alla pari di Sunshine, Boyle sembra lavorare con la mano sinistra su un progetto che non è riuscito mai a fare suo, a personalizzarlo così come era accaduto in precedenza, se non in alcuni passaggi ove è riconoscibile il suo stile aggressivo e prepotente (vedi le sequenze incentrate sulle sedute di ipnoterapia alle quali si sottopone il protagonista), che gli aveva consentito persino di rielaborare e aggiornare filoni oramai logori (ad esempio lo zombie movie apocalittico con 28 giorni dopo). Alcune accelerazioni ritmiche nella costruzione della tensione, la buona interpretazione offerta dal terzetto protagonista (McAvoy, Cassel e Dawson) e gran parte della messa in quadro, consentono tuttavia al film di rimanere a galla sulla soglia della sufficienza. Un voto che sulla pagella di un regista del suo calibro, capace di mettere il proprio marchio di fabbrica su film come Piccoli omicidi fra amici, Una vita esagerata, Trainspotting, 127 ore, oltre ai già citati The Millionaire e 28 giorni dopo, lascia moltissimo amaro in bocca. Contiamo, quindi, su un pronto riscatto. 

Voto: 6

Francesco Del Grosso