Sergio (Mimmo Calopresti) è un architetto di successo, è sposato e ha un figlio, ha amanti passeggere. La vita sembra sorridergli in tutto benché un’inquietudine di fondo lo spinga a correre troppo, anche in auto. Fino a schiantarsi contro un guardrail. Sopravvive per miracolo all’incidente ma non riesce a riprendere la vita di prima come se nulla fosse stato. Si separa dalla moglie, lascia il lavoro, perde gli amici, cade in una depressione profonda. Il senso della vita è venuto meno, almeno per il momento.
L’elemento portante del film è l’autobiografismo, non è un caso che sia lo stesso regista a vestire i panni del protagonista. E non sempre con un esito felice. La sincerità e il desiderio di condividere con il pubblico la propria ricerca esistenziale sono in sé apprezzabili benché ridondanti. Perché scegliere un film, e non un libro-confessione o un articolo di giornale, per sviscerare un tema in maniera così pedagogica? Tolta la bellezza e la fotogenia di Francesca Neri, di filmico resta ben poco. I sermoni moralistici che Sergio infligge agli amici (e agli spettatori) appesantiscono notevolmente la visione. Prevale l’impressione che il regista si prenda un po’ troppo sul serio.
Da salvare è lo spunto che dà anche il titolo alla pellicola. È sì possibile essere felici ma a caro prezzo. Bisogna avere il coraggio di guardare in fondo a se stessi ed essere pronti a perdere tutto nella dolorosa ricerca della propria verità. Psicoanalisi, ancora una volta. Però, in questo caso, non ben “digerita”.
Mariella Minna