Scheda film
Regia: Timur Bekmambetov
Soggetto e Sceneggiatura: Seth Grahame-Smith
Fotografia: Caleb Deschanel
Montaggio: William Hoy
Scenografie: François Audouy, Beat Frutiger
Costumi: Varvara Avdyushko, Carlo Poggioli
Musiche: Henry Jackman
USA, 2012 – Horror/Fantasy – Durata: 105′
Cast: Benkamin Walker, Dominic Cooper, Anthony Mackie, Mary Elizabeth Winstead, Rufus Sewell, Marton Csokas
Uscita: 20 luglio 2012
Distribuzione: 20th Century Fox
Un giovane Abramo Lincoln…
Un giovane Abramo Lincoln assiste alla morte della madre, uccisa da un vampiro. Nove anni dopo decide di vendicarla affrontando il suo aggressore, il mercante di schiavi Jack Barts. Nello scontro Lincoln sta per soccombere, ma viene provvidenzialmente tratto in salvo da Henry Sturgess, il quale diventerà il suo mentore e lo addestrerà all’arduo compito di eliminare i vampiri.
La moda del mash-up letterario (che una volta si sarebbe definito “pastiche”) inaugurato da Seth Grahame-Smith con “Orgoglio e Pregiudizio e zombie”, ha generato diverse imitazioni apocrife, quali “Mr. Darcy, vampyre” o “Sense and Sensibility and Sea Monsters”, il cui denominatore comune è l’improvvido accanimento sui romanzi di Jane Austen, che i lettori anglosassoni conoscono a menadito; persino dalle nostri parti qualcuno ha pensato bene di inserirsi a buon titolo nel neonato filone con una versione vampiresca de “I promessi sposi”, stante l’obiettiva scarsità di classici dell’800 italiano suscettibili a prestarsi a questo tipo di rivisitazione. Visto che l’annunciato film tratto dal romanzo d’esordio di Grahame-Smith sembra essere in perenne stand-by, il nostro si è cimentato con risultati discutibili nella sceneggiatura di Dark Shadows e nel romanzo “Abraham Lincoln: Vampire Hunter”, che è diventato un film prodotto da Tim Burton e diretto da Timur Bekmambetov, talentuoso regista kazako risucchiato da una Hollywood sempre avida di sangue fresco. La filosofia alla base dell’operazione è sempre la medesima, sia che si tratti di letteratura che di cinema: si prende un classico letterario o un personaggio storico universalmente noto, e lo si immerge in un mondo alternativo arricchito da elementi sovrannaturali e mostri di vario genere, siano essi zombie, vampiri o affini. L’ozioso trastullo, sia pure elementare, è in grado di assicurarsi la divertita complicità del lettore e/o spettatore, a patto di riuscire a ottenere un’accettabile coerenza narrativa. Quella coesione che latita ampiamente ne La leggenda del cacciatore di vampiri (Lincoln veleno al botteghino?), in cui il côté storico, ovvero l’abolizionismo e la guerra di Secessione, e quello finzionale, ovvero la piaga del vampirismo, scorrono su due binari paralleli che non si incontrano mai.
Nottetempo il giovane Lincoln, squattrinato commesso di bottega, decapita vampiri come un forsennato con la sua ascia placcata d’argento. Durante il giorno, con studio matto e disperatissimo di leopardiana memoria, s’impegna con tutte le sue forze per diventare avvocato, trovando anche il tempo per fidanzarsi con una fanciulla di buona famiglia. Sull’orlo della mezza età, decide di abbandonare la caccia ai vampiri, hobby alquanto adolescenziale, per dedicarsi esclusivamente alla carriera politica. Lo scoppio della guerra provoca però la reazione di Adam, il progenitore dei vampiri americani, il quale possiede una piantagione a New Orleans (Anne Rice docet) ed è tanto conservatore quanto può esserlo un succhiasangue millenario. La schiavitù è difatti una vera e propria manna dal cielo per i vampiri, che si trovano a disposizione del bestiame umano a buon mercato. Per preservare lo status quo, Adam decide di stringere un’alleanza con le forze confederate, che stanno per capitolare davanti alla potenza militare ed economica del Nord, scatenando un’armata di non morti durante la battaglia di Gettysburg, la più sanguinosa carneficina della guerra civile americana. Utilizzare il vampirismo quale metafora dello schiavismo, sottolineandone la sostanziale equivalenza, funziona esclusivamente in via teorica dato che storia e mito s’incontrano solo tangenzialmente e in maniera pretestuosa, complice una sceneggiatura facile all’inceppamento, piena di buchi, snodi narrativi imbarazzanti e dialoghi al limite dello sconforto. L’accoppiamento tra il biopic celebrativo del sedicesimo presidente degli Stati Uniti e il mito del vampiro genera un figlio deforme, e Grahame-Smith si comporta come la madre di un celebre racconto di Maupassant, la quale si deformava il ventre con dei corsetti troppo stretti, per partorire un figlio mostruoso da esibire a pagamento nei circhi itineranti.
Anche la verve di Bekmambetov sembra segnare il passo. Se del dittico tratto da Luk’janenko e di Wanted si apprezzava la ribalda improntitudine testosteronica, qui il regista sembra procedere con il pilota automatico, firmando la sua opera peggiore. Forse contagiato dalla temibile “sindrome di Paul W. S. Anderson”, abusa fino alla nausea di slow-motion alla Matrix che oramai dovrebbero essere proibiti per legge. Alla trentesima decapitazione in bullet time, con copiosa effusione di fluidi nerastri, anche lo spettatore ben disposto comincia ad avvertire una certa saturazione, che si tramuta rapidamente in noia ed esasperazione. Anche il caos possiede una sua logica, ma questa volta la corroborante anarchia visiva, sia di regia che di montaggio, di Day Watch e Night Watch, è sostituita da sequenze sconclusionate e ipertrofiche (dall’insensato inseguimento a cavallo tra Lincoln e Barts al risibile finale sul treno in corsa), zavorrate da prevaricanti effetti CGI, che si alternano alla paludata retorica che affligge il versante strettamente “realistico” della vicenda.
Benjamin Walker (The Flags of Our Fathers), somigliante a un giovane Liam Neeson, non sarà il Lincoln di Henry Fonda in Alba di gloria, ma se la cava discretamente, mentre il solitamente brillante Dominic Cooper (The Devil’s Double) si adatta a fare il Robert Downey Jr. dei poveri. Per la cronaca, pur di anticipare il blasonato concorrente, negli Stati Uniti era già stato distribuito con largo anticipo un Abraham Lincoln vs. Zombies, di incerta paternità.
Voto: * *¾
Nicola Picchi
Perché Lincoln potrebbe rivoltarsi nella tomba…
Abraham Lincoln è solo un bambino, quando sua madre viene uccisa da un vampiro. Da quel giorno in poi giurerà a se stesso di dare la caccia a Jack Barts, colui che ha morso e ammalato la donna davanti ai suoi occhi. Raggiunti i sedici anni d’età, però, Abraham non è ancora riuscito a vendicarsi, e proprio quand’è nuovamente di fronte a Barts e sta per essere ucciso a sua volta, viene salvato da un fantomatico cacciatore di vampiri, Henry Sturgess. I due stringeranno ben presto un rapporto di amicizia votato all’annientamento di ciascun vampiro presente sul territorio della piccola cittadina di Springfield.
Basato sul romanzo fantasy “Abraham Lincoln, Vampire Hunter” di Seth Grahame-Smith, già autore della sceneggiatura del recente Dark Shadows nonché del best seller “Orgoglio e pregiudizio e zombie”, più volte opzionato da diversi cineasti per un lungometraggio, La leggenda del cacciatore di vampiri è diretto dal regista russo Timur Bekmambetov (Wanted – Scegli il tuo destino) e prodotto da nientemeno che Tim Burton. Il cast, che da solo potrebbe far pensare a una pellicola di genere potenzialmente riuscita, è composto dal semi-sconosciuto ma visivamente incisivo Benjamin Walker (Kinsey, Flags of Our Fathers), Dominic Cooper, Anthony Mackie, Mary Elizabeth Winstead, Rufus Sewell e Marton Csokas.
Pur non essendo la prima volta che storia e fantasia vengono mescolati in un calderone di idee (in inglese questo genere prettamente letterario è chiamato mash-up non a caso), il film di Bekmambetov risalta sin da subito agli occhi per essere un’accozzaglia di citazioni e riferimenti vari, con una prima parte che tenta invano di coinvolgere lo spettatore nella dura preparazione fisica di Lincoln, armato d’ascia e consigliato dall’amico Sturgess, e un secondo tempo, se possibile ancora più soporifero, in cui il neo-presidente degli Stati Uniti è a capo di un esercito durante la Guerra di Secessione, trasformata nell’eterna battagli tra vampiri e umani. Nel mezzo, naturalmente, la storia d’amore con Mary Todd e la perdita del figlio William, con evidenti e scontatissimi richiami al libro originale della Austen, così come un paio di scene d’azione in slow-motion che se nel precedente Wanted – Scegli il tuo destino potevano pure funzionare, qui regalano la risatina nervosa di chi è frastornato da un irrisolto groviglio di tracce narrative.
Tralasciamo gli enormi e vergognosi buchi di sceneggiatura, clamorosi in determinati piani sequenza; accantoniamo persino l’uso spaventoso di un 3D che a tratti sembra tagliar via dallo schermo intere parti di scena o ancora l’incredibile serietà grazie alla quale ciascun attore pare interpretare la caricatura del proprio personaggio: il dilemma resta uno ed uno soltanto, ovvero se Grahame-Smith, Bekmambetov e Burton si siano messi lì a lavorare a un progetto ironico e divertente a suo modo, o se i tre avevano in mente qualcosa di talmente pretenzioso da aver snaturato totalmente la confezione finale. Dacché se persino Wanted offriva qualche (discutibile) momento di sincero svago, questa Leggenda del cacciatore di vampiri, più che far paura, riesce giusto a strappare un sospiro di sollievo alla fine della proiezione.
Voto: * *½
Eva Barros Campelli