Scheda film
Regia: Spike Lee
Soggetto e Sceneggiatura: David Benioff
Fotografia: Rodrigo Prieto
Montaggio: Barry Alexander Brown
Scenografie: James Chinlund
Costumi: Sandra Hernandez
Musiche: Terence Blanchard
USA, 2002 – Drammatico – Durata: 135′
Cast: Edward Norton, Barry Pepper, Philip Seymour Hoffman, Rosario Dawson, Anna Paquin, Brian Cox, Tony Siragusa
Uscita: 18 aprile 2003
Distribuzione: Buena Vista International Italia
Questo è un capolavoro…
Questo è un capolavoro. Un grande film che lo si potrebbe vedere anche una volta l’anno emozionandosi ogni volta. E le radici di tale successo – anche commerciale, se vogliamo, ma soprattutto di nicchia – stanno nel grande senso di umanità che pervade tutto il film. A tratti si torna indietro nella narrazione, un paio di volte (l’incontro con Naturelle), per il resto il racconto è lineare, chiaro, scandito come da una marcia marziale, militare e implacabile, che accompagna Edward Norton alla resa dei conti con la giustizia terrena.
Grande è la sceneggiatura, realistica e attendibile, e grandi sono gli attori, tra cui svetta Seymur Hoffmann che fa l’amico di infanzia ebreo, ricco di quegli ebrei che si vergognano della ricchezza, impacciato con le donne e un po’ incartato su se stesso, insegnante triste e rassegnato, e Norton, grandissimo ma in una parte tipica delle sue corde.
Il finale è la gemma del film. E’ un finale molto lungo (circa 30 minuti), articolato e aperto, in cui cambia la pellicola e si entra in una sorta di sogno, dimensione onirica, immaginifica, e non si sa cosa sceglierà Norton tra fuggire via in Messico o consegnarsi alla giustizia e scontare 7 anni di carcere in un penitenziario sovraffollato in cui sarà proibitivo sopravvivere.
I momenti chiavi del film sono 2, il finale appunto, e a metà circa la sequenza in cui Norton è davanti allo specchio, guarda la scritta “Fuck you”, nella birreria gestita dal padre, guarda se stesso e maledice con terribile violenza tutte le minoranze presenti a New York (c’è molta New York!) per i più svariati motivi, concludendo che la colpa non è dei russi, italiani, portoricani, dominicani, irlandesi, bensì la sua, “che avevi tutto e l’hai buttato via”…
Il rapporto con la splendida Naturelle è intenso, ma quello che colpisce di più è il legame con i due vecchi amici, Hoffmann e l’agente di borsa, il biondo broker spavaldo, donnaiolo incallito che lo pesterà pur di aiutarlo.
Se il marchio distintivo di Spike Lee era sempre stato la tematica razziale, la difesa dei fratelli neri (Fa la cosa giusta, Jungle fever), qui si vede un tocco più maturo, crepuscolare nello sguardo in basso verso ground zero dal balcone del broker, e quasi romantico nell’insistenza del padre che vuole accompagnarlo in carcere, cui Norton ribatte in lacrime: “Papà, non puoi accompagnarmi in carcere…”.
“Non hai capito un cazzo, come al solito (…)”
“Non hai capito un cazzo, come al solito. I ragazzi carini come Monty non sopravvivono in carcere. Monty deve andare in galera, non è nessun percentile, non esiste, è zero”. Questo dice il miglior amico di Monty a Seymour Hoffmann nell’ultima serata che i tre trascorrono insieme. Con cinismo devastante. Ma è la verità. “Monty viveva con la sofferenza degli altri, e se vuoi saperlo se lo merita. Tu ce l’hai un’auto da collezione? Beh lui ce l’ha. Tu ci sei stato alle Bahamas in 1^ classe? Beh lui si.”
Eppure noi fin dall’inizio facciamo il tifo per Norton/Monty, chiamato così dalla madre in onore di Montgomery Cliff. Si, facciamo il tifo per uno spacciatore perché non s’è mai visto uno spacciatore così. Elegante, gentile, ironico, una parola per tutti, talmente buono da salvare un cane da morte sicura e affidarlo con raccomandazione a un amico fidato. Monty è un grande, un vincente. Ha una ragazza stupenda e sensuale, Naturelle. Di una sessualità conturbante. Conduce una vita di agi e lussi. Dovunque va conosce tutti e sa sempre cosa fare. Monty è ciò che vorrebbe essere ciascuno di noi e non gli va giù che debba andare a marcire in galera, per sette anni.
“Ora ti spiego come funziona” – prosegue il Broker – “Se Monty se ne va noi non lo vedremo più. Se Monty entra in carcere noi non lo vedremo più. Se Monty tira il grilletto è finita. In ogni caso noi non lo vedremo più. Questa è l’ultima sera”. I dialoghi tra gli amici di Monty sono stupefacenti, anche divertenti a tratti, e sempre pervasi da quell’iperrealismo post 11 settembre di cui ormai l’americano medio non può privarsi. Nell’ultima ora di film tu stai aspettando che succeda qualcosa. Ne hai la certezza. La litania in sottofondo come di tamburi militari non ci lascia più e sei angosciato da quale decisione prenderà Monty. Devi fuggire, devi fuggire… e io che farei? E’ questo il tema esistenziale del film.
Ma Monty si sforza di rimanere calmo. Se ne va in discoteca con gli amici l’ultima sera. Scherza e beve champagne. E’ l’alba e i tre guardano i rimorchiatori passare lungo la baia di New York. Monty non ha ancora deciso.
Voto: . . .
Claudio Bacchi