Scheda film

Regia: Toni Trupia
Soggetto e Sceneggiatura: Michele Placido, Toni Trupia, Leonardo Marini
Fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Consuelo Catucci
Scenografie: Nino Formica
Costumi: Andrea Cavalletto
Musiche: Davide Cavuti, Marco Biscarini
Italia/Romania, 2012 – Drammatico – Durata: 98′
Cast: Francesco Scianna, Monica Birladeanu, Michele Placido, Tiziano Talarico, Nicola Nocella, Pietro Bontempo, Andrea Trovato
Uscita: 29 novembre 2012
Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà
Sale:

 Paternità delegata

Visto il film e lette le relative note biografiche si fa fatica ad associare Itaker – Vietato agli italiani ai dati anagrafici del regista che lo ha realizzato, quasi ci si trovi al cospetto di una sorta di ossimoro che invece di materializzarsi sulla carta prende forma e sostanza sul grande schermo. È il caso di Toni Trupia e della sua opera seconda, nelle sale nostrane con Cinecittà Luce a partire dal 29 novembre. A distanza di cinque anni dall’esordio invisibile de L’uomo giusto, infatti, il regista siculo porta al cinema una pellicola caratterizzata da una patina, uno stile, un approccio alla materia narrativa e una scrittura, fin troppo classici e dal gusto retrò da risultare difficilmente attribuibili a un cineasta classe 1979. In tal senso, a giudicare proprio dall’opera precedente, Trupia e il suo cinema sembrano ormai assettati e indirizzati verso su una modalità narrativa e tecnico-stilistica ben precisa, tanto da dimostrare a chi osserva il suo operato di non avere nessuna intenzione di resettarlo oppure di invertire tale tendenza creativa. Ciò consente una duplice lettura analitica: se da una parte un simile atteggiamento lo si può mettere in discussione perché figlio di una mancanza di volontà di rinnovamento, dall’altra lo stesso denota una chiarezza di idee e di intenti che va sottolineata. In entrambi i casi, si tratta comunque di un’arma a doppio taglio e a quanto pare non è Trupia ad avere il coltello dalla parte del manico.
Itaker è il racconto di un viaggio dall’Italia alla Germania, nel 1962. A compierlo è Pietro, un bambino di 9 anni orfano di madre, partito per ritrovare il padre emigrato, di cui da tempo non si hanno notizie. Con lui, un sedicente amico del padre, Benito, un giovane uomo dai trascorsi dubbi in cerca in Germania di un riscatto personale. Sul loro percorso Pietro e Benito incontrano mondi diversi: quello della fabbrica di Bochum, la comunità italiana in città (gli itaker, “italianacci”, uno dei tanti appellativi degli emigrati italiani in Germania); il mondo dei magliari, del contrabbando – fatto di valige ed espedienti – quello dell’incontro non sempre pacifico tra italiani e tedeschi. Diverse piccole patrie in cerca di identità. Sullo sfondo di una storia cruciale ma poco ricordata, il racconto di una crescita e della lotta sempre presente tra sopravvivenza e sentimenti.
D’accordo la volontà di rivolgere uno sguardo al passato filtrandolo attraverso gli occhi del giovane co-protagonista, ma un simile modo di fare cinema, certe storie e dinamiche necessitano di un vissuto, di un background, di una maturità artistica, ma anche umana, che per motivi generazionali e anagrafici non appartengono al trentatreenne regista siciliano. Itaker è la cartina tornasole di questo gap, nonostante soggetto e sceneggiatura siano il frutto di un lavoro congiunto al quale ha partecipato Michele Placido, che nel film ricopre anche il ruolo del boss di turno, Pantanò. Con ciò non si vuole minimamente mettere in discussione la sensibilità di Trupia, non è nelle nostre intenzioni anche perché lo stesso regista dimostra in molti passaggi di saper lavorare su certe dinamiche emozionali. A giovarne, infatti, sono i personaggi e gli attori chiamati a interpretarli, in particolar modo Nicola Nocella e la coppia Scianna-Talarico, rispettivamente nei panni di Goffredo e dei due protagonisti Pietro e Benito. Quest’ultimi offrono alla platea gli sguardi e i dialoghi più intesi tra quelli presenti in una sceneggiatura che delinea bene i personaggi, gli mette in bocca battute mai stonate, ma soffre di continui sali e scendi, passaggi a vuoto e stasi che rallentano la narrazione appesantendola.
Contestabile, piuttosto, è la scelta di sposare certe storie così lontane da chi le racconta, più adatte a cineasti vicini storicamente a esse, nonostante l’impegno dimostrato dal regista nel farle proprie attraverso un indubbio e certosino lavoro di documentazione che traspare dall’opera, alimentato da riferimenti letterari come “Radio Colonia” e cinematografici come Pane e cioccolata di Franco Brusati. Da questi Itaker prende temi importanti e alti come il recupero dell’identità, la difficoltà di integrarsi e l’emigrazione, affiancandoli al centro nevralgico di un plot che parla di un legame affettivo paterno venuto meno e da ricostituire. Trupia sceglie di trattare il tutto con un registro prettamente drammatico, al contrario di Brusati che nel 1973 mette in scena un equilibrio perfetto tra umorismo, malinconia, pietà e satira. A Itaker manca l’equilibrio necessario a cucire i nodi del racconto, a rendere il tutto scorrevole e senza intoppi drammaturgici, a permettere a tutta la messinscena di risultare credibile (le integrazioni di computer grafica usate per completare la fabbrica che appaiono posticce), ma è un film al quale va riconosciuto almeno il merito di avere portato sul grande schermo un pezzo rimosso della nostra Storia, che di spazio ne ha avuto davvero poco, ossia il periodo della seconda ondata migratoria, al contrario della prima tanto celebrata e persino mitizzata da film come Nuovomondo o Il Padrino.

RARO perché… è il solito film sull’emigrazione italiana che fu…

Voto: * ***

Francesco Del Grosso