Titolo originale: Der Untergang
Nazione: Germania
Anno: 2004
Genere: Drammatico
Durata: 150′
Regia: Oliver Hirschbiegel
Sito ufficiale: www.deruntergang-special.film.de
Sito americano: www.downfallthefilm.com
Cast: Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Corinna Harfouch, Ulrich Matthes, Juliane Köehler, Heino Ferch, Donevan Gunia, Karl Kranskowski
Produzione: Constantin Film Produktion GmbH
Distribuzione: 01 Distibution
Data di uscita: 29 Aprile 2005 (cinema)
Oliver Hirschbiegel indaga nel segreto oscuro della Germania estraendone il nucleo più controverso, più ambiguo. Eppure lo fa placidamente, classicamente, ponendo i suoi personaggi su di un palco storico ben allestito che progressivamente decade. Il fuori e il dentro del colossale bunker appaiono per quello che sono, universi incomunicabili in cui germinano le ultime speranze venate di follia, e in cui il faticoso processo di iniziazione al nazismo si rivela, sfranto e indebolito, nella sua crudeltà insensata, affascinante, priva di progetto nonostante l’ostentata lucidità. Bruno Ganz è un Hitler anziano, isterizzante, in ansante cerca della propria dignità e ben lontano dal groviglio nervoso e perverso del condottiero demonico che ci aspetteremmo. Accanto a lui fantocci dall’umanità incerta affetti da superomismo, cannibalismo storico e certezza barcollante. La certezza è unica, autoimposta, e mina la psiche dei gerarchi imbolsiti in piccole dosi fino a concentrarsi teatralmente nelle gesta dei coniugi Goebbels, in particolare nella quadratura del volto della signora, che coinvolge membra e futuro dei figli nell’incurante trapasso tra le canzoni popolari e i giochi gioiosi nel bunker e la morte collettiva, lenta, placida. Eva Braun è una figurina manieristica, iperattiva e spenta allo stesso tempo, affiancata dalla paura sanguigna della sua domestica e della segretaria Traudl Junge. E’ proprio attraverso il viso e gli occhi spalancati dell’effettiva protagonista che il racconto acquista quei sudori e quei tremori tipici della finzione cinematografica, arricchendosi e fingendo di scivolare nel sentimentalismo per poi riprendersi. La prima visione distorta del salone ombreggiato attraverso il malore di Traudl da il via ad una serie di visioni sottili, impercettibili eppure classiche. La vigliaccheria umana e l’indecisione della ragazza contro la granitica convinzione della “madre ideale” Goebbels, forse, un coacervo di passione depravata e forza cieca che inevitabilmente e fortunatamente si spezza. La normalità del generale-medico e di Traudl conducono alla normalità evolutiva della storia, venata di singulti e volti che rimandano sobriamente alla Germania anno 0 rosselliniana. La sobrietà e la fotografia oscurata, ad anticamere, renderebbero La caduta un perfetto sceneggiato da prima serata, da somministrare moderatamente e inesorabilmente al pubblico generalizzato, insidiato da revisionismi di dubbia provenienza. Perché il film non ha simbolismi, o meglio ne ha ma di sottili, nascosti nella trattazione apparentemente hollywoodiana e nello svolgimento regolare. Non vuole avere picchi metaforici,né inferire tagli lancinanti ed ellittici allo spettatore attento e rintanato nell’oscurità della sala, e per questo, nella sua perfezione stilistica e nella sua obiettività etica, si presenterebbe come antidoto alla distrazione, all’indifferenza e al finto dolore.
Chiara F