Scheda film
Titolo originale: Matar a dios
Traduzione letterale: Uccidere dio
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Caye Casas e Albert Pintó
Fotografia: Miquel Prohens
Montaggio: Jordi López
Scenografie: Cristina Borobia e Toni Castells Zamora
Costumi: Marina Díaz e Cora Beas Moix
Suono: Adrià Campmany Buisán e Bernat Fortiana
Spagna, 2017 – Fantastico – Durata: 90′
Cast: Eduardo Antuña, Itziar Castro, Emilio Gavira, Francesc Orella, David Pareja, Boris Ruiz,
Uscita nel paese d’origine: 11 ottobre 2017 (Sitges)
Dio li fa e poi li accoppa
Prologo: un barbone nano (Emilio Gavira) si para dinanzi ad una vettura sulla neve per non lasciarla passare. Afferma di essere Dio e prevede la morte degli occupanti, che sotto forma di incidente stradale arriva immediatamente.
Una famiglia, abbastanza disfunzionale come scopriremo, si appresta a festeggiare, si fa per dire, il Capodanno. Il marito Carlos (Eduardo Antuña) e la moglie Ana (Itziar Castro) aspettano il padre ed il fratello di lui. La cena sarà l’occasione per tirare fuori non pochi sassolini dalle scarpe di ciascuno, finché dal bagno salterà fuori il nano di cui sopra, che, ribadendo di essere Dio, annuncerà l’imminente fine dell’umanità, prevista per l’alba successiva, alla quale potranno sopravvivere solo due persone che i quattro dovranno nominare… Ma sarà vero?…
Trionfatore a numerosi festival, tra cui quello di Sitges ed il Fantafestival romano del 2017, Matar a Dios di Caye Casas e Albert Pintó è una sagace black comedy che segna il debutto del duo registico nel lungometraggio di finzione, dopo alcuni cortometraggi.
Siamo dalle parti di molto cinema di genere spagnolo e, anche per i pochi personaggi chiusi in un ambiente ristretto contro qualcosa di più grande di loro, soprattutto del migliore Alex De La Iglesia – che già toccò il tema mistico nel corto The confession inserito nel collettivo Words with Gods del 2014, passato quell’anno a Venezia, cui questo film curiosamente deve qualcosa – dal quale si la pellicola si differenzia, se possibile, per la più elevata cattiveria e per un maggiore gusto splatter. Più un pizzico dei primi Jeunet & Caro e, secondo gli autori, una punta di Terry Gilliam.
Nell’ora e mezza di durata, vengono enunciate molte verità e i molti dubbi dell’uomo, sempre pronto ad invocare un dio cui chiedere qualcosa, ma che, quando per sbaglio sembra averlo davanti, stenta a crederci. Diffondendo ironia (e divertimento) a piene mani, i due registi iberici realizzano un film in cui si ride molto, spesso a denti stretti, grazie anche ad una sceneggiatura che snocciola di volta in volta elementi rivelatori sui cinque personaggi principali facendoci cambiare puntualmente opinione su di loro. In mezzo ad una scenografia cupissima di Cristina Borobia e Toni Castells Zamora, allestita nel corso di ben due mesi – una casa densa di presenze, quasi un ulteriore elemento della narrazione ed unico ambiente della storia, che riempie ogni inquadratura – illuminata dall’ancor più angosciante fotografia di Miquel Prohens si consuma il dramma di una famiglia che, anche per la grottesca situazione, finirà per diventare quello dell’intera umanità. Un’opera da camera, dalla forte impronta teatrale, ma resa estremamente cinematografica proprio dallo stile virtuosistico e sopra le righe scelto dai due registi esordienti.
RARISSIMO perché… è una black-comedy molto corrosiva!
Note: vincitore di diversi festival tematici, tra cui il XXXVII Fantafestival, il film NON è MAI uscito da noi.
Voto: 7 e ½
Paolo Dallimonti