Continua l’affermazione internazionale di giovani registi spagnoli. Ad aprire le porte e’ stato Alejandro Amenabar (il fulminante “Tesis” seguito da “Apri gli occhi” e dal grande successo di “The others”), poi e’ stata la volta del sopravvalutato Jaume Balagueró (“Nameless” e il deludente “Darkness”). Ora tocca a Juan Carlos Fresnadillo (classe 1967) che aveva gia’ destabilizzato gli spettatori con il cortometraggio “Ruleta” (presentato a vari festival), in cui un gruppo di annoiate casalinghe trasformava un tranquillo te’ pomeridiano in una strage; complice una roulette russa condita da chiacchiere, indifferenza e pettegolezzi. Il felice debutto nel lungometraggio (presente nel cartellone della “Settimana Internazionale della Critica” del Festival di Cannes 2002 e vincitore di due premi Goya in patria) ripropone la stessa passione per l’azzardo in chiave fantasy-thriller. In “Intacto”, si racconta infatti di un uomo che, scampato ad un incidente aereo, viene coinvolto da un ambiguo menagramo in una gara tra “eletti”. Si tratta di sopravvissuti a disgrazie di vario tipo che mettono in gioco, in modo estremo, la fortuna accumulata.

Non si capisce bene quale sia la molla che faccia scattare in una persona gia’ baciata dal fato il desiderio di rimettersi alla prova; forse, oltre al ritorno economico, una sorta di irrazionale bisogno di testare la propria invulnerabilita’, per spingersi sempre piu’ vicino al punto di non ritorno. Un modo per scontare un senso di colpa latente e incolmabile. Il racconto, in un crescendo di trovate ad effetto non sempre motivate ma efficaci proprio per la loro vaghezza, prevede anche la possibilita’ di appropriarsi, attraverso fotografie, della fortuna di altre persone. Girato con eleganza, e pervaso da un’incalzante tensione nonostante il ritmo blando, “Intacto” riesce a creare un’atmosfera di malsana ineluttabilita’ capace di calamitare l’attenzione. Tra i momenti migliori, in grado di eccitare la parte bambina di ognuno di noi e spaventare quella adulta, proprio le sfide tra “fortunati”, in particolare la corsa bendata in un bosco alberato, dove ogni tronco diventa un ostacolo che solo l’intuito permette di evitare. Cupo, non conciliante, fatalmente malefico (e benefico), il film trova negli interpreti adeguate pedine al gioco del destino costruito dal regista: il giovane Leonardo Sbaraglia ha la faccia e il fisico giusti, Eusebio Poncela, nell’ingrata parte dello “iettatore”, ricorda Fred Murray Abraham sia nell’aspetto che nel ruolo di “spalla” in grado di oscurare il protagonista, e Max von Sydow trasmette con toni pacati il suo carisma. Da uno spunto non troppo lontano da “Fearless” di Peter Weir e “Unbreakable” di M.Night Shyamalan, il giovane regista iberico riesce a costruire un film singolare e seducente, in cui il quotidiano si frastaglia in schegge di inquietudine. Peccato per la distribuzione scarsa e l’assenza di promozione che lo hanno gia’ “destinato” all’invisibilita’.

Luca Baroncini