Basato su una storia vera, il film ‘The World’s Fastest Indian’ descrive gli eccezionali avvenimenti del leggendario Burt Munro, un settantaduenne che si prepara a realizzare, contro tutti i pronostici, il suo sogno di 25 anni: di battere il record mondiale sulla sua motocicletta, Indian Scout del 1920, nelle saline di Bonneville, Utah, nel 1963.
Con la sua ingenuità straordinaria Munro personalmente ricostruisce ed aggiorna la sua vecchia motocicletta, raccoglie i fondi risparmiati, ipoteca la sua casa, e lavora come un cuoco su una nave per pagare il suo viaggio dalla Nuova Zelanda agli Stati Uniti.
Con una personalita’ accomodante, Burt forma nuove amicizie, fra i quali un travestito (Chris Williams), un venditore di automobili usati (Paul Rodriguez), un Indiano Americano, ed una vedova (Diane Ladd); tutti diversi in carattere ma molto utili a Burt.
Nel film ‘The World’s Fastest Indian’ il direttore Roger Donaldson (The recruit, 2003, Thirteen Days, 2000, Offerings to the God of Speed, 1971) ben descrive l’esperienza di Burt, e la sua forte determinazione nel trasformare un sogno in realta’. ‘The World’s Fastest Indian’ ci dice che la vita e’ un percorso che uno crea da se’, che con la motivazione si possono superare ostacoli, e che con entusiasmo e determinazione si puo’ realizzare qualsiasi cosa nella vita.
ESTER MOLAYEME, Los Angeles, CA
Dopo una vita trascorsa a mettere a punto la sua motocicletta Indian del 1920, Burt Munro si mette in viaggio dalla lontana Nuova Zelanda per raggiungere le saline di Bonneville, nello Utah, dove collaudarla e stabilire il record di velocità. Inizialmente dovrà fronteggiare numerosi ostacoli ma alla fine ne uscirà vincitore.
Il record mondiale di Burt Munro stabilito nel 1967 resta imbattuto e la sua leggenda vive ancora oggi.
Per saperne di più su Burt Munro: www.indianmotorbikes.com
Note di produzione
Burt Munro era la quintessenza del neozelandese. Nato e cresciuto a Invercargill, in Nuova Zelanda, sognava di fare della sua Indian Twin Scout del 1920 la moto più veloce del pianeta.
Roger Donaldson originario dell’Australia è un provinciale che ha sfondato a Hollywood. Tra i suoi film ricordiamo La regola del sospetto, Tredici giorni, The Gateway, Dante’s Peak – la furia della montagna, Specie mortale, White Sands – tracce nella sabbia, Cadillac Man – Mister occasionissima, Cocktail, Senza via di scampo, Il Bounty, Smash Palace.
Anthony Hopkins è uno dei più grandi attori del mondo, e ha lavorato per la prima volta con Donaldson 20 anni fa, interpretando Il Bounty accanto a Mel Gibson.
Solo qualche mese fa, le vite di questi tre uomini si sono incontrate sulle sabbie bianche di Bonneville, nello Utah, e lungo la spiaggia battuta dal vento di Oreti Beach, a Invercargill, in Nuova Zelanda.
Per Donaldson è stato il punto di arrivo di un sogno inseguito per oltre 30 anni. Quando era ancora un giovane cineasta (e lavorava a un documentario intitolato Offerings to the God of Speed) aveva incontrato un uomo di Invercargill con una storia incredibile.
Il film racconta il viaggio di Burt Munro a Bonneville, negli anni ’60. Fa rivivere la magia di un uomo che per tutta la vita ha inseguito un sogno e che diceva: “Se è dura, lavora più duramente. Se è impossibile, lavora ancora più duramente. Metticela tutta, ma vai fino in fondo.”
A interpretare questo eccentrico ma simpatico personaggio è l’attore premio Oscar Anthony Hopkins che esprime tutta la forza, la determinazione, la creatività, il fascino e la stravaganza di un personaggio come Burt Munro – visto attraverso gli occhi di un regista che lo ha conosciuto e che non ha mai rinunciato al proprio sogno di raccontarne la storia.
Dichiarazione del regista
Questo progetto è stato una mia passione da quando ho girato un documentario su Burt Munro nel lontano 1972 (Offerings to the God of Speed)
Munro era un neozelandese straordinario… un personaggio unico.
Io l’ho incontrato per la prima volta in una notte d’inverno del 1971, a Invercargill. Burt era felice che alcuni giovani cineasti fossero venuti da Auckland a conoscere un vecchio come lui e a parlargli della possibilità di girare un documentario sulle sue imprese. Preso dall’entusiasmo, ha tirato fuori una vecchia moto Indian Scout del 1920 dal capanno in cui viveva, ed è saltato sul pedale di avviamento. Il motore si è acceso, con un rombo assordante. Nelle case vicine si sono accese le luci, e quando Burt ha spento il motore si sentivano solo le urla dei vicini che protestavano perché aveva deciso di provare la sua moto alle 11 di sera…
Ormai ero conquistato. Così ho preso la mia Bolex a manovella, e ho cominciato a girare il mio documentario sulla vita di Burt Munro… riprendendolo nell’Isola del Sud, e accompagnandolo alle saline di Bonneville, dove aveva stabilito un record di velocità su strada a bordo della sua vecchia moto.
Ma anche dopo che il documentario è stato trasmesso con successo dalla televisione neozelandese, io non riuscivo a smettere di pensare a Burt. Sentivo che il mio film non rendeva davvero giustizia a questo geniale ed eccentrico neozelandese e così, dopo la sua morte – avvenuta nel 1978 – ho deciso che avrei fatto un film sulle sue imprese.
La mia idea era questa: raccontare la storia di un uomo che credeva fortemente in se stesso e nel suo sogno. In passato, ho ricevuto spesso proposte di finanziamento per il film, ma avrei dovuto riscriverne la sceneggiatura raccontando una storia più “commerciale”. Io però ero deciso a non scendere a compromessi su quella che doveva essere la mia visione della storia, e ho deciso di aspettare di poter realizzare il film che avevo in mente.
Due anni fa, quando ho finito di girare Le regole del sospetto, ho deciso che anziché firmare un contratto per un altro film hollywoodiano avrei ripreso in mano la storia di Burt. “Ora o mai più” – mi sono detto. La ritenevo una storia appassionante e edificante, nello spirito di film come Rocky, Billy Elliot e Momenti di gloria. Ho riscritto più volte la sceneggiatura, finché non mi è sembrato di aver trovato la chiave giusta. Avevo quella che mi sembrava una buona base per un film emozionante e senza compromessi, una storia che coglieva davvero lo spirito di Burt Munro.
Sono rimasto affascinato dalla storia di Burt per tanti, tanti anni. In un certo senso, la mia ossessione per questo film non è stata così diversa dall’ossessione di Burt per la sua moto.
Roger Donaldson
Cast
Anthony Hopkins è Burt Munro
In quasi trent’anni di carriera, Hopkins ha girato più di 90 film per il cinema e la televisione.
Nel 1990 ha vinto un Oscar come Miglior Attore Protagonista per la sua indimenticabile interpretazione di Hannibal Lecter nel thriller Il silenzio degli innocenti. Successivamente, è stato nominato nella stessa categoria per le sue interpretazioni in Gli intrighi del potere (1995) e Quel che resta del giorno (1993), per cui ha ricevuto un premio BAFTA come Miglior Attore.
Di recente, Hopkins è apparso nella trasposizione cinematografica del romanzo di Stephen King Cuori in Atlantide, in La macchia umana accanto a Nicole Kidman, e nel film storico di Oliver Stone, Alexander. Lo abbiamo visto recentemente con Gwyneth Paltrow nel film di John Madden tratto da una pièce inglese di grande successo, Proof.
Tra gli altri film di Hopkins ricordiamo Il leone d’inverno, Viaggio in Inghilterra, Red Dragon, Bad Company – Protocollo Praga, Hannibal, Il Grinch, Vi presento Joe Black, Instinct – istinto primordiale, Titus, La maschera di Zorro, Casa Howard, Dracula, Vento di passioni, Morti di salute, Surviving Picasso, L’urlo dell’odio, 84 Charing Cross Road, Elephant Man, Magic e Quell’ultimo ponte.
Il Bounty è stata la sua prima collaborazione con Roger Donaldson.
Chris Lawford è Jim Moffit
Christopher Kennedy Lawford è cresciuto fra Hollywood e Washington – fra il mondo sfavillante dello spettacolo e quello della politica.
Figlio di genitori famosi – l’attore Peter Lawford e Patricia Kennedy – Christopher ha iniziato la sua carriera di attore nel 1988 con il film Mr North, diretto dal figlio del grande regista John Huston, Danny. Huston doveva comparire fra gli interpreti, ma poco prima dell’inizio delle riprese la malattia lo ha costretto a rinunciare, ed è stato sostituito da Robert Mitchum. Quando Danny ha chiesto al padre, ormai in punto di morte, cosa ne pensasse di scritturare Chris Lawford per il ruolo dell’innamorato di Virginia Madsen, Huston si è subito rianimato e gli ha chiesto: “E’ alto, bruno e bello?” Danny gli ha risposto di sì, e suo padre gli ha detto solo: “Allora scritturalo. Non ti serve altro.”
Lawford ha proseguito interpretando Spellbinder e Il club dei suicidi, e dopo essersi trasferito a Hollywood ha preso parte a diverse produzioni importanti, tra cui Doppia identità con Theresa Russell, Un eroe piccolo piccolo con Danny Devito, Casa Russia con Sean Connery e Michelle Pfeiffer, Run, Il sesto giorno e Terminator 3 con Arnold Schwarzenegger, The Confession con Alec Baldwin e Ben Kingsley, e The Doors di Oliver Stone. Nel 2000, ha interpretato accanto a Kevin Costner il film Tredici giorni, una drammatica ricostruzione degli eventi legati alla crisi dei missili di Cuba. Dopo l’uscita del film, Costner e Lawford sono volati a Cuba per presentare il film al presidente Fidel Castro e ai cubani.
Lawford ha al suo attivo anche numerose apparizioni televisive. Nel 1992 ha firmato un contratto per 3 anni, per interpretare Charlie Brent nella popolare soap All My Children. E’ apparso come ospite nelle serie 100 Center Street di Sidney Lumet, OC, Frazier, Chicago Hospital e molte altre. E’ stato anche uno dei personaggi fissi di Copshop , la rivoluzionaria serie della PBS, interpretata da Richard Dreyfuss.
Nella sua carriera, Lawford ha lavorato anche molto come attore e produttore nel settore del cinema indipendente. Ha interpretato i film indipendenti di grande successo Una moglie ideale e Londinium, ed è stato produttore esecutivo e co-interprete del film Kiss Me, Guido che, insieme a Drunks, è stato presentato con successo al Sundance Film Festival.
Chris Williams è Tina Washington
Chris è nato e cresciuto a Westchester County, New York. Figlio di due insegnanti di musica, ha frequentato il mondo delle arti fin da piccolissimo, quando ha imparato a suonare il sassofono e l’oboe. Ha recitato in diverse commedie – dall’asilo al liceo – e ha proseguito gli studi fino a laurearsi in psicologia presso l’Università di Georgetown.
Attore estremamente versatile di cinema, teatro e televisione (come sua sorella Vanessa), Chris è in grado di interpretare ruoli che spaziano dal comico al drammatico. In questo film interpreta un travestito che subito lega con il protagonista incoraggiandolo nella sua impresa.
Ultimamente lo si è visto in Bam Bam and Celeste – che insieme a questo film è stato proiettato in prima mondiale al Toronto Film Festival. E’ stato fra i protagonisti della commedia della 20th Century Fox Palle al balzo – Dodgeball ed è apparso nei film Anchorman e Spider Man 2.
Per il pubblico televisivo, Chris è noto soprattutto come Krazee Eyez Killa, un personaggio apparso nella sit-com della HBO Curb Your Enthusiasm. L’episodio che lo riguarda ha vinto un Emmy. Di recente, è apparso come guest star in CSI: la scena del crimine e Listen Up per la CBS, ha interpretato un personaggio ricorrente nella serie poliziesca The Shield, ed è apparso nel film della HBO Trailer Trash con Tracey Ullman.
Annie Whittle è Fran
Annie lavora nel mondo dello spettacolo da oltre trent’anni, ed è famosa in Nuova Zelanda come attrice, cantante e conduttrice televisiva.
Nel 2003, è stata finalista nella categoria Migliore Attrice Non Protagonista ai premi della televisione neozelandese, per il suo ruolo di Barbara Heywood nella popolare e longeva serie tv Shortland Street.
Aaron Murphy, è Sam
Aaron Murphy ha esordito come attore a 8 anni nel film Rain, e oggi, a soli 13 anni, è già apparso in altri film importanti come Boogeyman e Perfect Creature.
E’ anche apparso in due produzioni televisive, Revelations – All that Glistens e Power Rangers.
E’ un ottimo calciatore, adora il computer, i modellini e gli animali, e possiede una sua motocicletta che adora guidare nella fattoria in cui vive.
Cast tecnico
Roger Donaldson
Sceneggiatore/Regista/Produttore
Nel 1971, Roger Donaldson e il suo collaboratore Mike Smith hanno girato Offerings to the God of Speed, un documentario sulla vita del neozelandese Burt Munro, uno degli uomini più anziani a stabilire un record di velocità su strada, sul lago salato di Bonneville, nello Utah. A questa vicenda si ispira il film.
Nel 1977, Donaldson ha diretto il suo primo film, Unica regola vincere, con Sam Neil al suo esordio sul grande schermo.
Nel 1982, dopo aver terminato il suo film Unica regola vincere, Donaldson si è trasferito negli Stati Uniti, dove gli è stata affidata la regia di Il Bounty – remake del famoso film sull’ammutinamento del Bounty – con Anthony Hopkins, Mel Gibson, Liam Neeson, Daniel Day Lewis e Lawrence Olivier.
Tra i film di Donaldson ricordiamo:
UNICA REGOLA VINCERE con Sam Neill
SMASH PALACE con Bruno Lawrence
THE BOUNTY con Anthony Hopkins e Mel Gibson
SENZA VIA DI SCAMPO con Gene Hackman e Kevin Costner
COCKTAIL con Tom Cruise
WHITE SANDS – TRACCE NELLA SABBIA con Willem Dafoe e Samuel L.Jackson
THE GETAWAY con Alec Baldwin e Kim Basinger
SPECIE MORTALE con Natasha Henstridge e Ben Kingsley
CADILLAC MAN, MISTER OCCASIONISSIMA con Robin Williams e Tim Robbins
DANTE’S PEAK – LA FURIA DELLA MONTAGNA con Pierce Brosnan
THIRTEEN DAYS con Kevin Costner
LA RECLUTA con Al Pacino e Colin Farrell
Gary Hannam
Produttore
Figura chiave del cinema neozelandese, il produttore Gary Hannam ha esordito come produttore esecutivo del film Smash Palace (1981), diretto da Roger Donaldson. Nel 1981, Hannam e i finanziatori del suo Smash Palace hanno commissionato a Donaldson la sceneggiatura del film. “Roger mi ha ricordato di essersi offerto più volte di ricomprare le varie versioni della sceneggiatura. Ma io gli ho sempre risposto che valevano troppo per essere vendute.”
Hannam ha collaborato con il regista neozelandese Vincent Ward, co-producendo due suoi film presentati in concorso al Festival di Cannes – Vigil (1984), film molto apprezzato dalla critica, e il fantasy Navigator – un’odissea nel tempo (1987), che ha anche vinto un premio.
Nel 2002, per suggellare i 21 anni di lavoro con la Film Investment Corporation, Hannam ha fondato la Film Investment Corporation Foundation, un fondo di beneficenza che aiuta giovani neozelandesi a fare esperienza internazionale.
Dopo essersi trasferito in Europa nel 2002, recentemente ha contribuito a fondare la GmbH insieme al finanziatore australiano Justin Pearce, e con lui ha istituito la Commerzbank AG un fondo per il cinema di 300 milioni di euro.
Nel 2004 ha fondato la Tanlay AG per finanziare, produrre e vendere nuovi progetti, tra cui questa pellicola.
John Gilbert
Montatore
John Gilbert è stato nominato sia agli Oscar che ai BAFTA per il Miglior Montaggio di Il Signore degli anelli – la compagnia dell’anello
Ha curato il montaggio di una serie di film tra cui Perfect Strangers di Gaylene Preston, Punitive Damage di Annie Goldson, Crush di Alison Maclean, Loaded di Anna Campion, e Via Satellite di Anthony McCarten. E’ stato assistente al montaggio di Peter Jackson nel film Sospesi nel tempo.
Gilbert è stato anche produttore esecutivo di sette corti, presentati nell’ambito di festival come quelli di Cannes, Berlino, Venezia, Sundance e New York.
- Dennis Washington
Scenografo – USA
- Tennis Washington nasce come architetto e scenografo teatrale. Nel cinema, il suo lavoro tende a un realismo che sostiene e amplifica la narrazione filmica.
Washington ha firmato le scenografie di moltissimi film, tra cui L’onore dei Prizzi, Stand By Me – ricordo di un’estate, The Dead – gente di Dublino, Senza via di scampo, Il fuggitivo, Dante’s Peak – la furia della montagna, La figlia del generale e Tredici giorni. Ha lavorato con registi come John Huston, Sydney Pollack, Ron Shelton e Rob Reiner.
La collaborazione con l’amico Roger Donaldson è sempre stata felice e proficua.
J. Peter Robinson
Musica
Formatosi alla Royal Academy of Music di Londra, Robinson ha composto la sua prima colonna sonora per l’horror/thriller di John Schlesinger Believers – i credenti del male. Poco dopo, ha firmato la musica del thriller d’azione di Philip Noyce Furia cieca, che lo ha portato all’attenzione di Roger Donaldson. In seguito, ha firmato la colonna sonora di altri due film di Donaldson, Cocktail e Cadillac Man – Mister occasionissima, e poi di Fusi di testa e Il mio amico scongelato. Più di recente, Robinson ha composto la musica per 15 minuti – follia omicida a New York di John Herzfeld, con Robert De Niro e Ed Burns.
Nella sua lunga carriera è stato anche produttore, arrangiatore e autore di pezzi per Phil Collins, Eric Clapton, Melissa Etheridge e Al Jarreau.
Come si è arrivati a fare il film
Siamo partiti in chiave minore. Il documentario su Burt l’abbiamo girato senza soldi, e io ero agli inizi della mia carriera di regista. Nel frattempo, però, ho imparato molto, e cominciavo a rendermi conto di non avere mai reso vera giustizia al soggetto. Forse per questo il film su Burt è diventato una vera ossessione, per me.
Ho cominciato a pensarci seriamente nel 1979, ancora prima di girare il mio secondo film (Smash Palace, 1981). Diverse volte siamo andati vicini a ottenere i finanziamenti necessari. Quando ho finito il mio ultimo film negli Stati Uniti, ho pensato: è talmente tanto tempo che parlo di questo film, che se non lo faccio adesso tanto vale ammettere che non lo farò mai. Così, in questi ultimi due anni ho riscritto la sceneggiatura e con Gary Hannam, che mi ha appoggiato fin dall’inizio, ci siamo messi a cercare i soldi. La vera svolta è stata l’incontro con un investitore giapponese, Megumi Fukasawa, una donna che avevo conosciuto promuovendo i miei film in Giappone.
Un bel giorno, Megumi – che nel frattempo era rimasta in contatto con mia moglie Marliese – mi ha chiesto se avessi copioni adatti a un investimento, e io le ho risposto che per l’appunto ne avevo proprio uno in tasca: questo.
Megumi ha portato la sceneggiatura in Giappone, e mi ha fatto subito sapere che ai suoi soci era piaciuta, che ne erano entusiasti e l’avrebbero finanziata. Ora, con la loro adesione, avevo in mano qualcosa di concreto per poter mettere insieme il resto dei soldi. Ma non è stata una cosa facile…
Poi, ho convinto Anthony Hopkins a fare il film. Una volta fatto il cast, mi sono reso conto che il film c’era – bisognava solo trovare i soldi. E mi sono anche reso conto che il lago salato di Bonneville era disponibile per quell’utilizzo solo in un certo periodo dell’anno, quindi a meno che non avessi girato subito il film (2004), avrei dovuto aspettare almeno un altro anno. E le possibilità che Anthony fosse libero l’anno dopo erano abbastanza poche, perché riceve molte proposte. Ormai era chiaro: io e Gary dovevamo partire con i nostri soldi.
Tre settimane prima dell’inizio delle riprese, avevamo già una troupe al lavoro nello Utah, e le moto pronte. E i conti li pagavamo io e Gary. Una situazione che – chiunque può dirvelo – non è certo il massimo per chi fa questo lavoro. Ma in un certo senso, forse il fatto che io e Gary fossimo così determinati a fare questo film da metterci i soldi nostri ha dato anche agli altri una sicurezza, una spinta in più a partecipare. Perché tutti hanno visto la passione che ci mettevamo.
Su Burt Munro
Munro era un autentico personaggio, e credevo che, se fossimo riusciti a cogliere il suo spirito, il suo atteggiamento nei confronti della vita, avremmo fatto un gran film. Era un uomo molto felice, anche se alcuni eventi della vita dovevano averlo segnato – come la morte del fratello, quando Burt aveva solo 14 anni. Non che lo abbia mai ammesso, però. Lui era uno che, come diceva suo nipote, voleva morire in piedi…
Amava moltissimo le motociclette, ed era bravissimo a guidarle e a farle correre. Aveva anche una filosofia di vita interessante. E più che di motociclette, il film parla proprio di questa filosofia – di come invecchiare senza rinunciare ai propri sogni, alle ambizioni. Su questo abbiamo cercato di costruire un film appassionante, divertente e – almeno speriamo – commovente.
Commenti sul film The Bounty (1983) e su Donaldson come regista
Roger ed io abbiamo avuto i nostri scontri. Roger aveva un modo tutto suo di trattare le persone. E’ australiano, e gli australiani – come diciamo noi inglesi – sono gente che non va tanto per il sottile. Lui era diverso, e io ero giovane e arrogante – con tutto quello che ne consegue. Io ero molto insofferente con tutti, soprattutto con i registi. E quando mi chiedevano di ripetere una scena troppe volte, ci litigavo. E Roger le scene le faceva ripetere spesso – è un perfezionista.
Ora sono passati 20 anni e non sono solo tollerante, ma anche rispettoso di quello che fa – lui o qualsiasi altro regista. C’è un motivo se lo fa. Vuole realizzare un bel film e non mi interessa se mi chiede di ripetere una scena 50 volte. Spero che non saranno 50, perché perderemo un sacco di tempo, ma lo rispetto come regista e mi piace come persona, lo trovo un uomo fantastico. I primi giorni ho avuto l’impressione che avesse paura di vedermi dare in escandescenze da un momento all’altro. Ma sono finiti quei tempi. Avevo un caratteraccio, mi spazientivo facilmente. Ora penso: “Be’, è solo un film.” E non lo dico in senso cinico. E’ che finalmente non c’è più niente per cui valga la pena di prendersela tanto. Ho imparato a incassare i colpi, a seguire la corrente.
E Roger è un regista fantastico, uno dei migliori con cui abbia lavorato. Ho lavorato con Spielberg e Oliver Stone, e Roger è al loro livello. E’ un regista fantastico, sul serio. Basta pensare a film come Senza via di scampo e Tredici giorni…
Su Burt Munro
Be’, io non sono un gran patito della velocità, ma da quello che ho visto nel documentario di Roger, Burt Munro adorava la velocità. Non so se per lui fosse una ossessione, ma per lui era eccitante, diceva che puoi vivere di più in 5 minuti su una moto lanciata al massimo della velocità che in tutta la vita. Era questa la sfida. Credo che esista gente che flirta con la morte. Cioè, è una grossa sfida, ci vuole coraggio per rischiare la vita… Donald Campbell era uguale: ha battuto il record mondiale di velocità su acqua, ma è rimasto ucciso proprio battendo quel record. Eppure diceva che aveva paura ogni volta che saliva a bordo del suo Bluebird.
Ma è così: superare la paura è il coraggio più grande di tutti, e credo che Burt fosse un tipo così, uno che aveva quel coraggio. Era questa la sua filosofia di vita – viverla fino in fondo, pienamente. Perché, diceva, “Quando sei morto, resti morto” diceva, “non ti tocca un altro giro di pista”. Io non sono un amante della velocità, però, guido con prudenza. Una volta la velocità mi piaceva, quando ero giovane, ma ora amo la vita.
Sulla costruzione del personaggio
Be’, mi sto calando nella parte, sto prendendo dimestichezza con l’accento neozelandese… E in questo Roger mi aiuta molto. “Senti”, mi ha detto, “non preoccuparti. In Nuova Zelanda probabilmente avranno da ridire sul tuo accento, ma nel resto del mondo te la caverai alla grande. Non ha importanza, comunque. Fallo tuo, sei tu Burt Munro.” Però mi controlla. Mi ripete: “Stendi un po’ le vocali e attento alle erre…” Quando sento parlare Burt Munro, mi sembra un irlandese, o uno della Cornovaglia, o del Devon…. Con quelle belle erre rotonde, sembra proprio uno che viene dalla Cornovaglia.
Sulla sceneggiatura
Roger ha scritto un’ottima sceneggiatura, io faccio solo qualche piccola aggiunta qua e là. Ma è un copione talmente perfetto che non c’è bisogno di modificarne la struttura, o di sostituire intere battute. Io mi limito a fare qualche cambiamento quando ho difficoltà con l’accento neozelandese. Quando non riesco a dire una battuta con l’accento giusto, allora chiedo a Roger se posso cambiare qualche parola perché suoni meglio. Insomma, piccole cose così, solo per semplificare.
Lavorare con Roger Donaldson
Se il regista è un tipo calmo e tranquillo, va tutto bene. Se ti capita quello che urla e strepita – e può anche essere un attore, io l’ho fatto in passato, lo ammetto – è un problema per tutti. Se c’è qualcosa che non va, meglio prendere da parte una persona e dirglielo in privato. Ci sono registi, invece, che alzano la voce e fanno scenate, e non puoi lavorare così.
Ma con una troupe come questa, probabilmente la migliore che mi sia capitata da anni a questa parte, perché creare problemi? Mentre tu rileggi il copione e impari le battute, un tecnico sistema le luci, il fonico controlla il suono, l’attrezzista la scena – ognuno fa il suo lavoro, insomma, perché alla fine è solo questo, un lavoro. Ci ho messo anni a imparare a rispettare quello che fanno gli altri. Ma forse, se le cose sono andate così bene sul set, è stato anche merito di Burt, del suo spirito che ci ha contagiato. Era un tipo in gamba, amava le donne e aveva un gran senso dell’umorismo. Insomma, mi piace questo Burt. Aveva una personalità prorompente, e probabilmente era anche un uomo molto generoso.
Interviste
Intervista a Roger Donaldson
Che cosa l’ha attratta nella storia di Burt Munro?
Il bello della Nuova Zelanda è che se sei determinato a fare una cosa, quella cosa può realizzarsi. Non sei ostacolato dalla burocrazia o dai preconcetti di gente che credere di sapere cosa sia un cineasta o che tipo di formazione tu debba avere, o se hai i mezzi sufficienti. Questo è un paese che ha sempre sposato la filosofia del “buttati e fallo”, e Burt Munro aveva proprio questa mentalità.
Munro ha deciso di trasformare la sua vecchia Indian del 1920 nella moto più veloce del mondo, e si è lanciato in questa impresa come solo un neozelandese saprebbe fare. Noi la pensiamo così: prendi quello che hai e sfruttalo al meglio, senza stare a lagnarti di quello che non hai.
Sono andato a conoscere Burt Munro perché io e il mio collaboratore, Mike Smith, avevamo la passione per le moto. Avevamo sentito parlare di questo vecchietto, Burt Munro, che stava giù a Invercargill, e aveva una motocicletta che si diceva avesse battuto un record di velocità su strada. Lo abbiamo contattato, e lui ci ha invitato a Invercargill. Ha detto. “Venite qui a vedere la mia moto!”
Mi ricordo ancora quando siamo arrivati a Bainfield Road, dove abitava Burt. Erano circa le undici di sera, e Burt era così contento di vederci che non ha resistito e ha voluto subito farci vedere la moto. Così, l’ha portata fuori in cortile e ha avviato il motore. Il rumore era assordante, e dopo qualche istante le luci hanno cominciato ad accendersi nelle case vicine, e la gente gli urlava dalle finestre: “Burt, vecchio bastardo, spengi quel motore!” Questo era Burt Munro.
Fin dal quel primo momento ho deciso che avrei voluto fare un film su di lui. E siamo riusciti a convincere Burt a tornare in America – cosa che non aveva nessuna intenzione di fare, nel 1971 – promettendogli che avremmo coperto noi tutte le spese. Così, Mike, Burt ed io siamo partiti per l’America. Io e Mike avevamo noleggiato una Mustang, e Burt si era comprato una vecchia Chevrolet, che correva come la Mustang. Per riprenderlo mentre guidava da Los Angeles a Bonneville, lo superavamo a 150 all’ora, e quando avevamo sistemato la cinepresa, Burt ci superava di nuovo.
Lo abbiamo seguito fino a Bonneville, e lì abbiamo girato il documentario che poi è stato trasmesso dalla televisione neozelandese, nel 1973. Si intitolava Offerings to the God of Speed (Offerte al Dio della Velocità), le parole scritte col gesso nel vecchio capanno in cui Burt viveva.
Anthony Hopkins – Intervista
Come è stato coinvolto nel progetto
Be’, ho lavorato con Roger vent’anni fa, nell’83, nel suo film The Bounty, a Tahiti e in Nuova Zelanda. Dopo tanti anni, qualche tempo fa dovevo fare con lui un film su Hemingway, intitolato Papa, ma il progetto non è andato in porto. Per Roger è stata una delusione, e anche per me – ma è così che vanno le cose nel cinema, a volte.
E poi un giorno mi chiama – strana coincidenza – proprio quando anch’io ho deciso di chiamarlo per chiedergli come stesse dopo la delusione di Hemingway. Così, lo chiamo e mi fa: “Tony, hai avuto il mio messaggio?” Io gli dico di no, e lui insiste: “Ti ho appena lasciato un messaggio.” “Cosa?” chiedo io. “Vuoi dire che non mi hai chiamato per rispondere al mio messaggio? Ho una sceneggiatura per te.” E io: “No, non li ho neanche ascoltati i messaggi, oggi.” E lui: “Oh, be’, allora sarà un segno del destino oppure un caso, ma ho qui una sceneggiatura che si intitola “The World’s Fastest Indian “ mi dice. “E’ una bellissima storia. Non so se ti interessa interpretare un pilota, uno che corre in moto.”
Così mi ha mandato il copione quel pomeriggio stesso, e l’ho trovato fantastico. Non so neanche quale sia esattamente il soggetto, ma è ben scritto, veramente ben scritto. Non è il solito filmone hollywoodiano, è una sceneggiatura originale, tutto giocato sulle sfumature. E per me è un grosso cambiamento perché finalmente interpreto un vincente. E’ tutta la vita che interpreto psicopatici o uomini rigidi e imbalsamati, mi sono stufato. Non voglio più fare personaggi del genere. Sono un uomo molto felice oggi, e mi riconosco nella filosofia e nel carattere di Burt Munro.
Chris Williams – Intervista
Sul film e su Burt Munro
Io credo che sia un film da cui la gente trae un senso di speranza. E’ un film fatto col cuore, e tutto costruito intorno ai personaggi. Quasi lo senti battere, il cuore del film, e batte per Burt Munro, un personaggio che ti conquista – non puoi fare a meno di fare il tifo per lui, di volergli bene.
Dà un senso di speranza la storia di quest’uomo che fa migliaia di chilometri per realizzare un sogno quasi impossibile, quello di stabilire un record di velocità in moto, e alla fine ci riesce. Insomma, è una storia incredibile. Credo che la sfrenata gioia di vivere di Burt fosse veramente contagiosa. Nel film sono in molti a esserne toccati, ma credo che anche nella vita reale Burt abbia aiutato tanta gente – gente a cui ha dato una speranza, un pezzetto di sé a cui aggrapparsi.
Anch’io, come il personaggio che interpreto, credo che conoscere Burt ti rendesse una persona migliore – con quei suoi occhi luminosi e spalancati sul mondo, con quel suo modo solare di concepire la vita e di inseguire i suoi sogni. Era impossibile non esserne contagiati. Mi sarebbe piaciuto conoscere Burt Munro personalmente, anni fa, ma sono felice di averlo conosciuto anche così, attraverso l’interpretazione di Anthony. A quanto pare, il suo sogno vive ancora, e vivrà per sempre.
Lavorare con Roger Donaldson
Lavorare con Roger è molto interessante. Anzitutto, devo dire che sono un po’ intimidito da tutti i grandi attori con cui ha lavorato e che hanno dato interpretazioni straordinarie nei suoi film. Intimidisce lavorare con un regista fantastico come lui, soprattutto dovendo interpretare un ruolo così diverso da quelli cui sono abituato. Sono sempre molto attento ai suoi suggerimenti, perché Roger è il tipo di regista che quando va tutto bene non apre bocca, ma se qualcosa non funziona, puoi stare tranquillo che te lo dice. Ha dedicato molto tempo a spiegarmi quello che voleva, ma poi mi ha lasciato libero, intervenendo solo quando qualcosa non lo convinceva. E’ stato meraviglioso lavorare insieme, e mi fido completamente di lui come regista, perché so che non ti lascia solo e che ti porta sempre a dare il meglio. Insomma, è stata una esperienza meravigliosa, davvero. E mi ha fatto un piacere enorme che mi abbia scelto per un ruolo in un film a cui teneva tanto, che era un suo progetto speciale, quasi come un figlio per lui….
Chris Lawford – Intervista
Su Roger Donaldson
Come regista Donaldson è… prima di tutto è uno che sa quello che vuole. La cosa più bella di questo film è che è sempre stato il sogno di Roger, la sua grande passione, fin dagli inizi della sua carriera, quando ha girato un documentario su Burt Munro e ha scritto la prima sceneggiatura del film, 25 anni fa. Ed entrare a far parte del sogno di qualcuno è un onore incredibile – è una gioia anche, un divertimento. Non c’è fatica o tensione, è solo una esperienza meravigliosa. Roger è un regista che sa quello che vuole. Per quanto mi riguarda, con lui non c’è mai stato quel momento che a volte capita con certi registi, in cui pensi: “Oh, mio Dio, qui la nave sta colando a picco!”
Non si innervosisce quando non ottiene quello che vuole. Si prende tutto il tempo che gli serve, con calma. Ha i suoi trucchetti, anche. Per esempio ti fa provare una scena, e poi scopri che la macchina da presa era in funzione, che la scena è stata girata. Tu magari non eri pronto, ma alla fine l’effetto è più naturale, più vero. Questo mi piace.
Su Anthony Hopkins
Beh, vi racconto un aneddoto, su Anthony Hopkins. Ma prima di tutto fatemi dire che lavorare in un film accanto a lui è probabilmente il punto d’arrivo della carriera di qualsiasi attore, certamente della mia.
Quando sono venuto in California facevo già l’attore, e parliamo di 15 anni fa. Conoscevo Tony perché era amico di mio padre. Un giorno l’ho incontrato e gli ho chiesto: “Le andrebbe di pranzare con me e parlarmi del mestiere di attore?” E lui ha risposto: “Ma certo.” Così, abbiamo pranzato insieme. Il silenzio degli innocenti era appena uscito, e io l’avevo visto ed ero rimasto molto colpito dalla sua interpretazione. Allora gli ho chiesto: “Come ha fatto a costruire il personaggio, a trovare la voce giusta, e quella camminata che si vede alla fine?” E lui mi ha risposto: “Io mi preparo sempre allo stesso modo, per ogni ruolo”. “Cioè come?” gli ho chiesto io. “Beh, leggo il copione ad alta voce 100 volte, e ogni 5 letture faccio un segno, una rotella.”
Così, rilegge il copione finché non arriva a 20 rotelle, e lo lascia “depositare” per 48 ore, finché non comincia a ribollirgli dentro. Mi ha raccontato: “Per Il silenzio degli innocenti sono andato a fare una lettura del copione a Salt Lake City, con Jonathan Demme e Jodie Foster. Poi ho preso la mia auto per tornare in California, e quando sono arrivato a Los Angeles, Hannibal Lecter era già lì che scalpitava per uscire fuori.” E poi ha aggiunto: “Se vuoi dirlo ad altri attori, se pensi che possa aiutarli, ti prego, fallo.”
E’ uno degli uomini più generosi che abbia mai conosciuto. E poi ha detto una cosa che mi ha colpito molto: “Per tutta la vita ho desiderato percorrere in auto il Sunset Boulevard, alzare lo sguardo e vedere una di quelle insegne luminose dei cinema, con il mio nome sopra al titolo di un film importante. Stamattina è successo, e sai una cosa? Non mi è sembrato così importante.” Ecco chi è Tony Hopkins.
E’ straordinario nel suo lavoro, e straordinario come uomo. Insomma, ha tanto da insegnarmi sul piano umano, non solo sul piano professionale. E’ bellissimo lavorare accanto a persone come Roger Donaldson e Anthony Hopkins, che sono grandi professionisti ma anche persone meravigliose, piene di umanità. Beh, è così bello che… probabilmente lo farei anche se non mi pagassero!