Dramma familare, su un marito fedigrafo che spasima per la sorella della moglie. Visivamente notevole, e con interessanti spunti drammatici. Alla lunga però un po’ ripetitivo.
Voto 6 ½

cast tecnico
Regia Frédéric Fonteyne
Sceneggiatura Philippe Blasband Frédéric Fonteyne
in collaborazione con Marion Hansel
1° Assistente alla regia Manu Kamanda Soggetto Josiane Morand
Fotografia Virginie Saint Martin Scenografia Véronique Sacrez
Costumi Christian Schnezler Anne Fournier Agnès Dubois Trucco Mabi Anzalone Suono Carlo Thoss Montaggio Ewin Ryckaert Montaggio Suono Et enne Curchod Missaggio Franco Piscopo Musica Vincent D’Hondt Durata 108 min.

Dopo il riuscito “Una relazione privata”, che valse alla protagonista Nathalie Baye la Coppa Volpi a Venezia nel 1999, Frederic Fonteyne torna a scandagliare l’intrico dei sentimenti. Lo spunto per questa pessimistica riflessione sul rapporto a due e’ l’omonimo romanzo di Madeleine Bourdouxhe, ancora inedito in Italia, in cui si descrive il non facile menage di una coppia sposata con due figli. La vicenda si svolge nella anni Trenta nell’ambiente operaio: lei e’ una casalinga, lui lavora agli altoforni e rincasa spesso tardi. Nella donna si insinua il tarlo della gelosia nei confronti della sorella, giovane e bella. Quando i dubbi diventano certezze la protagonista accettera’ qualsiasi umiliazione pur di tenersi stretto il marito, fino a una presa di coscienza dagli esiti distruttivi. Il regista belga riduce al minimo i dialoghi e indaga con la macchina da presa nei silenzi e negli sguardi dei personaggi: allusivi, speranzosi, pieni di rabbia, bisognosi d’amore, accesi di desiderio, offuscati dalla follia. E’ questo l’aspetto piu’ interessante della regia di Fonteyne, che ha un incedere quasi virtuosistico nel rendere per immagini il non detto. Convince meno laddove e’ la parola ad essere protagonista: i quadretti familiari con i figli (che appaiono e scompaiono a seconda delle esigenze del copione), la caricaturale insensibilita’ del marito e i suoi assurdi sfoghi con la moglie, ma anche le scene di sesso, in cui l’irrazionalita’ del legame e’ esplicitata in una messa in scena che sa di fasullo. Sta di fatto che il film, lungi dall’appassionare, si dilunga tra prolissita’ e poca verve e non riesce a sostanziare (la colpa e’ anche della sceneggiatura) il rapporto della protagonista con un uomo rozzo, disumano e psicopatico. Quasi come in un thriller americano il moltiplicarsi dei finali rallenta inutilmente l’epilogo. Brave le interpreti femminili, sia la protagonista Emmanuelle Devos che la graziosa Laura Smet (figlia di Nathalie Baye); un po’ eccessiva la foga con cui Clovis Cornillac trasmette l’ossessione del suo amore.
Luca Baroncini (da www.spietati.it)

sinossi

Anni ’30 in un ambiente operaio.

È la storia di Elisa. Elisa è la donna di Gilles. Gilles lavora agli altiforni, alcune volte di giorno, altre di notte. Un altoforno non si ferma mai.

Elisa si occupa dei bambini, della casa e vive ogni giorno in attesa che torni Gilles.

Victorine è la sorella di Elisa, lavora da poco tempo in un negozio in città e viene spesso a trovare sua sorella per giocare con i bambini e dare una mano…

Elisa aspetta un bambino. Delle strane idee le passano per la testa. Gilles e Victorine, Victorine e Gilles…

Ma no, sono solo idee malsane. L’umore di una donna incinta alle volte è un po’ strano.

E poi un giorno, una sensazione, una certezza si abbatte su di lei, insopportabile: sicuramente tra Victorine e Gilles sta accadendo qualcosa. Inizia così una strana lotta interiore, fatta di coraggio, di abnegazione, di silenzi. Per ritrovare ciò che ha perduto. Per ritornare ad essere la donna di Gilles.

introduzione

Dopo aver fatto «Una relazione privata», ero sicuro di due cose:

– Non avrei diretto un altro film romantico nei cinque o dieci anni seguenti.

– Volevo fare una commedia, far ridere la gente.

Ho passato due anni a scrivere due sceneggiature con Philippe Blasband, ma non ha funzionato. Sentivo che una di queste poteva essere buona da girare, ma solo a partire da pagina 82, e sarete d’accordo che non è abbastanza.

E per fortuna! Perché l’inizio della storia parlava di una cospirazione talebana che prevedeva l’uso di armi biologiche.

Era prima dell’11 settembre e dissi a Philippe: «Ma come ti è venuto in mente? Chi ha mai sentito parlare dei Talebani, o meglio ancora delle armi biologiche?…»

Così, dopo che tutti abbiamo imparato chi fossero, abbiamo messo il progetto da parte per il futuro, tutta la faccenda ci aveva lasciato un sapore amaro in bocca.

Praticamente, ero io che non funzionavo, semplicemente non mi si accendeva la lampadina, e non stavo facendo nulla per farlo accadere.

Non succedeva niente. Smisi di pensare ai film e mi misi a fare altro – cose tipo cercare di ricordare come mi chiamo.

È stato più o meno in quel periodo, con la mente sgombra, che La donna di Gilles è arrivata sulla mia scrivania. Mi sono seduto su una bella poltrona e ho cominciato a leggere, ma ho lasciato il libro dopo la prima pagina.

Siccome i miei amici insistevano, ho letto la seconda pagina. Poi non sono più riuscito a smettere. A metà del libro, nella parte in cui Elisa beve a piccoli sorsi la sua birra, che è troppo amara per lei, e guarda Gilles, che sta guardando Victorine… mi sono visto al cinema a guardare la scena. Ho sentito il tempo che sarebbe servito, gli infiniti aspetti di tutta la scena, il tempo che si allungava. Ho visto lo sguardo completamente pazzo negli occhi di Gilles, e nei miei che lo guardavo.

Ho chiamato Patrick Quinet e gli ho detto che ne volevo fare un film.

lo stile

“È un film sulla durata, sui piccoli intervalli di tempo necessari affinché un bambino innocente cominci a piangere dopo essere stato sculacciato. Tra il momento in cui smette di cercare di capire perché è accaduto e il momento in cui comincia a piangere. Perché in quel momento, non capisce più niente. Tutto ciò che desidera è essere consolato.

Nessuno consola Elisa, forse perché non si mette a piangere, perché decide di tenersi tutto dentro, perché vuole vivere il suo amore in maniera eroica.

Potrebbe sembrare strano, intollerabile, violento. Ma tutto ciò che sto cercando di dire è che è umano. Personalmente, mi ci riconosco, e mi fa paura.

E, come Madeleine Bourdouxhe, senza dubbio, avrei voluto salvarla dal suo eroismo.

Anche io ci proverò ma con delle possibilità di riuscita molto scarse.

Perché sarà lei a salvare se stessa in un ultimo atto di passione, riportandoci alle nostre vite, ai nostri amori, ai nostri problemi.

Il tempo – il tempo che spero lo spettatore porti con sé dopo il film, per quanto breve esso possa essere – in cui ancora tutti storditi e confusi, non osiamo alzarci né guardare le persone che ci circondano. È simile al tempo necessario all’attore di teatro per separarsi dal suo personaggio prima di ringraziare il pubblico con un inchino. Questo tempo è uno dei motivi per cui sto facendo questo film.

Vi sono altre ragioni, come i due «TEMPS» francesi (Tempo orario & Tempo meteorologico), e il valzer, e le guance rosee di Victorine, e le gocce di sudore sotto le sue braccia.

Il silenzio senza una radio, senza televisione, i raggi di sole in primavera che fanno male a Elisa e fanno male a noi.

È un film doloroso su una donna che si lascia ferire.

Potrei continuare ad elencare all’infinito le ragioni per cui ho deciso di girare “La donna di Gilles”, ma devo fermarmi qui. Marion Hänsel, Philippe Blasband, ed io abbiamo cercato di scriverle nella sceneggiatura.

Il film che voglio fare si trova tra queste righe”.
Frédéric Fonteyne

la struttura

Il film cerca di seguire il percorso di Elise. Senza flashback e senza voce fuori campo. Dal momento in cui decide di non aprirsi con Gilles, seguiamo l’inevitabile serie di eventi che la portano a dover sopportare sempre di più e a rendere sempre più profondo il suo conflitto interiore.

Procediamo in questa storia insieme a lei; seguendola, guardandola, scrutandola.

Lo spettatore si trova nella posizione della questione esistenziale posta da Elisa. Non può agire, può solo reagire. Ed essere commosso. La telecamera è posta al margine della superficie dell’anima.

gli aspetti visivi – Gli anni ‘30

Non è una storia inusuale. La trasposizione di una comunità di semplici operai ci permette di concentrarci sugli aspetti, i sentimenti e le emozioni che ne emergono.

Qui non c’è né la radio né la televisione, solo il passare delle stagioni e il fuoco che continua a bruciare nelle fabbriche – una bellissima metafora del fuoco che brucia nelle vene di Elisa. Il film è uno studio sui sentimenti, e su sensazioni primarie come caldo, freddo, acqua, fuoco, vento, neve, nebbia, dolore, sul calore del corpo su cui è poggiata la nostra testa, su una sana risata, sul lavoro e la fatica, su un desiderio bruciante che non può essere espresso.

Il film sarà un’esplorazione dei sentimenti, di emozioni nude e crude, sulle quali i personaggi non hanno alcun controllo.

Come prerogativa essenziale, la ricerca e la documentazione sugli anni ’30 sarà indispensabile e approfondita, ma verrà ‘sfocata’ in maniera interessante durante le riprese del film. Verrà attribuita più importanza ai corpi, agli sguardi, ai movimenti che all’aspetto pittoresco di una ricostruzione storica. Attribuiremo significato ai volti e alle emozioni più che alle scenografie.

La comunità della classe operaia non verrà presentata come un mondo infelice; nel corso della storia si percepirà un certo orgoglio di appartenere alla comunità. Verrà enfatizzata l’unità dello spazio e dell’ambientazione. Ciò che deve essere ricreato è un periodo, e in modo particolare lo stato d’animo predominante in quel periodo.

Il film verrà costruito intorno ad una coreografia di corpi, di gesti e di sguardi e rapide occhiate che confluiscono. Lo spettatore guarda Elisa che guarda Gilles che guarda Victorine…

breve descrizione dei personaggi
Elisa

«Una donna sprovveduta, senza orgoglio, senza filosofia. Non si chiede neppure se al mondo esista un posto per un cuore come il suo».

Elisa ama. Elisa vuole salvare il suo amore. Trent’anni. Coraggiosa sino alla morte. Non è una che lascia perdere.

Usa i propri mezzi per combattere.
Gilles

«Come può tanta debolezza abitare un corpo così grosso e muscoloso?»

Un corpo; ruvido, eppure morbido e naïf allo stesso tempo. Dal momento in cui comincia ad ardere per Victorine, l’unica cosa che può fare è lasciarsi consumare sino alla fine del film. Da lui si propaga un’immensa energia. Viene catturato, e da quel momento in poi le fiamme si sprigionano sempre più alte. Niente può spegnerle.
Victorine

«Una peccatrice inconsapevole – il tipo di criminali più pericolosi»

Victorine è ancora giovane, è in un’età in cui si scopre il potenziale potere di una donna su un uomo. E gioca con questo. Non è per cattiveria, piuttosto per una completa mancanza di morale. Porta il ‘potere’ nel gioco, e grazie ad esso diventa «la donna di Gilles» – quella che lo tormenta, e che accende il suo desiderio.

conclusione

Qualcuno un giorno mi ha raccontato che molto tempo fa in Russia, un grande attore si era immobilizzato per 17 minuti tra la battuta «Essere o non essere» e «Questo è il problema», e che il pubblico era rimasto inchiodato a quel pensiero fluttuante.

Ciò che accadde è che quel giorno, questo pensiero era percepibile.

Non c’era nulla di visibile, ma il pensiero era tangibile.

Poi ricordo l’unica scena in Max et Bobo di cui sono veramente orgoglioso, la scena in cui Bobo balla con un uomo, e ricordo anche lo sguardo sul volto di Jean Vercheval, verso di noi, e il tempo che prende prima di parlare, così come di ciò che può essere letto tra le magnifiche battute di Philippe Blasband in Una relazione privata.

… E dico a me stesso che oggi sono pronto ad affrontare il rischio.

Non da solo, ma con attori, un produttore, un direttore della fotografia, ed altri membri della troupe che apprezzo.

E mi trovo sul punto di saltare. Come Elisa…