Scheda film
Regia: Frank Pavich

Fotografia: David Cavallo
Montaggio: Paul Docherty e Alex Ricciardi
Musiche: Kurt Stenzel
Suono: Phil Macdonald e Brice Picard
Francia/USA, 2013 – Documentario – Durata: 90′
Cast: Alejandro Jodorowsky, Michel Seyodux, H.R. Giger, Amanda Lear, Brontis Jodorowsky, Chris Foss, Christian Vander
Uscita in sala: 6-7-8 settembre 2021
Distribuzione: Valmyn

Arenato tra le Dune…

Le opere incompiute o mai realizzate dai grandi registi costellano come gemme preziose il firmamento della cinematografia mondiale: Kubrick non girò mai il suo Napoleone nonostante anni di sopralluoghi, né il progetto sull’Olocausto Aryan papers, sul quale ebbe un ripensamento all’uscita di Schindler’s list di Spielberg; mentre Leone può contare almeno due film mai portati a termine, quello sull’assedio di Leningrado e il western Un posto che solo Mary conosce, di cui rimane almeno il soggetto che il figlio vorrebbe far realizzare; il Viaggio di G. Mastorna, di cui Manara almeno fece una versione a fumetti, pesa sulla filmografia di Fellini; Jerry Lewis conserva gelosamente il suo The day the clown cried su un pagliaccio in un campo di concentramento nazista.

Esistono poi quei film persi per lungo tempo che in qualche modo hanno però visto la luce: il proverbiale Cani arrabbiati di Mario Bava, finito, ma rimasto bloccato dal fallimento del produttore Roberto Loyola e poi sdoganato dall’attrice del film Lea Lander, come anche dal figlio Lamberto che ci rimise ampiamente le mani, tanto che alla fine ne esistono ben 6 versioni; A.I. – Intelligenza artificiale pensato a lungo da Kubrick e poi portato sul grande schermo da Spielberg, che realizzò un’opera affascinante, ma ibrida.

L’indiscutibile richiamo di pellicole del genere, spesso vere e proprie ossessioni per i loro autori, sta nell’essere confinate in quello strano limbo che le vuole ormai maledette ed impossibili: passato e superato quel particolare momento storico, vuoi anche per la scomparsa dell’autore, quei film sono ormai perduti per sempre e assurgono ad un altro tipo di narrazione, quella orale, che li vede ormai raccontati come favole per addormentare i bambini la sera o per titillare i sogni di indomiti fan.

Una di queste opere è Dune di Alejandro Jodorowsky, la cui fama si perde in quei lontani anni settanta, quando non si riuscì a realizzarlo. Il romanzo di Frank Herbert ebbe poi ben due adattamenti cinematografici, quello firmato due lustri dopo da David Lynch, altro cineasta “di culto”, che in qualche modo ereditò il progetto (dopo l’abbandono di Ridley Scott), affidatogli da Dino De Laurentiis, ma non ebbe il director’s cut, ed una televisiva, più lunga e completa, ma per niente visionaria e perciò molto discutibile; più l’ultima (quella “definitiva”?) di Denis Villeneuve, che debutterà fuori concorso a  Venezia 2021, la cui imminente uscita ha contribuito al recupero in sala di questo bellissimo documentario datato 2013.

Come del “Necronomicon” e di altre opere, immaginarie o solo immaginate, di cui nessuno ha mai fruito, tutti dicono ogni bene possibile, forse esagerando o forse no. Uno dei rimpianti più grandi del Dune di Jodorowsky è che sicuramente, venendo prima di Guerre stellari (siamo intorno al 1975), avrebbe cambiato il concetto di blockbuster ed il modo del pubblico di approcciarsi ad esso. L’altro è che avrebbe messo insieme una quantità di talenti mai visti prima nella stessa pellicola: Salvador Dalì & Amanda Lear, Orson Welles, David Carradine, Mick Jagger; le arti di Dan O’ Bannon, H. R. Giger, Chriss Foss e Jean Jiraud; le musiche dei Pink Floyd e dei Magma.

Grandissimo affabulatore e ancora indignato dopo tanti anni, il regista di El topo, all’epoca di questo documentario ottantaquattrenne (e ormai splendido novantaduenne!), ci accompagna nel suo universo immaginato, grazie anche alle animazioni di Syd Garon che cercano di restituirci le visioni di Moebius, autore dello storyboard, facendoci vedere ciò che nessun altro ha mai visto prima. Durata stimata intorno alle 14 ore (!), personale reinterpretazione con pesanti rimaneggiamenti della trama del romanzo in un’ottica spirituale, Dune era un colosso che affascinava ogni collaboratore che veniva interpellato e che non poteva certo negarsi, ma spaventava tutti i produttori hollywoodiani che venivano contattati.

Il documentario di Frank Pavich prima ci stuzzica con degli assaggi e poi ci conduce all’interno della titanica impresa, lasciandoci davvero l’amaro in bocca per qualcosa di irrealizzato ed ormai irrealizzabile. Del film rimane solo un enorme librone con tutti i circa 3000 disegni dello storyboard tracciato da Moebius, una copia del quale giace in ogni studio hollywoodiano che si rispetti e che non potè non lasciare un’impronta su tutti i film di fantascienza degli anni a venire.

Dune di Alejandro Jodorowksy ha cambiato la storia del cinema mondiale anche senza essere realizzato: Giger, O’ Bannon e Moebius fecero da consulenti per Alien, sempre O’ Bannon collaborò al primo episodio di Guerre stellari, tracce del lavoro di Giger di allora si ritrovano ancora in Prometheus (prequel di Alien) di Ridley Scott e alcune idee del regista cileno si apprezzano in Terminator.

Jodorowsky’s Dune è l’ennesimo, ammaliante saggio sul cinema e sull’industria cinematografica, che sembra ripetere eternamente le stesse dinamiche. Come afferma più volte il regista cileno, “il cinema è arte e non dovrebbe immischiarsi col denaro”, ma così è.

Voto: 8

Paolo Dallimonti