Regia: Ferzan Ozpetek
Sceneggiatura: Ferzan Ozpetek, Gianni Romoli
Fotografia: Gianfilippo Corticelli
Musiche: Andrea Guerra
Scenografia: Andrea Crisanti
Costumi: Catia Dottori
Montaggio: Patrizio Marone
Interpreti: Giovanna Mezzogiorno, Massimo Girotti,
Raoul Bova, Filippo Nigro, Serra Yilmaz

Recensione n.1

Prevalgono i toni azzurrognoli della notte, il blu declinato in tutte le sue sfumature: dai riflessi di luce nelle pozzanghere in strada alle spirali di fumo di una sigaretta. Perché è di notte che si accende la luce nella casa di fronte, spalancando le persiane sul sogno di una vita diversa che ci strappi alla monotonia quotidiana. Perché è nel piacere di guardare ed essere visti che avvertiamo la certezza di esistere. Perché chi ci guarda, sembra scrutarci in profondità, più di chi condivide con noi il pane quotidiano. Ma la notte nasconde anche i fantasmi di un lontano passato, in cui l’indifferenza dei più ha deciso la sorte di molti, troppi.
Il film di Ozpetek racconta la vita di una giovane coppia che con fatica arriva a fine mese, di un anziano e distinto signore che rincorre un fantasma d’amore, dei sogni che possono diventare realtà se troviamo dentro di noi il coraggio di rischiare. Temi eterni: la ricerca della felicità, il sottile diaframma che separa sogno e realtà, la serenità che deriva dalla consapevolezza, anche della perdita e del lutto. L’unicità dell’esperienza esistenziale, quel nucleo intimo e personale che nessuno può omologare; la vita interiore che rende ognuno di noi insostituibile e irripetibile: il tutto narrato senza enfasi né forzature.
Giovanna Mezzogiorno è dolce, intensa, sensuale, assolutamente credibile nel ruolo di piccola borghese romana che non conosce la volgarità, tanto meno quella del cuore. Raoul Bova, costretto a mimetizzare la propria bellezza, fa da contro canto con la sua solo apparente solidità al virile eppure insicuro marito. Massimo Girotti ci fa omaggio della sua eredità spirituale. La regia non cerca mai il virtuosismo ma sottolinea con eleganza e discrezione gli stati d’animo dei protagonisti. Ottimi i dialoghi e anche la sceneggiatura, che dosa sapientemente i colpi di scena narrativi e sa bene suggerire le diverse possibilità, lasciando lo spettatore in bilico fino alla fine. Eccellente il commento musicale. Un film curato nel minimo dettaglio e anche visibilmente amato e partecipato.

Mariella Minna

Recensione n.2

Abituati a vederci sempre dalla stessa angolazione, in una obbligata soggettiva che fatica a mantenere lucidita’ nello sguardo, rischiamo di non capire la direzione che stiamo imprimendo alla nostra vita. Anche questo racconta il bel film di Ferzan Ozpetek, che dopo il successo di “Le fate ignoranti” torna a parlare con pudore e (maggiore) incisivita’ di sentimenti. Giornate in apparenza sempre uguali fluiscono nell’ignavia, fino a quando un incontro casuale puo’ iutare a cambiare le prospettive. Come in tutti i lungometraggi del regista italo-turco, il soggetto e’ molto intrigante.
Se nel film precedente la brillante idea di partenza sfumava in una serie di luoghi comuni, ne “La finestra di fronte” Ozpetek riesce a mantenere fino alla fine una grande tensione emotiva, un miracoloso equilibrio nel dipanare il non facile destino dei personaggi. Al centro della storia, una famiglia con due giovani sposi con prole, stanchi della routine matrimoniale che regala piu’ impegni che soddisfazioni. L’unica via di fuga, per l’inquieta Giovanna, diventa spiare il bel tenebroso nell’appartamento di fronte, che sembra racchiudere gli ideali inespressi di una vita piu’ subita che davvero vissuta. A smuovere il mesto menage familiare arrivera’ un vecchio che nasconde un prezioso segreto. Il film procede intrecciando i molteplici fili narrativi in una sorta di thriller dei sentimenti, con colpi di scena, scoperte inaspettate, complicita’, liti, riconciliazioni. Davvero tanta la carne al fuoco, ma il regista riesce a dosare i vari ingredienti mantenendo alto l’interesse e, soprattutto, rendendo i personaggi vivi. La famiglia e’ solo in apparenza “tipo”, in realta’ e molto ben caratterizzata. Bella l’idea di una protagonista che lavora come contabile in un’azienda che macella e confeziona polli ma sogna di diventare una provetta pasticcera. Con piccoli sapienti tocchi, quindi, i personaggi escono dal “tipo” e acquisiscono uno spessore autentico, in grado di parlare in modo diretto.
Molto azzeccato anche il cast: Giovanna Mezzogiorno ha carisma da vendere, anche se rischia di restare imprigionata in personaggi tosti e incazzosi (i bisticci casalinghi ricalcano un po’ troppo le liti de “L’ultimo bacio”); Filippo Nigro e’ un credibile marito a mezze tinte che alterna slanci affettivi a rigidita’ caratteriali; Raoul Bova non sfigura in versione Clark Kent nel ruolo dell’introverso e un po’ bamboleggiante bancario; ritroviamo Serra Yilmaz, che e’ un po’ una macchietta dalla evidente funzione sdrammatizzante (ma almeno e’ simpatica e fa ridere) e Massimo Girotti conclude la sua carriera con un’interpretazione vibrante e sensibile. Come al solito far recitare i bambini non e’ facile e alcuni quadretti familiari sanno un po’ di artefatto. Ma il film riesce a toccare le corde giuste per emozionare, racconta in modo non banale il “must” del millennio “diventa quello che sei” e non limita lo sguardo alla dimostrazione di una tesi, ma aggiunge dettagli narrativi importanti e ricchi di implicazioni. Determinante il contributo sonoro di Andrea Guerra e la scelta delle canzoni. In particolare “Gocce di memoria”, cantata da Giorgia, che conclude con perfetto tempismo la bellissima sequenza finale. Sarebbe divertente un faccia a faccia tra i personaggi di Ozpetek e quelli di Muccino, evitando i fatui salotti televisivi ma preferendo un pub, magari davanti a una birra schiumosa. Chissa’, forse l’intenso monologo finale della protagonista riuscirebbe a placare il cinismo dei membri della famiglia Ristuccia e a dare un senso meno effimero all’ansia di “essere ricordarti” che li affligge.

Luca Baroncini

Recensione n.3

LA FINESTRA DI FRONTE : un buon film, con molti se e molti ma…

Giovanna e Filippo sono sposati da nove anni e hanno due figli. Giovanna lavora come contabile in una polleria industriale, mentre Filippo si arrangia con lavori precari. Giovanna tra i mille impegni e problemi giornalieri trascorre, infelicemente, una vita che immaginava diversa. Alla sera, per pochi istanti, con la luce spenta, scruta dalla finestra uno sconosciuto e affascinante vicino di casa. Un mattino entra di scena un anziano uomo sconosciuto, senza memoria né documenti. Proprio lui riuscirà a spezzare la monotona esistenza di Giovanna…

Sicuramente ci sono delle somiglianze fra le ultime opere di Ozpetek e Muccino.
Ambedue raccontano di una crisi di famiglia, di sogni dimenticati, di una vita sprecata, e del tentativo di darsi un’altra possibilità. Ma le differenze stilistiche fra i due registi sono notevoli. Ozpetek è alfiere di un cinema sussurrato e non urlato, emotivamente sottile. Nella finestra di fronte c’è il tentativo ambizioso di ampliare lo sguardo del precedente le fate ignoranti, inserendo nella nuova pellicola più derive di senso e una partitura di ruoli più complessa. Il regista riesce solo in parte nel tentativo. Apprezzabile è la solita capacità di raccontare per immagini una Roma davvero bellissima, dirigere gli attori in maniera ineccepibile (la Mezzogiorno è davvero brava). Ottima dal punto di vista stilistico è la scelta di non spezzare il racconto filmico con dei flashback, per raccontare le vicende in epoca fascista dell’anziano Davide. I ricordi dell’amore impossibile di Davide, delle paure e brutalità dell’epoca del regime, sono esposti linearmente, in un continuum temporale fra presente e passato. La memoria del passato è viva nel presente. Attraverso la mente di Davide, rivive e riverbera il suo influsso anche sulle vicende d’oggi. Da questo punto di vista è esemplare la scena del ballo fra Davide e Giovanna, dove, in un singolo piano sequenza, storia e presente si fondono mirabilmente e delicatamente. Molto bella anche la scena del tradimento platonico di Giovanna con Lorenzo (Raul Bova). In questa sequenza Giovanna sale nella casa del vicino e per la prima volta si trova a guardare ‘dalla finestra di fronte’. Il cambio di punto di vista permette l’uscita da un ruolo imposto, l’osservazione della propria vita dall’esterno e la capacità forse di cambiarla. Le proprie paure e desideri sono visibili. Allora non è l’adulterio che interessa a Giovanna, ma uno spostamento di prospettiva portatore della capacità di autocoscienza. Giovanna da attrice della propria esistenza diventa per un attimo spettatrice. Questo sicuramente è l’Ozpetek migliore, quello che regala emotivamente molto allo spettatore, che non ha paura di giocare a nervi scoperti con un contenuto ad alto tasso emotivo e con un groviglio di sentimenti forti. Nella Finestra di Fronte non tutto appare di questo livello. Il regista appare preoccupato nel controllare i troppi rivoli emotivi e di significato del lungometraggio. La pellicola a volte si ripiega su una scrittura troppo verbosa, esitante nel montaggio. La troppa razionalizzazione e freddezza nel manipolare gli eventi dei personaggi, spezza quel flusso emotivo magico così importante nelle opere del regista d’origine turca. Anche Raul Bova contribuisce in parte ala discesa emotiva della pellicola, con una prestazione trattenuta, ma davvero legnosa emotivamente e assolutamente insufficiente per sottigliezze e coloriture. La pellicola sembra funzionare fino a quando le due storie, s’incrociano fra presente e passato, fino a quando i fili che reggono i protagonisti s’intersecano.
Poi quando Ozpetek si concentra sulla vita di Giovanna il film perde parte del suo significante e appare sbilanciato, alla perenne ricerca di una strada da percorrere. Dobbiamo riconoscere al regista il merito di aver cercato di mirare alto. L’attenuante della difficoltà nel manipolare una storia così intessuta di tematiche e sentimenti differenti. Il film rimane bello ma sicuramente imperfetto e mancante nell’equilibrio, una delle doti principali di Ozpetek. Restiamo parzialmente delusi dalla visione, anche perché ci aspettiamo molto da questo regista, che sembra avere le capacità sottili di sviscerare i sentimenti. Capacità comuni nella migliore cinematografia francese, ma inesistenti o quasi (Piccioni, Soldini) nell’industria cinematografica italiana. Ozpetek dovrebbe credere di più nei propri mezzi espressivi e di racconto per immagine. Siamo sicuri che prima o poi sarà in grado di realizzare un’opera perfetta, equilibrata. Già oggi, il suo cinema, rappresenta un passo avanti verso la ritrovata credibilità della nostra industria cinematografica.

Paolo Bronzetti

Recensione n.4

C’è qualcosa nei colori di questo film che si fonde con le tematiche affrontate e la sovrapposizione delle epoche, creando un alchimia di sensazioni leggere e impercettibili. E’ questo ciò che più rimane impresso dopo aver assistito ad una storia ben calibrata in ogni sua parte, dove la passione e la morale condivisa si scontrano su due ring paralleli ma distanti nel tempo. Due storie diverse, infatti, quelle di una dolce e spigolosa donna sposata (Giovanna Mezzogiorno) e di un misterioso anziano (Massimo Girotti), accumunati dalla sofferenza per una vita più forte di loro, capace di domare gli istinti più incontrollabili con le briglie della morale e della logica.
Con un ottimo soggetto, una trama ben architettata e soprattutto una sensibilità più lirica (questa la grande novità rispetto a “Le fate ignoranti”) Ozpetek da’ il “la” ad una rappresentazione che cresce d’intensità col passare dei minuti. Il quadretto della famiglia piccolo-borghese iniziale si stempera successivamente nell’intreccio di sequenze tra misteriosi immagini del passato e i desideri inconfessati di Giovanna per il vicino, su su fino a sfiorare un vortice di temi che parrebbero scontati se non fossero ben inquadrati in una solida trama. Il tutto con l’ausilio di pause e silenzi estranei all’opera precedente, l’utilizzo di violini per accarezzare con poesia le scene più liriche e piccoli stratagemmi da genere thriller per posticipare i significati della pellicola accentuando insieme il mistero.
In ambientazioni a metà tra la popolarità della casa di gay e la sontuosità della villa che davano vita al precedente film del regista, ci lasciamo inebriare da un soffuso ritmo interiore nelle sequenze, che ci porta per mano lungo le vette e i baratri di passione di Giovanna.
La finestra di fronte, oggetto dei nostri desideri e spinta all’irrazionale, diventa punto di vista privilegiato per una visione razionale e distaccata di sé stessi, quando Giovanna si ritrova nella casa del bel Raoul Bova, ad un passo dall’appagamento della sua passione.
Se a prima vista tutto sembrava infatti piegarsi verso una perentoria declamazione della necessità di “essere sé stessi”, in realtà il punto di vista di Ozpetek si allarga ad una più intelligente constatazione che ciò è possibile entro un costante rapporto tra regole e desideri, ma soprattutto che questo equilibrio vada cercato sotto la guida della memoria, sublime qualità che ci rende essere umani.
Immergendo tematiche così delicate in fotogrammi quasi pittorici, tra l’eloquente silenzio che pervade sequenze pur fitte di dialoghi, il regista ha dimostrato capacità narrative non indifferenti, ricreando le atmosfere appropriate ai moti dell’animo della pellicola.

Francesco Rivelli

Link del sito della colonna sonora del film di Ferzan Ozpetek:

http://www.click2music.it/pop.asp?url=com_st.asp?ID_comunicato=134