Scheda film
Regia: David Grieco
Soggetto e Sceneggiatura: Guido Bulla e David Grieco
Fotografia: Fabio Zamarion
Montaggio: Francesco Bilotti
Scenografie: Carmelo Agate
Costumi: Nicoletta Taranta
Musiche: Pink Floyd
Suono: Gilberto Martinelli
Italia/Francia, 2016 – Drammatico/Biografico – Durata: 100′
Cast: Massimo Ranieri, Libero De Rienzo, Matteo Taranto, François-Xavier Demaison, Milena Vukotic, Roberto Citran, Alessandro Sardelli
Uscita: 24 marzo 2016
Distribuzione: Microcinema
Un mistero nero come il petrolio
Gli ultimi tre mesi di vita di Pier Paolo Pasolini, raccontati da uno che l’ha conosciuto bene e da vicino, l’assistente David Grieco. Altri si erano già cimentati con la scomoda tematica di uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso: Marco Tullio Giordana nel 1995 con Pasolini, Un delitto italiano, tutto incentrato sul “post-”, in cui già cercava di confutare l’assurda tesi ufficiale dell’omicidio da parte del solo Pino Pelosi, mentre molto recentemente Abel Ferrara nel suo Pasolini ha chiamato Willem Dafoe ad impersonare lo scrittore incentrandosi principalmente sugli aspetti più morbosi della sua figura e Aurelio Grimaldi in Nerolio – Sputerò su mio padre nel 1996 affrontava pure momenti inediti della sua vita. Qualche anno fa anche il documentario Fatti corsari di Stefano Petti e Alberto Testone sull’aspirante attore identico all’intellettuale friulano aggiungeva qualcosa sulla gigantesca ed ancora ingombrante figura.
Pare che negli anni settanta in occasione di una partita di calcio Pasolini si sedesse accanto a Massimo Ranieri affermando che fosse molto somigliante a lui. Ed è proprio per questo che quarant’anni dopo David Grieco, incurante della cadenza partenopea dell’attore – a tal proposito l’autore stesso ha avuto a dichiarare che la scelta è in qualche modo “pasoliniana”, come Il Decameron ambientato a Napoli – lo ha chiamato per interpretare l’intellettuale.
La macchinazione è un film ancora oggi necessario, in tempi in cui l’omofobia la fa ancora da padrona, per tentare di trovare una verità circa la fine di un personaggio la cui duratura presenza ci avrebbe consegnato senza dubbio un’Italia diversa. Ed è un film da vedere, nonostante il grande coinvolgimento del suo regista lo abbia costellato di numerosi difetti: da alcune sottolineature eccessive, come certi passaggi di scene virati in un poco comprensibile bianco e nero o la premonizione che Pasolini ha del mondo di oggi attraverso la visione di un esercito in marcia di lampadati coi cellulari o altri momenti in cui si azzardano ellissi in grande squilibrio con altri troppo didascalici ed allungati fino a scelte di cast non sempre azzeccate, come quella del “nordico” Matteo Taranto che sembra Celentano nel Rugantino di Pasquale Festa Campanile e che appena compare in scena si lancia in una abbastanza gratuita imitazione di Gian Maria Volonté, al quale peraltro somiglia molto, forse per ricordarci che malgrado la cadenza sballata è un bravo attore o ancora fino alla scelta di musiche di repertorio dei Pink Floyd (l’album “Atom Heart Mother”) forse eccessiva.
La macchinazione però ha il pregio di collocare Pier Paolo Pasolini in una serie di scenari inediti e poco noti: la scrittura di “Petrolio”, che verrà pubblicato quasi vent’anni dopo, ispirtato dalla “guerra” tra ENI e Montedison che gli pone davanti la demoniaca figura di Eugenio Cefis, capo del polo petrolchimico, vero fondatore della Loggia P2 e presunto burattinaio della strategia della tensione; la comparsa sulla scena della Banda della Magliana; il furto delle copie di Salò dalla Technicolor, che potrebbe essere stata l’esca di una trappola per attirarlo all’Idroscalo di Ostia.
Ha fatto comodo a molti pensare che Pasolini quella notte tra il 1° e il 2 novembre del 1975 se la sia in qualche modo cercata e che in fondo, come scrissero in molti, sia morto come abbia vissuto. Ma c’è una scena nel finale de La macchinazione che fa un certo effetto e, per chi scrive, vale da sola almeno il prezzo del biglietto: il corpo dello scrittore, sorridente, ricoperto dagli schizzi di petrolio che una schiera di trivelle gli getta addosso girandogli intorno. Be’, a poche settimane dal referendum sulle trivelle al largo delle coste nazionali, la scena sarà anche figlia del senno di poi, ma qualche brivido lungo la schiena lo fa correre. Ecco perché in Italia ci sarebbe ancora bisogno di Pier Paolo Pasolini, che aveva capito ed intuito molto, se non tutto, che sapeva, ma non aveva le prove. Ecco perché c’è ancora bisogno di un film, sebbene imperfetto, come La macchinazione.
Voto: 7
Paolo Dallimonti