Scheda film
Regia: Pedro Almodóvar
Soggetto: Thierry Jonquet (romanzo “Tarantula”)
Sceneggiatura: Pedro Almodóvar con la collaborazione di Agustín Almodóvar
Fotografia: José Luis Alcaine
Montaggio: José Salcedo
Scenografie: Antxón Gómez
Costumi: Paco Delgado
Musiche: Alberto Iglesias
Spagna, 2011 – Thriller – Durata: 117′
Cast: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Jan Cornet, Roberto Álamo, Eduard Fernández, Blanca Suárez
Uscita: 23 setembre 2011
Distribuzione: Warner Bros
Ispirato al libro “Tarantula” di Thierry Jonquet
Il dottor Robert Ledgard è un brillante ricercatore che conduce esperimenti su tessuti connettivi.
Il limite tra la sperimentazione in nome della scienza e qualcosa di più vicino all’ossessione, sembra essere il confine entro il quale l’uomo si muove. Fino a che la vita non lo spinge a varcare quel limite.
L’identità, perduta, ritrovata, contraffatta, e l’etica sono i grandi temi di questa nuova esplorazione di Almodovar.
Tralasciando per un attimo i riferimenti precedenti e le manipolazioni a opera del regista di testi famosi o meno, quel che resta alla fine è solo un’immagine molto inquietante: un uomo reso freddo dal gelo dell’anima e la sua vittima che si fronteggiano, ciascuno con in mano un’arma.
Il film è costruito come un puzzle e come quello svela per gradi il senso dell’immagine finale. Possiamo intuire, certo, e Almodovar è maestro nel sussurrare, quando non si diverte a lasciar urlare i suoi personaggi, ma qui siamo dalle parti di un noir e, come sempre in questi casi, occorre insinuare per rendere al meglio il senso di inquietudine che permea l’intera storia.
Antonio Banderas, tornato con Pedro a molti anni dal bellissimo Legami!, è qui un freddo e distaccato chirurgo che cela un segreto e un fine che lo apparentano ai mad doctor del passato.
La storia prende il via lentamente e quello che vediamo è solo una parte del tutto, un tutto che svelandosi lascia decisamente stupefatti di fronte all’audacia del chirurgo e del regista stesso, che insieme regalano una di quelle storie difficili da dimenticare.
Gli interrogativi sono molti, le risposte poche o, addirirttura nel complesso, lasciate alla buona volontà dello spettatore il quale, appena riavuto dallo shock di aver compreso quel che è accaduto, deve in fretta decidere da che parte stare. Ma non sarà una scelta facile.
Dolorosa esplorazione dei limiti di ciò che è consentito, prima ancora che possibile, questo La Pelle che abito pone lo spettatore di fronte al grosso dubbio che non sempre quel che ci è accaduto nella vita giustifica ciò che diventeremo. Il dolore plasma le persone certo, e quel che è accaduto al dottore è di sicuro, oltre che doloroso, devastante. Ma ciò che egli decide di realizzare è decisamente al di là di quel che si potrebbe pensare di fare, anche di fronte a una catastrofe che ci ha travolti, lasciandoci sanguinanti al bordo della strada a chiederci come è possibile esser sopravvissuti a tutto questo. Detto ciò quel che resta da considerare è lo stile personalissimo del regista, il quale ha sempre usato gli attori in maniera egregia, rendendo immortale quasi ogni suo personaggio. Almodovar riesce qui nel difficile compito di gelare lo spettatore e nel contempo renderlo partecipe di un’aberrazione. Quasi come a dire che tutto quel che qui si insinua, non solo è possibile, ma addirittura comprensibile. Il suo dottor Frankenstein è un freddo, ma molto competente vendicatore che usa la sua capacità fuori dal comune per arrivare là dove nessuno è mai arrivato prima. Riuscendo nello stesso tempo a farsi del male e a farne, in misura eguale, senza mai perdere di vista il nucleo della sua ossessione.
Antonio Banderas recita con un buon grado di convinzione il personaggio, forse, più difficile della sua carriera, mentre la bravissima Marisa Paredes è ancora una volta una di quelle donne che Almodovar riesce così bene a tratteggiare. La regia algida, specchio del cuore del suo protagonista, è tecnicamente perfetta, anche se lascia con un leggero rimpianto per il calore delle vecchie esplosioni di estro cui il regista ci aveva abituati.
Nel complesso possiamo dire che, se con Gli Abbracci spezzati Almodovar aveva reso omaggio ai grandi melò del passato, con questo ultimo bellissimo affresco è a un inquietante futuro che rivolge il suo sguardo, coniugando sempre meglio la perfezione stilistica con una capacità di trattare i temi più ostici senza mai cadere nell’ovvio.
Anna Maria Pelella