Scheda film
Regia e Soggetto: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino e Umberto Contarello
Fotografia: Luca Bigazzi
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Scenografie: Stefania Cella
Costumi: Daniela Ciancio
Musiche: Lele Marchitelli
Suono: Emanuele Cecere
Italia/Francia, 2013 – Commedia – Durata: 142‘
Cast: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli e, tra gli altri, Carlo Buccirosso, Iaia Forte, Pamela Villoresi, Galatea Ranzi
Uscita: 21 maggio 2013
Distribuzione: Medusa
Il re dei mondani
Quello che speravamo non accadesse, purtroppo è accaduto. Del resto la speranza è l’ultima a morire. A quei maledetti campanelli d’allarme avremmo voluto tanto non dare ascolto, perché ci siamo illusi, noi come tanti altri, che un regista come Paolo Sorrentino riuscisse a scacciare dal suo cinema quelle sirene che hanno spinto e continuano a spingere colleghi più o meno quotati (connazionali e non) a fare il passo più lungo della gamba (ultimo in ordine di tempo Giorgio Diritti con Un giorno devi andare). Attenzione, non è qui in discussione il coraggio di osare o di esplorare nuove strade, piuttosto è importante capire fino a che punto ci si può spingere senza farsi del male con opere che mirano troppo in alto e che sono, tematicamente parlando, alla portata di pochissimi. Il cineasta partenopeo, in tal senso, non si è mai tirato indietro dal punto di vista del coraggio e della sperimentazione tecnica e drammaturgica, nemmeno quando il rischio di essere schiacciato dal peso specifico dell’operazione era in agguato dietro l’angolo, come ad esempio nella scelta di accettare l’avventura a stelle e strisce di This Must Be the Place nel 2011 o di portare tre anni prima sullo schermo ne Il Divo la biografia non autorizzata di Andreotti, con il pericolo in entrambe le occasioni che tali decisioni gli si potessero ritorcere contro, scottandolo seriamente.
Con pochi, ma significativi titoli, Sorrentino ha dato dimostrazione di avere le carte in regola per potersi permettere di passare a un livello successivo, ma un film come La grande bellezza, nelle sale nostrane a partire dal 21 maggio in concomitanza con la presentazione in concorso a Cannes (la quinta consecutiva per Sorrentino sulla Croisette), purtroppo è, almeno per quanto ci riguarda, nient’altro che un passo più lungo della gamba. Probabilmente il potere acquisito in questi anni gli ha permesso di girare una pellicola, la sesta per la cronaca, che altrimenti non avrebbe mai potuto realizzare prima. Raccontare il nulla di una società che si è andata via via svuotando di valori, per lasciare spazio all’egocentrismo sfrenato, all’apatia, alla noia, all’apparenza prima che all’esistenza, ma soprattutto a un coro greco di voci indistinte che provano a spiccare una sull’altra attraverso un chiacchiericcio fatto di menzogne e vacuità, è quanto di più astratto e poco originale si possa provare a materializzare sul grande schermo oggigiorno. Ebbene, il pluri-premiato e apprezzato regista napoletano prova a dare una forma a questo nulla attraverso il nulla, producendo nient’altro che il nulla. Un gioco di parole che di fatto riassume quello che Sorrentino vomita addosso alla platea di turno, costretta a subire passivamente 140 estenuanti minuti di pedinamento al seguito di un uomo che nella mente dell’autore non vuole essere altro che la cartina tornasole della suddetta fetta di società. Il Jep Gambardella de La grande bellezza è il Virgilio plasmato a sua immagine e somiglianza per traghettare lo spettatore in una Roma divisa costantemente tra antichi splendori e moderne miserie, popolata da una fauna umana in caduta libera che annovera tra le sue fila cocainomani, trans, vip di quarta categoria, intellettuali megalomani e politici dalla coscienza sporca.
Lo sguardo del protagonista, che non poteva avere altro volto che quello di Tony Servillo (che firma però la prima prova incolore tra le quattro complessive con Sorrentino), scruta senza soluzione di continuità questo “infetto” e malsano habitat. Lo conosce alla perfezione e vi si muove con sicurezza perché ne è parte integrante, per non dire la punta dell’iceberg. Vi si fa largo con la forza devastante del cinismo e di battute al vetriolo, perché di quel mondo sopporta tutto tranne che l’ipocrisia imperante. Il film segue proprio il lungo e incessante vagabondare notturno di Jep tra le meraviglie da cartolina della Capitale e i festini, dando alla luce una sorta di road movie metropolitano che nella mente di Sorrentino voleva essere probabilmente una rielaborazione mixata de La Dolce Vita e di 8 e ½. Bastano però una ventina di minuti abbondanti per capirne il DNA drammaturgico monocorde che trascinerà con sé personaggi e storia (o meglio quel poco che Sorrentino e Contarello nello script hanno voluto gentilmente tessere), oltre all’insofferenza crescente dello spettatore. Immaginazione e realtà, sogno e ricordo, si mescolano per dare vita a un magma narrativamente instabile che si trascina stancamente verso un epilogo che sembra non arrivare mai. Lo script mette insieme siparietti e situazioni che non hanno e non vogliono avere una vera e propria continuità. Da questi emergono di volta in volta pregevoli e divertenti dialoghi che per brevi lassi di tempo regalano alla platea motivi di interesse che la convincono a proseguire la visione.
Per il resto, il lavoro dietro la macchina da presa di Sorrentino non delude le attese, frutto di uno stile che fa del movimento insistito, fluido e chirurgico, la solita pregevole combinazione tra estetica, geometria e composizione dell’immagine (merito anche del sodalizio artistico con Bigazzi). Peccato che il tutto stavolta sia fine a se stesso, completamente estraneo alla componente drammaturgica e lontano anni luce dalla perfetta simbiosi ottenuta in fantastici precedenti come L’uomo in più, Le conseguenze dell’amore o Il Divo.
Voto: * *
Francesco Del Grosso
#IMG#La decadenza dell’impero
Jep Gambardella è un celebre giornalista di costume che quarant’anni fa ha scritto il suo unico libro, “L’apparato umano”, capace di donargli fama e denaro. Jep è però molto famoso soprattutto per la sua vita mondana e le sue feste memorabili.
La decadenza dell’impero passa attraverso il volto segnato dagli anni di Jep Gambardella, giornalista, ricco e nichilista quanto Truman Capote, che passa non svogliato ma pieno di disincanto, e con passo leggero e lentissimo, in mezzo alla vita di persone più o meno famose, osservandole ma mai giudicandole, vedendosi spesso peggio di loro e cercando di carpirne desideri e speranze, sullo sfondo di una città eterna, fotografata magistralmente da Luca Bigazzi, che racchiude mille solitudini: dallo sceneggiatore fallito, Carlo Verdone in un ruolo che pare disegnato per lui, ai membri della curia, che fanno di tutto per non distinguersi dal resto delle persone e personalità, terminando nella solitudine dello stesso Gambardella, segnato negli anni e nelle esperienze e che racchiude un passato che ritorna prepotentemente alla ribalta, facendolo riflettere sugli anni della sua giovinezza, fin quasi a cercare qualche cosa di più spirituale che non sia un semplice Martini o un party. Ennesima prova di un Servillo per il quale gli aggettivi necessari per descriverne la bravura non devono più essere spesi, una pellicola che va vista se si desidera ammirare Roma in ogni sua declinazione. Un film che fa riflettere sulla vacuità dei giorni d’oggi e sulla figura di un regista molto abile nel narrare storie spesso poste esattamente sotto il viso di ognuno di noi ma che solamente un grande narratore è poi capace di trasportare sul grande schermo con rara efficacia.
Voto: * * * * *
Ciro Andreotti
Si è detto di un La dolce vita 50 anni dopo a proposito di un film che ha destato interesse e curiosità, benchè siano mancati i premi a Cannes. E di Fellini a parere di chi scrive c’è molto, non solo de La dolce vita ma anche di 8 e ½. C’è la raffigurazione di un mondo che è soltanto quello dei privilegiati, di chi non ha alcun problema economico, e anche chi racconta da per scontati il superamento delle spese e del costo della vita. Questa è l’ottica, al di là di qualsiasi polemica ideologica. Ma c’è molto Fellini anche e soprattutto nello sguardo compiaciuto e tronfio di un Jep Gambardella novello Snaporaz/Mastroianni. Sguardo di chi ha già visto e vissuto tutto, dalle donne ai vizi alle stranezze fino alle più strambe commistioni di lusso e potere. Questo sguardo, questo approccio, è l’essenza dell’affresco che Sorrentino realizza sulla Roma odierna. Lo stesso regista ha commentato “è un film sul vuoto, o meglio sull’attrazione irresistibile che un vuoto ben confezionato esercita su di noi.., un’attrazione spesso irresistibile..”
Tony Servillo è un credibilissimo pseudo-giornalista che scrive sui gossip della capitale. E’ sempre inappuntabile negli abiti come nei gesti, nelle frequentazioni di donne attraenti irraggiungibili per molti, e soprattutto nell’essere ‘agganciato’ con tutti, dagli attori ai musicisti agli alti prelati fino ai capi di partito perché, come ammette lui stesso nella voce narrante: “Io non volevo solo il potere di organizzare le migliori feste di Roma, ma volevo il potere di farle fallire”. Ma poi qualcosa scricchiola, il senso, appunto. Questa esistenza al di sopra degli altri, a 65 anni suonati, non ha una direzione e finisce per provocare stanchezza, mancanza di appetito per qualsiasi cosa. “Alla mia età ci vuole ben altro che una bella donna”. Jep è quasi sempre sdraiato, stanco, mentre accende e fuma immancabili sigarette che lo avvolgono in un alone che rimane si affascinante, ma che non porta da nessuna parte. Porterebbe alla follia in molti uomini, ma non in Jep che ha faticato una vita per essere ciò che è. E’ arrivato 40 anni prima dalla provincia e ha conquistato Roma. E’ una vita troppo comoda, non si può abbandonare. Nonostante l’insonnia e il rimpianto costante di un sincero amore giovanile, raffigurato sugli scogli di un’isola contornata da un profondo mare notturno.
La grande bellezza è un film su Roma immutabile, splendida nei palazzi nobiliari dei nobili ora sfrattati, trash nelle splendide sequenze dei trenini in discoteca, ricca e annoiata per chi è ricco e annoiato. La grande bellezza appare soltanto in rarissimi istanti di verità, di sguardi e intese reali, per il resto è opulenza. Irresistibile.
Voto: 8
Claudio Bacchi
#IMG#Roma caput mundi…sarà ancora vero?
Un senso di amarezza misto a sconforto e rassegnazione assale dopo la visione dell’ultimo film di Sorrentino La grande Bellezza.
Ci si chiede: dove sta “La grande bellezza?
La pellicola dipinge, con una fotografia ed una regia che affermano Sorrentino quale esperto e capace narratore dal punto di vista tecnico e drammaturgico, quella Roma che tutti noi non possiamo che pensare e definire BELLA, ma se tale è la città in sé, ciò che fa pronunciare a un romano doc come Verdone “Questa città mi ha deluso” è qualcosa di più recondito che sta sotto le mura, le chiese, i marmi e i dipinti.
Questa Roma, o se vogliamo questa Italia, frivola e sporca, magistralmente dipinta in un carrozzone felliniano dei giorni nostri, che vive di menzogne non dichiarate, che vive ai margini della corruzione che fa andare avanti il potere, non è bella per niente. Questa è la società che Sorrentino ci vuole mostrare e lo fa, a tratti cadendo nello stereotipo e nel cliché un po’ didascalico se vogliamo, passando attraverso la narrazione di Gep (Servillo, poeta e abile narratore) e attraverso le sue passeggiate e i suoi pensieri legati al passato, al suo mare nostalgico, ad una vita fatta di ricerca, e ad un senso di morte, vicino ma allo stesso tempo tutto sommato in disparte rispetto alla continua ricerca di bellezza.
La morte c’è, colpisce anche all’interno del film. La spiritualità c’è: dovrebbe essere legata e supportata da una classe clericale che non funziona, che ci sberleffa con le sue ricette e che ci è vicina solo nella lontananza della rara santità.
E allora non ci resta che salvarci da soli, solo con le nostre forze, come fa Ramona, personaggio forte e fiero nella sua fragilità. Trovare in noi le chiavi per aprire quelle porte che possono mostrarci la “Grande Bellezza” della vita, quella bellezza che il regista ci mostra solamente in rari momenti e sul finire sui titoli di coda, nella luce di un tramonto che dipinge la tranquilla e lenta navigazione sul lungo Tevere di una città magica, che ha forse ancora qualche speranza di essere salvata.
Voto: 8
Graziana Spagnuolo