Recensione n.1
Un trio a caccia di se… o di sé?
*1/2
spoiler alert: level 1
Se il fatto di guadagnare tanto con i loro precedenti film non li avesse agevolati nel trovare i soldi per un volo negli USA,
se bastassero i colori virati per fare un gangster-movie comico, se ancor oggi un omosessuale piazzato in mezzo alla storia senza alcun motivo e/o sviluppo facesse ridere,
se l’annuncio che i costosi effetti speciali ad opera di ben due studi riuscisse ancora a stupire qualcuno,
se le più o meno colte citazioni filmiche fossero sufficienti ad ingraziarsi la critica,
se comprendessero che il loro pubblico medio è più esigente di quello delle “vacanzedinatale”,
allora, e solo allora, “La leggenda di Al John & Jack” sarebbe un bel film.
DA TENERE: Le intenzioni. Se bastassero queste, se…
DA BUTTARE: I film pari della rinomata ditta.
NOTA DI MERITO: Aldo con i capelli. Certo, se bastasse un gatto morto sulla testa per citare il trasformismo alla De Niro…
NOTA DI DEMERITO: Le mie reminescenze scolastiche che mi fanno scomodare poesie di una certa caratura per scrivere una modestissima recensione grammaticalmente ambigua.
Ben, aspirante Supergiovane
Recensione n.2
Tante citazioni, pochissime risate
Di fronte ad un tale impegno economico, oltre che ad un’evidente buona volontà, di fronte ad una fotografia ricercata e ad un viaggio d’oltreoceano per ambientare al meglio il film, “La leggenda di Al, John e Jack”, ultimo sfornato da super incassi del trio comico, lascia solo spazio ai sospiri.
I sospiri di chi è stato abituato ormai da anni a vedere esilaranti gag inserite in storielle leggere,
magari con qualche innamoramento (l’assenza di Marina Massironi si sente, eccome…), un viaggio, lo storpiamento dei reciproci difetti caratteriali, il prendersi in giro a vicenda. Briciole di tutto questo, invece.
Ci si ritrova così a digerire un mattone impastato di scene senza né capo né coda, tenute insieme da dialoghi in un siciliano grottesco da far accapponare la pelle, sospesi in una spasmodica attesa che qualcuno o qualcosa faccia anche solo pensare ad una risata. All’interno di una trama che potenzialmente poteva funzionare, a mancare è proprio la vis comica del trio, imprigionata in sterili dialoghi che non riescono mai a sfociare nella battuta strappa-risata, dissolvendosi nella bella colonna sonora che tutto inghiotte. Il fatto è che la gag dei gangster italo-americani era una di quelle che aveva divertito di meno, così che colpisce questo istinto autolesionista nel farci un film intero.
Si potrebbe pensare ad un calo della vena creativa, ma più probabilmente si tratta di una eccessiva leggerezza nella scrittura della sceneggiatura, trascurata per un maggior impegno nella fattura generale del film. La regia, infatti, più del solito sembra impegnarsi in virtuose rotazioni di cinepresa, che sembrano avere la sola utilità di tener desto lo spettatore fra il tepore generale. Anche i particolari sembrano essere stati discretamente curati, dalle scenografie alle citazioni, fin come detto alla fotografia e la colonna sonora.
E allora non resta che apprezzare e incoraggiare l’impegno, ma di fronte agli sbadigli di delusione collettivi, la paura è di aver smarrito fra le velleitarie aspirazioni da cineasta, una comicità che tanto ci aveva allietato i Natali scorsi.
Francesco Rivelli
Recensione n.3
Nella New York degli anni ’50 il gangster Al ha perso la memoria già da quattro giorni e i suoi compari Jack e John gli devono raccontare a ritroso gli eventi che li stanno portando a perdere la vita per mano del loro boss Sam Genovese: visto che lui non ricorda alcunché, sarà tutto vero? Inizia con una ripresa in dolly alla Quarto potere di un drive-in che sta proiettando Vertigo di Hitchcock e finisce con un incontro di pugilato fotografato in bianconero come in Toro scatenato, quest’opera in cui i tre cabarettisti tentano di approdare al quasi-cinema d’autore non rinunciando alla loro comicità e facendo il passo troppo lungo della gamba: ricostruzione filologica adeguata ai soldi spesi ma per niente interessante, citazioni velleitarie (le musiche sono addirittura dei Good Fellas), tempi comici inesistenti o completamente ignorati, gag sempre identiche e prolungate all’infinito e mesto senso della messinscena quando non si tratta di dover dire due stupidaggini per cercare di far ridere.
Il trio recupera e allunga l’idea dello sketch dei gangster del loro primo film e stavolta senza nemmeno l’anima dell’abituale compagna di lavoro Massironi ambisce a chissà cosa: il risultato è francamente penoso e irritante (il finale che alterna titoli e immagini è insostenibile) e il castello di carte dello loro televisiva comicità (spesso pare di rivedere proprio lo spot Yomo) frana inesorabilmente di fronte a un plot troppo complesso e impegnativo per le loro risorse e a un secondo tempo che predilige l’aria di cinema serio. Così come la (presunta) cura da tributo ai gangster-movie naufraga di fronte a scelte comiche discutibilissime: per esempio lo stesso forzato, improbabile dialetto siculo dei tre contrapposto all’accento padano del loro boss interpretato da Maccione. Con un retrogusto omofobo e sessista nella tristissima scena col fratello gay che lascia davvero basiti. Ma poi basta col friggere l’aria: è un film comico e non fa ridere, passo e chiudo. BN/COL COM 105’ *
Roberto Donati