Scheda film
Regia: Clint Eastwood
Sceneggiatura e Music Book: Marshall Brickman & Rick Elice
Fotografia: Tom Stern
Montaggio: Joel Cox e Gary D. Roach
Scenografie: James J. Murakami
Costumi: Deborah Hopper
Musiche: Bob Gaudio – Testi: Bob Crewe
Coreografie: Sergio Trujillo
USA, 2014 – Biografico/Musical/Drammatico – Durata: 134’
Cast: John Lloyd Young, Erich Bergen, Michael Lomenda, Vincent Piazza, Christopher Walken.
Uscita: 18 Giugno 2014
Distribuzione: Warner Bros. Pictures
I quattro del Jersey selvaggio
Lo aveva sospirato tanto un musical, ed alla fine è arrivato. La storia perfetta per Clint Eastwood nella quale racchiude parte della sua ideologia cinematografica mixandola con il suo primo amore: la musica. La sua passione per questa forma d’arte nasce durante l’adolescenza, tanto da portarlo ad iscriversi alla Facoltà di musica della Seattle University (1951) per poi però doverci rinunciare a causa della guerra scoppiata tra la Corea e gli Stati Uniti e la conseguente partecipazione ai corsi militari. Nella sua carriera ha saputo ritagliarsi molte occasioni nelle quali ha portato la sua passione e il suo talento per la musica ad eccellere; è stato nominato ai Golden Globes per aver composto i temi musicali di due suoi capolavori: Million Dollar Baby (2005) e Changeling (2008). Il binomio musica/regia ha avuto la sua consacrazione con l’indimenticabile Bird (1988) , la struggente storia del jazzista Charlie Parker, per il quale ha ricevuto il Golden Globe per la Migliore Regia.
Quando Mr. Eastwood ha scoperto la storia di Frankie Valli e dei Four Seasons (Bob Gaudio, Nick Massi e Tommy De Vito), non si è fatto scappare l’occasione di produrre e dirigere Jersey Boys, affiancato dai suoi migliori collaboratori di sempre: Tom Stern (fotografo), James J. Murakami (scenografo), Joel Coex e Gary D. Roach (montatori) e Debora Hopper (costumista).
Liberamente ispirato al musical di Broadway campione di incassi “Jersey Boys”, vincitore del Tony Award e riproposto in tutto il mondo dal 2005 ad oggi, il film racconta la storia di quattro ragazzi del New Jersey diventati famosi negli anni ’60 per aver cambiato il modo di fare musica, soprattutto grazie alla voce “in falsetto” caratteristica del leader del gruppo Frankie Valli. Qui e come a teatro, egli è interpretato dal vincitore del Tony Award John Lloyd Young; tuttavia se sul palcoscenico ricopriva il ruolo di protagonista, per le strade e nella vita è un altro componente del gruppo, Tommy DeVito (Vincent Piazza), a tirare le fila dell’altra faccia della band, basata sulla delinquenza e legata indissolubilmente alla Mafia e al boss Gyp DeCarlo (un impeccabile Christopher Walken). Il coinvolgimento di Tommy in affari sporchi porterà tutta la band verso il declino e lo scioglimento. Frankie e Bob Gaudio (Erich Bergen), fondamentale membro della band autore dei più grandi successi del gruppo come ad esempio “Sherry”, “Big girls don’t cry”, “Walk like a man”, “Bye Bye baby” e molti altri, prenderanno un’altra via e riusciranno a sistemare i problemi con la malavita organizzata e allo stesso tempo a sfornare ancora pezzi come “Can’t take my eyes off of you” che gli apriranno le porte della Hall of fame.
Il film del cineasta californiano si mantiene su livelli medi rispetto ad altri suoi lavori, sicuramente più riusciti. A prima vista sembra un mix tra Music Graffiti (1996) di Tom Hanks e Quei bravi ragazzi (1990) di Martin Scorsese. Da queste tematiche prende vita la sceneggiatura di Marshall Brickman e Rick Elice, la quale è concreta e non presenta particolari sbavature, in simbiosi con la regia di Eastwood sempre molto pulita ed asciutta dove il formalismo e il rigore la fanno da padrone. La storia è narrata, come nel musical originale, in prima persona da ciascun interprete, dalla nascita del gruppo al loro epilogo. Questo modo di raccontare parte della storia direttamente alla spettatore rende il film molto personale e quindi coinvolge emotivamente. Lo fa anche il deputato Frank Underwood (Kevin Spacey) nella serie tv USA House of Cards con ottimi risultati di partecipazione del pubblico all’interno della trama. Nelle meravigliose parti canore l’entusiasmo è contagioso, sembra di essere ad un concerto e si ha la sensazione di essere in tour con i Four Seasons, che di palco in palco ci trasmettono forti emozioni attraverso il loro repertorio musicale.
Clint Eastwood ha sempre navigato in acque torbide dove l’animo umano viene messo alla prova dall’esperienza della violenza e del male. Qui quel clima cosi piovoso è meno presente, ma lo troviamo ugualmente. L’aggregazione, quel senso di comunità riparatrice che ha caratterizzato le sue opere più espressive come Million Dollar Baby (2005), Gli spietati (1993) (che gli hanno valso 4 Oscar tra regia e produzione) e che ritroviamo in tutta la sua filmografia, è presente anche in Jersey Boys. Ogni volta che i 4 ragazzi (ormai una nuova famiglia) salgono sul palcoscenico vivono il loro momento di gloria dove tutto il male sembra scomparire e la voglia di ricominciare con il piede giusto si impossessa della loro anima; ma nella realtà i segni di un’adolescenza disagiata, fatta di furti e di entrate ed uscite dalle prigioni, rimangono e quindi non tutto può essere riparato ma non per forza perduto. Ad un certo punto, in un luogo del mondo, in un angolo illuminato da un lampione, il quartetto è alla ricerca del sound perfetto e sembra dirci che tutto quello che avviene dentro il fascio di luce sia irrealizzabile fuori. Il regista ha questa visione nel suo dna ma “questa volta” trova una speranza al di là di tutto, non limpida e perfettamente chiara ma in linea con il suo attuale pensiero di rinascita e di fiducia verso l’America, come conferma il finale del film.
Tutto il team creativo ha dato un eccellente supporto al film; spicca la fotografia di Tom Stern (nomination all’Oscar 2008 per Changeling) da cartolina vintage, che paiono immagini di un tempo trattenuto e poi ritrovato.
Un aspetto innovativo, già visto in Les Miserables (2012) di Tom Hooper, sono le canzoni cantate dal vivo dagli attori durante le riprese, dove si può realmente vedere il valore delle performances, peraltro di altissimo livello.
L’omaggio al vero musical teatrale è messo in scena durante i titoli di coda, come un’uscita dell’intero cast sul palco dopo il calo del sipario. Tutti ballano e cantano sulle note della splendida “December 1963 (Oh, What a Night)”; manca solo il cineasta americano che però durante il film si regala un cameo (da giovane attore western) in una tv in bianco e nero, una vera chicca.
Voto: 6 e ½
David Siena