Uno sceneggiatore a Los Angeles cerca di dare un senso agli strani eventi che si verificano intorno a lui . Mentre lui ha successo nella sua carriera , la sua vita è vuota . Ossessionato dalla morte di un fratello, egli trova conforto temporaneo nell’eccesso di Hollywood che detta la linea della sua esistenza . Le donne danno una distrazione al dolore quotidiano che deve sopportare . E ogni incontro che gli capita lo porta più vicino a trovare il suo posto nel mondo.

Quando Terrence Malick ha mostrato il suo ultimo film, To the Wonder, al festival del cinema di Venezia due anni fa mi sembrava un film coraggioso e sincero sulla crisi di coppia nella vita quotidiana. E ‘stato  di grande impatto visivo, ambizioso, l’utile complemento di Tree of Life . Con il suo ultimo film, però, Malick ha francamente abbassato molto l’asticella. Lui è sempre unico, ma il suo stile è stagnante e diventa manierismo, cliché e auto-parodia. Dove una volta usava il suo linguaggio visivo trascendente per evocare il cuore dell’America, ora fatica a ripetersi in questa storia ambientata a Los Angeles, dove uno sceneggiatore interpretato da Christian Bale subisce la crisi spirituale che regge la storia. Pedantemente introdotto dalla voce di John Gielgud vediamo l’ormai molto familiare montaggio-melange di immagini e di idee: i tramonti, i doppiaggi sussurrati, le affascinanti (ma in termini narrativi del tutto usa e getta) giovani donne in abiti fluttuanti .

Bale interpreta Rick, nel bel mezzo di una carriera da super-hot e super-ricco. Ma è in crisi dopo il crollo del suo matrimonio con Nancy (Cate Blanchett) – un medico ospedaliero intelligente. Egli è anche tormentato da relazioni complesse e dolorose con il papà e il fratello. Per essere uno scrittore, non scrive mai. Il tempo di Rick trascorre tra belle donne giovani semi-vestite che si pavoneggiano intorno a lui in appartamenti vuoti e suite d’albergo, o alle feste piene di celebrità.

Ma ciò che appare evidente da Knight of cups (il titolo è tratto da una carta dei Tarocchi – Rick va da un lettore di tarocchi, come parte del suo viaggio interiore) è che l’eroe è un campione di autocommiserazione. L ‘identificazione col protagonista è dubbia, e la risonanza mitologico e spirituale di tutto ciò che vediamo è del tutto noiosa. Ci sono alcuni tocchi felici. Antonio Banderas ha un cameo accattivante come l’ospite di una sontuosa festa. E c’è un grande momento surreale in cui un cane, con indosso una maglietta hawaiana si tuffa nella piscina in cerca di una palla: da subacqueo, vediamo la sua grande mascella.

Ma purtroppo per ogni pizzico di poesia, ci sono chili di noia, e di prosa banale.

L’ultimo film di Malick,che porta all’ennesima potenza le tematiche di Tree of Life e poi To the Wonder, segna un inevitabile calo creativo e formale del regista, che sembra ormai avviato a citare se stesso in ogni film. Difficile appassionarsi a questa crisi esistenziale patinata e in mezzo a belle donne e meravigliose ville di Hollywood. Una sorta di 8 e mezzo sui generis.

Vito Casale