Scheda film

Regia: Pif (Pierfrancesco Diliberto)
Soggetto e Sceneggiatura: Michele Astori, Pierfrancesco Diliberto, Marco Martani
Fotografia: Roberto Forza
Montaggio: Cristiano Travaglioli
Scenografie: Marcello Di Carlo
Costumi: Cristiana Ricceri
Musiche: Santi Pulvirenti
Suono: Luca Bertolin
Italia, 2013 – Comemdia – Durata: 90′
Cast: Cristiana Capotondi, Pif, Alex Bisconti, Ginevra Antona, Claudio Gioè, Ninni Bruschetta, Barbara Tabita
Uscita: 28 novembre 2013
Distribuzione: 01 Distribution

 La mafia spiegata ai miei figli

La vita di Arturo (Pierfrancesco Diliberto) fin dalla sua nascita, anzi dal suo concepimento, è stata legata a sua insaputa a filo doppio con la mafia (e l’antimafia): gli spermatozoi del padre scapparono in seguito ai colpi di pistola di uno dei tanti regolamenti di conti lasciando arrivare l’unico distratto e incosciente, ossia lui (!); la bambina di cui era innamorato abitava nello stesso palazzo del giudice Rocco Chinnici e non poté mai vedere la sua dichiarazione d’amore scritta sul marciapiede, poiché spazzata via dal tritolo che travolse la macchina e la vita del magistrato; quando la incontra di nuovo, ormai entrambi adulti, lei sta curando l’ultima campagna elettorale del deputato democristiano Salvo Lima. Mentre la mafia prosegue negli anni il suo percorso di sangue e potere, Arturo cresce, fino a maturare una propria coscienza…
Il film di debutto di Pif, al secolo Pierfrancesco Diliberto, comincia e finisce esattamente come una puntata della sua pungente trasmissione televisiva Il testimone, che gli ha dato giustamente notorietà, con il commento della sua caratteristica e finto-ingenua voce fuori campo. Nel mezzo le avventure del suo alter-ego Arturo raccontano vent’anni di fenomeno mafioso, dalla strage di viale Lazio fino agli attentati di Capaci e Via D’amelio, a metà tra Forrest Gump e La vita è bella: della pellicola di Zemeckis ha la capacità – con molti meno mezzi – di inserirsi nei momenti cruciali della Storia (appunto con la “S” maiuscola) mischiandosi ai filmati di repertorio, mentre dell’opera di Benigni ha la levità ed il gusto di mettere in ridicolo un fenomeno che tutto è (stato) tranne che divertente, non rinnegando ovviamente la poesia. Come definire altrimenti l’ultimo pensiero di Rocco Chinnici, prima di saltare in aria, che Pif identifica con la dichiarazione d’amore – sarà l’unico a leggerla – vergata da Arturo per l’amata sul marciapiede? O il gusto dell’ispettore Boris Giuliano per le deliziose iris che insegna a mangiare ad Arturo, morendo con i baffi sporchi di zucchero a velo, facendo sì che dal giorno dopo le stesse iris non si potranno più mangiare perché “pericolose”? O “la spettacolare vita di Giulio Andreotti” vista attraverso l’ingenuità di un ragazzino che arriverà a mascherarsi come lui a Carnevale, senza essere riconosciuto da alcuno, venendo addirittura premiato ma scambiato per il Gobbo di Notre Dame?
I mafiosi sono rigorosamente da operetta – e non potrebbero essere diversamente – derisi nella loro stupidità e messi così alla berlina, senza sminuirne però la ferocia, tendendo invece a sminuire il senso delle loro azioni: godibilissimo i questo senso è il Totò Riina analfabeta tecnologico in difficoltà con un telecomando, che però alla vigilia di quell’ormai tristemente famoso 23 maggio 1992 avrà imparato ad utilizzare.
E mentre gli eroi dell’antimafia cadono come mosche, a coronare le vicende narrate si insinuano i pregiudizi e le malelingue, come chi si lamenta per le sirene delle scorte dei magistrati, chi sminuisce la realtà mafiosa o chi ancora, come il padre di Arturo, rassicura e si rassicura ricordando che “la mafia uccide solo d’estate”.
Giovanni Falcone ha sempre sostenuto che “la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine”. Quando quel giorno arriverà, questo film, originato da una profonda conoscenza dei fatti e caratterizzato da un irresistibile spirito dissacrante, racconterà la mafia meglio di qualsiasi pubblicazione – da non perdere comunque il fondamentale “Cose di cosa nostra” di Giovanni Falcone con Marcelle Padovani – lasciandoci così a sognare che forse a seppellirla sarà stata proprio una risata. 

Voto: 7 e ½

Paolo Dallimonti

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