LUCKY RED

presenta

LA PICCOLA LOLA

un

BERTRAND TAVERNIER

con

JACQUES GAMBLIN

ISABELLE CARRÉ

e

BRUNO PUTZULU

cast artistico

Pierre Jacques GAMBLIN

Géraldine Isabelle CARRE

Marco Bruno PUTZULU

Annie Lara GUIRAO

Xavier Frédéric PIERROT

Sandrine Maria PITARRESI

Michel Jean-Yves ROAN

Patricia Séverine CANEELE

Yves Fontaine Gilles GASTON-DREYFUS

Nicole Anne LOIRET

Bernard Philippe SAID

Docteur Sim Duong Vongsa CHEA

Monsieur Sokhom Pridi PHATH

Kim Saly Neary KOL

Monsieur Khieu Rithy PANH

Nourrice Lola Narith PONN

Lola Srey PICH KRANG

Marianne Anne-Marie PHILIPE

Monsieur Detambel Daniel LANGLET

cast tecnico

Regia Bertrand TAVERNIER

Scritto da Tiffany TAVERNIER

Dominique SAMPIERO

Con la partecipazione di Bertrand TAVERNIER

Dialoghi Tiffany TAVERNIER

Dominique SAMPIERO

Fotografia Alain CHOQUART (A.F.C.)

Montaggio Sophie BRUNET

Musica originale Henri TEXIER

Scenografie Giuseppe PONTURO

Costumi Eve-Marie ARNAULT

Suono Dominique Levert / Elisabeth Paquotte

Gérard LAMPS

Produzione Little Bear / Frédéric BOURBOULON

Les Film Alain Sarde / Alain SARDE

TF1 Films Production

Produttori esecutivi Agnès LE PONT e Christine GOZLAN

Direttore di produzione Marc OLLA

Durata 128 min.

Sinossi

LA PICCOLA LOLA è la storia del desiderio di avere un bambino che trascina una giovane coppia, Pierre e Géraldine, nel bel mezzo di un viaggio iniziatico ai confini del mondo, in un paese martirizzato dalla Storia: la Cambogia. Per loro inizia un’avventura spaventosa e straordinaria al tempo stesso: giro degli orfanotrofi, confronto con le autorità francesi e cambogiane, minaccia di traffici. Senza dimenticare la diffidenza e la gelosia ma anche l’aiuto reciproco della piccola comunità di adottatori riuniti dal caso.

Attraverso questa ricerca, la coppia affronta le proprie paure, i propri egoismi. Va in pezzi e si ricompone, uscendone cambiata per sempre.

Tiffany Tavernier

sceneggiatrice

Alle origini di questo film c’è un romanzo. Il primo che ho scritto, la storia di Justine, una ragazza di diciassette anni completamente abbandonata che si ritrova “per caso” immersa nell’ambiente umanitario di Calcutta. Mio padre un giorno mi chiama, gli piacerebbe adattarlo.

“Impossibile. Non riuscirai mai a far entrare delle telecamere nei dormitori e poi il mondo umanitario è cambiato, i volontari di oggi non sono più quelli di una volta. Tutto è molto più professionale”.

“Mi sarebbe tanto piaciuto filmare il percorso di questa ragazza”.

Fine della conversazione. Fine del sogno. Passano tre anni. Laissez-passer esce sugli schermi. Bertrand è alla ricerca di un nuovo soggetto. Mi viene in mente all’improvviso. Ne parlo a Dominique, mi da il suo benestare, alziamo il telefono.

“L’adozione, Bertrand, lo stesso percorso di Justine. Un dolore immenso come punto di partenza, un viaggio in capo al mondo, in un momento in cui i personaggi non avrebbero mai pensato di farlo, un paese a tutto tondo, una lotta, una metamorfosi, un ritorno”.

“Mi interessa, ma voglio più materiale”.

Una serie infinita di interviste via internet e via telefono. Si scopre il mondo della sterilità-consenso-procedure. Tra il dolore degli uni, il panico degli altri, la diffidenza, la felicità, la paura, l’angoscia, si naviga in un magma di informazioni iper caotiche. Ci impiegheremo sei mesi buoni per raccapezzarci qualcosa. La Missione dell’Adozione Internazionale non può aiutarci. Sapremo più tardi che è solo un piccolissimo gruppo ad amministrare l’integralità di tutte le adozioni all’estero, una cosa completamente impossibile.

Dopo aver esitato tra Haïti, Mali, il Vietnam e la Cambogia, finiamo per scegliere quest’ultima. Per la maggior parte degli adottatori è una vera prigione: otto settimane sul posto, una procedura appesantita che non smette mai di cambiare, un’ambasciata francese poco cooperativa, una vaghezza artistica relativa agli importi di denaro da versare, un paese ancora esangue in seguito al genocidio commesso dai Khmers rossi, delle istituzioni ancora molto claudicanti… Bertrand non ha bisogno di ascoltare oltre. Accetta.

“E ora ?”

Li guardo, lui e Dom.

“Ora ragazzi, è molto semplice, ci andiamo”.

Quindici giorni a Phnom Penh. L’inizio. Sveglia alle sei del mattino, a letto all’una di notte. Visitiamo l’ottanta per cento delle location future (orfanotrofi, ministeri, guest-house), incontriamo alcuni direttori di orfanotrofi, delle persone che si trovano lì per adottare, dei giornalisti, dei cambogiani coinvolti nella procedura ufficiale, dei responsabili dell’ONG locali e internazionali, dei proprietari di hotel riservati agli adottatori. Tante risate, lacrime, emozioni. Bertrand va in un brodo di giuggiole.

Torniamo nel nord della Francia. A dicembre diamo a Bertrand una prima versione. Reagisce. Seguiranno otto versioni.

Con Dom, andiamo avanti, ci ripensiamo….

Trovare l’equilibrio della coppia. Trovare le parole della sua complicità. Trovare la caratteristica di ogni personaggio senza che questo diventi troppo caricaturale.

Seguire il meccanismo della procedura.

Bertrand si angustia. Troppe emozioni soffocano l’emozione. Settima versione. Siamo vicini al traguardo. Molto vicini. Le riprese sono previste per ottobre. La preparazione inizia in agosto. Consegna sceneggiatura giugno 2003. Bertrand fa scintille. “Bisognerà che veniate sul set”.

No problem.

Atterraggio in famiglia il 13 ottobre 2003 alle 9.00 del mattino ora locale, primo giorno di riprese, indovinate la location? La sala accoglienza dell’aeroporto di Pochentong sotto la pioggia!

Venticinque tecnici francesi. Tra questi quelli della vecchia guardia, Bébert, Alain, Marco

che seguono Bertrand da molto tempo e cento cambogiani di cui quaranta sono autisti.

Basta fermarsi due minuti davanti a via Phnom Penhois per capire il perché. Il caos.

Bertrand si deprime. I cambogiani garantiranno? La troupe francese saprà integrarsi? E gli attori? Tutti hanno accettato di venire prima dell’inizio delle riprese e di restare due mesi sul posto. È l’accordo. Riusciranno a resistere?

Azione! Magia delle riprese. Gli attori apprezzano il fatto che gli sceneggiatori si trovino sul posto. Bertrand ci propone di cambiare alcune scene seguendo la natura degli ambienti, la natura della luce, il modo in cui i personaggi prendono vita. Ci adattiamo come Alain, Zoé, la regia, la produzione, gli attori, i bambini e passiamo i nostri sabati sera a ballare con tutta la troupe un po’ di rock e un po’ di danza khmère, meravigliati dall’efficienza dimostrata da tutti: nessuno protesta, nonostante il ritmo super veloce, le 91 location, il caldo, il monsone.

Neary, Somany, Reasmey, Monita e tutti gli altri, si ritrovano tra i frammenti del loro passato, del loro passato violento, tragico e folle.

Noi, i francesi, con il corpo alle volte piegato in due davanti allo sguardo di una ragazzino malato gravissimo.

Le cene in dieci, in quindici, l’apprendimento della lingua, l’energia folgorante di Bertrand che, all’alba, scende nella sala per la colazione dell’hotel Goldiana cantando, di Daniel il capo parrucchiere, del suo piccolo stagista che tutte le mattine viene direttamente da una bidonville, la bellezza delle rive del Tonlé Sap, la tata di Lola, l’attrice rivelazione, Isabelle, la sua sete di domande, Jacques, la sua fame di comprendere, impossibile immaginarne una fina a quel punto.

No. È troppo bello. Troppo singolare.

Eppure un giorno ce ne andiamo. Saliamo su una scala mobile, come loro, nel film, facciamo un gesto con la mano e puff…

La Cambogia, queste riprese incredibili, Holy Lola… Ci vuole qualche mese per riprenderci. Un giorno, uno squillo del telefono, possiamo venire. Ci sediamo tesi. Buio in sala. Luce sullo schermo. Tratteniamo il respiro.

E tutto ricomincia.

Tutto.

Tiffany Tavernier

Dominique Sampiero

sceneggiatore

“Dom, scriveremo un film sull’adozione!”

“Ah sì ?”

È una domenica, piove, mi dico che è a causa della pioggia. Tiff argomenta.

“Sì, sì, te lo assicuro, la sterilità, le pratiche, il viaggio all’estero, tutto, ho parlato con delle donne, il soggetto c’è, ne sono certa!”

No so ancora che passerò trenta mesi intensi su questo “Ah sì” un po’ distratto e che il soggetto non ci lascerà mai più.

Per un anno attraverso internet, o durante degli incontri, degli uomini e delle donne, persone come voi e come noi, gli adottatori, ci parlano, si confidano, all’inizio con timidezza, poi, con fiducia, ci raccontano i loro percorsi, le loro difficoltà: cosa significa amare il figlio di un altro? Tutti i giorni, prendiamo appunti, scriviamo, dicendoci, non è la mia storia, ma quanto è forte….degli eroi… non lo sanno, degli eroi dell’amore solo per avere un figlio che non sarà mai veramente loro… mi chiedo se amiamo i nostri figli allo stesso modo!

Un testo, una specie di memoria, una guida, un compendio sull’adozione con delle testimonianze, i fallimenti, le difficoltà, e cosa ancora più preziosa: la voglia di raccontare, di condividere, di dire agli altri come funziona. Una sorta di gravidanza con tutti i rituali della coppia biologica: foto, diario, partecipazione alla nascita. E l’impressione che quel giorno siano venute alla luce tre persone.

Non so più quante, due o trecento pagine, Bertrand legge, abbiamo paura, Bertrand scuote la testa, e l’incredibile gli fa eco, lui l’ipersensibile e l’impegnato in tutti i soggetti che feriscono o commuovono il mondo, iniziano gli effetti dello choc! Non ci siamo sbagliati

“Ci sono dodici film in queste storie !”

Allora al lavoro, in fretta e furia, trama, sceneggiatura, brani interi di dialogo, per farla breve sgobbiamo, siamo alimentati da un fuoco sacro, il fuoco delle parole degli uomini e delle donne che ci hanno dato fiducia, il fuoco di Bertrand, un incendio, un uragano, un vulcano che si rimette in moto, pone le domande giuste là dove fa male, il fuoco dello sguardo dei bambini adottati, incrociati durante degli incontri, delle famiglie, delle associazioni e che ci perseguitano, una specie di ringraziamento-perdono, sono qua, non sono più lì da dove vengo, vogliatemi bene!

Una piccola ferita si risveglia nella mia memoria. Ho qualcosa da dire in questa sceneggiatura sui ventidue bambini della D.D.A.S. alloggiati da me, famiglia d’accoglienza, per un anno o due – mia madre era una balia patrocinata. Un miscuglio di tenerezza e disperazione. Il panico dell’abbandono e la sicurezza dell’adozione.

Qualche cosa di minuscolo, di minimo, non saprei dire, per esempio la luce di uno sguardo che va dal nero al grigio-blu. Ho visto il film, Bertrand ce l’ha messo!

Lavorare in fretta e in furia, senza avere l’impressione di lavorare.

Di lottare sì, tra la realtà e la finzione, il vissuto e l’elaborazione, di lottare per parlare come parlano, vivere come vivono, semplicemente, ma quanto è difficile.

L’apoteosi. Riprese, Cambogia, due mesi. Il mio primo paese asiatico. La vergogna di essere quello che sono. Di vivere così e nel posto in cui vivo. Ma anche colpo di fulmine. Colpo di risaia, colpo di monsone, colpo del viso dei bambini e di motorini. Colpo di piste rosse, di amok e di curry. Colpo di povertà che tende la mano per mendicare come fosse uno scherzo.

Colpo d’amicizia. Jacques. Di cognome Gamblin.

Un uomo con uno spirito, una finezza, un’esigenza molto acuti. Un tipo alla Lucky Luke, Fantomas e Spider Man. Delle serate, delle notti passate a riscrivere la sceneggiatura, il mondo e a bere della Tiger Beer. L’esigenza di farsi venire una sincope, di ammazzarsi di lavoro, per passione, per un film, per cosa?

Un po’ di polvere e di pioggia? Dominique Sampiero

Jacques Gamblin

Pierre

La sceneggiatura

Leggendo la sceneggiatura, si sente l’avventura particolare, la scommessa. Si intuisce che il testo sarà un supporto che nutrirà la realtà delle riprese e degli incontri. E che realtà!…

Sono arrivato in Cambogia poco prima di iniziare le riprese. Pronto ad immergermi completamente nella realtà, qualunque essa fosse. Preferivo così. Ho scoperto questo paese, le sue bellezze ed i suoi orrori, mentre lavoravo.

Vivevo il mio personaggio più che altro come qualcuno che guarda e che si pronuncerà più tardi. Non per il rifiuto di farmi commuovere ma perché quello che vedevo richiedeva tempo e silenzio.

Quando la telecamera ti riprende mentre guardi un bambino malato di AIDS in un orfanotrofio, devi essere lì e basta, non credo che lo spettacolo della mia emozione possa essere interessante, non c’è nulla di più forte di quello che viene mostrato. Questo film ci ha spesso messo a confronto con delle situazioni simili.

Pierre di fronte a Géraldine

Ogni giorno le differenze tra me e Isabelle si sono fatte sempre più precise. Non avevamo lo stesso rapporto con l’espressione delle nostre emozioni, con il paese, con ciò che vedevamo e vivevamo quotidianament e. Abbiamo deciso di farne la nostra forza, di costruire una coppia su queste differenze.

Una maternità, anche senza gravidanza, è comunque più sentita dalla madre. La realtà di un bambino, per un uomo, è quando questo arriva. Prima di allora, non è che un’astrazione, una proiezione, una serie di fantasie. L’uomo rispetta gli stati d’animo di sua moglie, le sue voglie. In una coppia c’è spesso quello che accelera e quello che frena, situazione che si inverte in funzione dei vari momenti. È così che questa coppia si nutre e si sorprende. Pierre è un medico, è attento a non entrare in empatia con tutto ciò che vede. Osserva, prende, memorizza, è molto curioso, attutisce i colpi e “libera le belve” solo più tardi. Bisognava trovargli dei buchi, degli spazi vuoti per il silenzio.

Con Bertrand, bisogna dare tutto: l’approvazione e le ribellioni. Riceve e ascolta tutto. È così che si costruiscono i personaggi dei suoi film. È lì che si trova la loro forza. Si è servito delle mie resistenze.

Essere attori

A Bertrand piace fare le prove. È a partire da queste ripetizioni che si appropria della visione della scena, della sua visione del momento, ed il modo migliore per proporre le situazione con i suoi attori. Ed è così che la telecamera di Alain Choquart trova il suo posto. È il momento più importante della giornata, quello che preferisco, quello in cui tutto è ancora possibile. Holy Lola si basa su una serie di momenti che non sempre possiedono una grande forza. Un lavoro che si basa spesso su delle sfumature, delle emozioni discrete, delle cose apparentemente “poco importanti”.

E là, prova dopo prova, si corre il rischio di voler caricare drammaticamente ciò che invece non dovrebbe esserlo.

Che avessimo tre giorni di riprese o quarantotto, dovevamo affrontare tutti gli stessi problemi, senza possibilità di transigere o uscirne.

Recitare con degli attori cambogiani, non tutti professionisti, con dei bambini di cui dovevamo seguire il ritmo, girare in ambienti che non osavamo chiamare “naturali”: gli orfanotrofi, la grande discarica di Phnom Penh, Tuol Sleng, il museo del genocidio…Era l’avventura stessa di questo film, dei suoi attori, un avventura sottomarina, in apnea, con delle fasi di decompressione e risalita in superficie di quando in quando per arrivare sino in fondo, perché è unica, e perché lo sappiamo. Ed è anche, penso, quella del regista. Non credo che Bertrand abbia mai fatto un altro film in cui si sia spinto fino a questo limite infinitesimale tra realtà e finzione orientando così i suoi attori verso questo luogo improbabile in cui essi stessi non sanno più se stanno recitando ancora oppure no.

Far parte di un film di Bertrand Tavernier, significa far parte del tracciato.

Noi. Gli attori, siamo i traghettatori di una coerenza che egli costruisce film dopo film su dei soggetti indispensabili.

Si imbatte in una pietra, la solleva, sotto ci trova un formicaio. Ce ne fa visitare le gallerie e ci fa scoprire un mondo. È molto più che essere attori.

Delle situazioni alle volte crudeli

Nel film mi piace particolarmente questa fuga verso il sud della Cambogia, si lascia la città, la folla, il brulichio… E più respiriamo nella bellezza di questo paese, dei suoi colori e delle sue luci, più la storia affonda nella crudeltà e nelle situazioni contorte- corruzione, traffico di bambini e negoziazioni finanziarie- e pone la questione del sino a dove si possa o si debba arrivare per adottare.

Anche quei momenti di vita pseudo-comunitaria tra adottatori, l’obiettivo è comune a tutti, tornare a casa con un bambino, ma le modalità per arrivarci, oh quanto sono diverse! Là si rivela l’essere umano nella sua grandezza come nella sua piccolezza: gelosia, competizione, ritenzione di informazioni tra adottatori… E poi arriva il bambino così tanto desiderato, trova il suo posto tra le mutue goffaggini e l’amore straripante. Il bambino che arriva a fa dimenticare il resto… forse! Ma il soggetto del film per me non è solamente l’adozione e le lunghe e labirintiche pratiche, ma la coppia, lui e lei, insieme, e la forza di ciò che li lega nonostante le speranze e le successive delusioni. È stata messa alla prova e ha dimostrato di essere in grado di sopportare molto.

Lola

Il “casting” di Lola fa parte anch’esso dei momenti più duri delle riprese.

Un’adozione provvisoria. In che momento ci si è imposta questa bambina? Perché lei, Srey Pich Krang, e non le altre. Come abituarsi l’uno all’altro quando tutto ciò che siamo gli è estraneo: le parole, il timbro delle voci, la pelle, i gesti…

Resta lo sguardo, l’energia. Delle ondate!…

Ricordarsi della Cambogia

Ho assorbito tutto quello che potevo durante quest’avventura. La gente, il meticciato, la bellezza degli uomini e delle donne, sopratutto delle donne, il sorriso dei volti, il Mékong che scorre davanti alla mia finestra, il verde delle risaie, i maiali che vanno a spasso sui motorini. Le domande che non si osa fare, le tracce della storia, la deriva, la deriva dell’ideologia, e poi i gesti quando non si hanno parole. La lista è troppo lunga quando c’è tutto e il contrario di tutto.

Spinti sino all’estremo. Un film è sempre un’occasione di vivere, intendo dire di vivere di più. Questo è stata un’occasione per vivere ancora di più.

Ho amato questo paese e la gente che vi ho incontrato. È rimasto dentro di me, si è impresso. Continuo a guardare tutto questo come se l’avessi ancora davanti.

Guardo, guardo, guardo e lo conservo per l’inverno. Grazie.

Filmografia (selezione):

Dissonances di Jérôme Cornuau
A la petite semaine di Sam Karmann
Carnages di Delphine Gleize
Laissez-passer di Bertrand Tavernier
Mademoiselle di Philippe Lioret
Les enfants du marais di Jean Becker
Au coeur du mensonge di Claude Chabrol
Kanzo Senseï – Dr. Akagi di Shohei Imamura
Pédale douce –Di giorno e di notte di Gabriel Aghion
Tout ça…pour ça !
L’amante del tuo amante è la mia amante di Claude Lelouch

Isabelle Carré

Géraldine

L’incontro con Bertrand Tavernier

Non conoscevo quasi per niente Bertrand ma condividiamo una passione per Romy Schneider – è lei che mi ha fatto venir voglia di diventare attrice.

Tra di noi c’era innanzitutto La Mort en direct – La Morte in diretta. Ho avuto un’adolescenza un po’ triste, ed una delle mie scappatoie era il cinema. Mi ricordo di film come La passion Béatrice – Il Quarto comandamento.

Ho incontrato Bertrand tre settimane prima della partenza degli attori per la Cambogia.

La lettura della sceneggiatura

Sin dalle prime pagine della sceneggiatura, mi sono detta: non è un film “normale”, è un’esperienza che ci accompagnerà per tutta la vita, che non ci lascerà mi più. Avevo pochissimo tempo per prendere una decisione. Era la prima volta recedevo da un contratto teatrale per fare un film. il film è cominciato con una scelta violenta ma impareggiabile. Credo che questo abbia nutrito il mio impegno, bisognava rendere il più positivo possibile ciò che in partenza era stato così difficile.

Géraldine

Il desiderio di avere un bambino di Géraldine è anch’esso impareggiabile. Si tratta di una persona che non riflette a lungo, tutto quello che fa le viene dettato da uno slancio, uno slancio legato alla sofferenza che ha vissuto nella carne, è un ruolo abbastanza fisico. D’altro canto è una che parte in quarta quali che siano le condizioni, cosa che alle volte le impedisce di essere lungimirante. C’è subito stata una ripartizione naturale degli affetti e dei ruoli tra Jacques e me. Il personaggio di Pierre è molto più riflessivo, e possiede anche una maggiore capacità di discernere: cosa che si addice molto a Jacques.

La preparazione

Durante la preparazione non mi preoccupavo troppo di Jacques – che avevo affiancato con piacere in “ Les enfants du marais – I ragazzi di marais”. Sapevo che sarebbe stato semplice, come anche l’esprimere il desiderio di avere un bambino: è un desiderio che conosco.

Avere poco tempo per prepararmi mi ha permesso di affidarmi quasi totalmente ai dialoghi e ad entrare nella parte con l’aiuto della costumista, Ève-Marie Arnault. Abbiamo subito trovato i costumi giusti grazie a lei e la borsetta che porto per tutto il film mi è stata donata da Bertrand, il giorno del mio arrivo.

Bertrand ha anche incoraggiato tutti gli attori ad aggiungere un tocco personale, nei vestiti o negli accessori comprati al mercato russo Phnom Penh.

La scoperta della Cambogia

Sin dai primi giorni di preparazione in Cambogia, Bertrand ci ha portato a visitare gli orfanotrofi, la discarica di Phnom Penh, il museo del genocidio.

Scoprire un paese attraverso l’infanzia e gli orfanotrofi è un approccio unico. Il desiderio di Bertrand ci ha dato lo stile, la sua assenza di didattismo, questo modo di farci entrare nella sua visione del film ci ha infuso la sua energia.
Lavorare con Bertrand

Bertrand ci ha dato fiducia. Ci ha lasciato prendere possesso dei nostri personaggi. Il suo occhio paterno, vigile, il suo modo di essere presente ci inquadra e ci rassicura. Il suo investimento mi ha sbalordita. Era sempre pieno di energia, come se corresse dietro al film. Testimoniava un’urgenza che non ho conosciuto in nessun regista . Ho l’impressione che in ogni istante sia posseduto dalla brama di cogliere tutto ciò che accade. Questo imprime al film un vigore, un’esigenza che ci obbligava a rispondere alle sue aspettative. Questo mi andava bene e rispetta la gravità del soggetto. Una scena particolarmente difficile: la visita del museo del genocidio.

Dopo la visita di Tuol Sleng — il museo del genocidio – decine di domande mi tormentavano, ho letto tutti i libri che ero riuscita a trovare sul genocidio, tra cui “Cambogia anno zero” nel quale ho trovate delle risposte sulla storia del paese, sugli antagonismi tra nord e sud.

Siamo tornati lì un mese e mezzo dopo, per girare la scena della visita al museo. Recitare in un luogo del genere, accanto ai tecnici cambogiani, mi sembrava a dir poco impossibile. Monita, la persona che ci aiutava a vestirci, una vecchia danzatrice molto brava, ha perso qui i genitori e fratelli.

Non era tornata mai più.

Géraldine è una persona che si confronta veramente con il paese, che cerca di conoscere il più possibile il passato dei genitori di suo figlio e di suo figlio. La questione della recitazione si è subito risolta: potevamo versare dei torrenti di lacrime come restare in silenzio. Non potevamo far altro che essere umili di fronte all’impressionante dignità della trouope cambogiana… Questo dramma continua ad ossessionarmi.

È comunque la sola vola in cui ho provato una certa reticenza a recitare. Quando ho visto il film, mi sono sentita rassicurare completamente dallo sguardo che Bertrand offre di questo paese. Credo che una parte di lui sia rimasta laggiù, è rimasto in contatto con i cambogiani, riceve Cambodge Soir…

Momenti difficili delle riprese

Ho provato imbarazzo quando ho dovuto girare la scena d’amore a Kep, la tensione era dovuta all’esiguità della scenografia, la capanna era minuscola, e così sono riuscita ad ottenere il permesso di rimanere soli con il direttore della fotografia, Alain Choquart, Bertrand ci guardava dal combo! Credo che se la scena è così tenera, così erotica, in parte è grazie a quell’intimità. C’è stata una bella intesa con tutta la troupe. Ho avuto un incontro fantastico con Somany Na e Lara Guirao, ci siamo sostenute a vicenda. Mi sarebbe piaciuto recitare con lei, è il mio solo rimpianto in queste riprese. Il momento più difficile, per me, è stato la scena girata durante il viaggio a Kep con Pridi Phath che interpretava il signor Sokkhom, in cui questi racconta la sua fuga dai Khmers rossi attraverso il paese con la moglie incinta. Quest’uomo aveva vissuto un’esperienza simile.

Una gran lezione d’attore, di dignità, di vita. Non abbiamo ripetuto. Sul set c’era una densità d’ascolto magnifica, una gran silenzio, molto rispetto per quest’uomo. Il suo modo di esprimersi, con tutta la concentrazione, lo sconvolgimento interiore che doveva cercar di non far trasparire, per conservare il suo pudore, tutto questo era incredibile.

Poco prima le riprese di questa scena, abbiamo visto arrivare in bicicletta centinaia di persone provenienti dai villaggi intorno a Kep, c’erano dei venditori ambulanti, dei commercianti di fortuna, dei piccoli spacci di bevande, dei venditori clandestini… le riprese avevano dato vita ad una specie di kermesse, è un ricordo indimenticabile, ma bisogna dire che Bertrand possiede un talento nel farsi capire dalla gente, li prende sotto la sua ala, questa benevolenza rappresenta il cinquanta per cento del lavoro. Il resto è dovuto al talento e all’entusiasmo che hanno caratterizzato tutta la troupe, ivi compreso lo stagista del suono, Martel, un cambogiano giovanissimo che non aveva mai tenuto un microfono in mano.

Il bisogno di testimoniare

L’abbiamo sentito in modo particolare al momento della partenza; avevamo la fortuna di poterci dirigere verso altre avventure, i cambogiani del film probabilmente non possono… Per essi, questa esperienza non rappresenta solo la scoperta del mondo del cinema, ma soprattutto una porta aperta su altre possibilità di vita, di incontri, di scambi, la possibilità di sentire che non sono lasciati a loro stessi.

Siamo partiti preoccupandoci di far loro capire che avevamo compreso appieno la loro realtà, che non ci sarebbe stato verso di dimenticarla, che dall’altro capo del mondo, saremmo stati là per testimoniarla.

Lola

Ho avuto un colpo di fulmine per Srey Pich.

Quando sono andata la prima volta verso di lei, mi ha preso la mano, e per una mezz’oretta non me l’ha più lasciata.

Gli altri due bebè scelti da Bertrand piangevano quando mi avvicinavo.

La dolcezza di Srey Pich è rimasta per tutta la durata delle riprese, anche se aveva capito quasi subito che rappresentavo dei momenti faticosi: l’attesa, le ambientazioni alle volte difficili, il caldo in macchina…doversi occupare di un bambino mentre si gira, significa sia tempo guadagnato a non guardarsi l’ombleico, a giudicarsi e a riformare il proprio giudizio… E altrettanto piacere di trovarsi con esso. Fortunatamente, i suoi genitori mi piacevano. Mi sarebbe stato difficile lasciarla se avessi avuto una cattiva impressione dell’ambiente che la circondava.

L’adozione

Immaginare di adottare, ci pensavo già prima e ci penso ancora di più adesso.

Quest’esperienza resterà sempre dentro di me, ed influenzerà il mio rapporto con la maternità. Tutte le argomentazioni contrarie all’adozione, mi sembrano ridicole in confronto alla miseria di questo bambini abbandonati e all’intensità del desiderio delle persone che adottano. Desiderio che alle volte si costruisce nel dolore, ma anche nella lunghezza delle pratiche, nella resistenza agli ostacoli, cosa che il film rende molto bene.

Filmografia (selezione):

L’avion di Cédric Kahn
Mercredi folle journée di Pascal Thomas
Je suis votre homme di Danielle Dubroux
Les sentiments di Noémie Lvovsky
Se souvenir des belles choses di Zabou Breitman
Ça ira mieux demain di Jeanne Labrune
Les enfants du marais di Jean Becker
La femme défendue di Philippe Harel
Le hussard sur le toit di Jean-Paul Rappeneau
Beau fixe di Christian Vincent

Bruno Putzulu

Marco

Marco Fulvio: sardo e comunista

La coppia di Marco e Sandrine è un po’ selvaggia, sono evidentemente complessati rispetto agli altri a causa delle loro origini sociali, la loro mancanza di denaro. Hanno bisogno di sentirsi rassicurati prima di mescolarsi al gruppo, di avvicinarsi poco a poco agli altri. Mi sentivo bene in questo personaggio.

Mio padre è sardo, ha fatto “i tre turni” in una fabbrica per trentacinque anni. Mia madre era casalinga. Capisco molto bene queste persone.

La coppia Marco e Sandrine

La coppia per loro è un rifugio, un modo di richiudersi su se stessi.

Ma allo stesso tempo Sandrine e Marco sono molto forti perché sono molto uniti, molto teneri, e con Maria Pitarresi abbiamo scelto di privilegiare questo aspetto. Con il passare dei giorni, delle scene di gruppo, si sentono più a loro agio. La scena in cui si parlano in italiano sul letto è stata aggiunta durante le riprese.

Dovevamo appropriarci dei nostri ruoli a poco a poco. Mentre giravamo, avevo sempre in mente un’immagine: ci stringiamo tra le braccia dicendoci : “andrà bene, andrà bene”.

Il gruppo degli adottatori

Penso che il piacere provato da Maria e me nel recitare anche le scene più piccole, ha comunicato della tenerezza alla coppia. Tutto era importante.

In questo film, ci sono molte scene di gruppo ed è come in un’orchestra, non si nota tale o talaltro musicista a meno che non suona male o si ferma. E se tutti suonano bene, allora è una meraviglia, e si crea un bell’ensemble. Bisogna essere in sintonia con la verità del momento: se si mettono troppe intenzioni nel personaggio, non si recita in gruppo. Rendevo partecipe Bertrand delle mie domande sul personaggio, molto raramente. Le prove esistono per questo: è il momento per fare delle proposte. Non serve a nulla farsi i gargarismi con le domande.

Recitare con Bertrand

Quando ho lavorato per la prima volta con Bertrand ne “ L’appât – L’esca”, ero appena uscito dalla scuola di teatro ed ero tornato al Conservatorio. Non avevo mai recitato, né a teatro, né al cinema.

Non sapevo di iniziare nelle migliore delle condizioni possibili.

È solo in seguito che me ne sono reso conto. Ho ritrovato questa grande gioia per Holy Lola, dieci anni dopo “ L’appât – L’esca”.

Bertrand alcune volte da l’impressione di essersi un po’ perso sul set, si interroga, ci interroga lasciando così spazio all’improvvisazione, alle prove. È come se, in maniera tacita, responsabilizzasse gli attori.

È disposto a molto per stare vicino agli attori. È nervoso, teso dall’attenzione, in ascolto, ci aiuta ad arrivare in fondo alle scene. Ci è vicino, lo percepiamo; alcune volte goffo e maldestro, ma questo apre molteplici possibilità. Non fissa nulla, non arriva sul set con alcuna certezza. È quello che mi colpisce di più. Proviamo sapendo che la verità della prova non sarà la stessa di quella che ci sarà quando avrà detto “azione”. Il tempo non è più lo stesso

Ma queste prove ci servono. Non vi è nulla di rigido. Il fatto che Bertrand si ponga delle domande davanti a noi rende le riprese molto vive. È la telecamera che si posiziona in funzione nostra, e non l’inverso.

Godiamo appieno della recitazione, senza ritegno, Bertrand accetta tutto.

Fare un film in Cambogia

Quando abbiamo girato negli orfanotrofi, la maggior parte del tempo, non avevamo contatti fisici con i bambini. I piccoli tendevano le braccia perché li prendessimo con noi, ci guardavano con intensità.

Dopo le riprese, tutti questi sguardi ci ossessionavano, tutti gli sguardi dei bambini che non avevamo preso in braccio. Sono cose che non si dimenticano. Ho conosciuto questo paese a modo mio, senza dubbio meglio di quanto avrei fatto se mi fossi costretto a farne parte a tutti i costi, se avessi voluto cogliere tutto.

Ero laggiù prima di tutto per lavorare.

La miseria, la prostituzione sono dappertutto, non appena si esce sulla strada. Allora, si offre del denaro o qualcosa da mangiare, ma ci si sente terribilmente impotenti. Si percepisce la violenza prossima a scoppiare. Ho giocato delle partite di calcio per strada con i cambogiani e anche con dei bambini. Eravamo in ballo, presi dal gioco, e allora poco importavano le differenze, all’improvviso parlavamo una lingua comune.

Per me, sono stati dei momenti molto importanti. E la stessa cosa è accaduta con il cast durante le riprese. I cambogiani possiedono una grazia incredibile, un ritmo particolare che si ritrova nella recitazione. Grazie alle riprese, qualcosa di diverso è diventato possibile.

I rapporti e il lavoro con i cambogiani superavano questa realtà terribile, quest’ineguaglianza di condizioni.

Eravamo uguali, eravamo insieme.

Filmografia (selezione):

Père et fils di Michel Boujenah
Monsieur N di Antoine de Caunes
Lulu di Jean-Henry Roger
Eloge de l’amour di Jean-Luc Godard
Les passagers di Jean-Claude Guiguet
Petits désordres amoureux di Olivier Peray
Les aveux de l’innocent di Jean-Pierre Améris
L’appât – L’esca di Bertrand Tavernier

Maria Pitarresi

Sandrine

Il personaggio

Sandrine è sfalsata rispetto alle altre donne del gruppo. La sua condizione di donna sposata ad un minatore lorenese non le consente di fare la sbruffona, ma non le impedisce di fare la civettuola.

Era molto importante per me dare vita a quell’aspetto desueto che aveva nella sceneggiatura e che la rendeva commovente, in un modo del tutto particolare.

Molto presto, questo aspetto di donna italiana, un po’ “mamma”, con i suoi vestitini-grembiule, si è imposto.

Con Bertrand e Eve-Marie Arnault, avevamo in mente degli abiti anni ’50, che Sophia Loren o Gina Lollobrigida avrebbero potuto indossare in film come “Una giornata particolare” o “Pane amore e fantasia”.

Mi piaceva la libertà di movimento che mi avrebbero potuto dare nelle scene con il bebé. Ho voluto portare una piccola croce al collo. Ci tenevo che questo piccolo segno religioso, accompagnasse Sandrine nella sua vita di tutti i giorni.

Mi tolgo la croce quando sono vestita di beige o di giallo per rimpiazzarla con una piccola perla. Una civetteria tutta italiana: assortire sempre i gioielli con il colore degli abiti.

La coppia

Marco e Sandrine sono lì a forza di economie.

Non hanno esitato ad indebitarsi per cercare di avere un bambino. Anche questo è molto italiano: avere un bambino costi quel che costi (ed è proprio il caso di dirlo), ma averne uno assolutamente.

Marco è solido, affidabile, ma anche vulcanico, proprio come lo era Bruno durante queste riprese. Si è dimostrato un partner dalla recitazione delicata, attenta e gioiosa, che aveva continuamente delle reazioni sorprendenti, una tenerezza contagiosa.

Rithy Panh

Il regista Rithy Panh, che nel film ci autorizza definitivamente all’ adozione e cita Victor Hugo, possedeva una forte autorità naturale. Avevo una scena in cui lo dovevo affrontare: ero impressionata dal suo sguardo e dal silenzio che riusciva ad imporre prima di prendere parola. È una scena in cui pendeva dalle sue labbra tanto la posta in gioco era importante. Prima delle riprese avevo visto il suo film S21, che mi aveva sconvolta.

Avevo la sensazione che Rithy portasse nei suoi sguardi degli interrogativi lancinanti sul terribile periodo degli Khmers rossi.

Il bambino

Siamo Bruno ed io ad aver “trovato” questo bambino. Dovevamo andare a vedere diversi bebè in una sala, e durante il percorso, abbiano scorto questo piccino.

Ci siamo diretti verso di lui e sua madre, ci ha sorriso spontaneamente.

Bruno l’ha preso in braccio, sorrideva ancora di più. Mi sono divertita con lui, rideva sempre. Era deciso. Il nostro piccolo Sergio, volevamo che fosse lui. Ovviamente, durante le riprese è stato meno facile, piangeva spesso. Eravamo lì per interpretare degli adottatori, ma con i bebè, non bisogna sbagliare, sono loro che ti adottano e non il contrario.

L’adozione

Al nostro arrivo, Bertrand ha voluto che tutti gli attori avessero un foglio redatto da un’adottatrice che spiegava tutti i passi da fare. Ho pensato ad uno scherzo, che l’esperienza di questa donna fosse stata totalmente esagerata.

Nel corso delle riprese ho scoperto che questa descrizione era del tutto esatta. Sento una grande rabbia di fronte a tante prove da fornire, fogli da riempire, di andate e ritorni incessanti in innumerevoli uffici, come mostrato nel film. Ci vuole una dose di coraggio e di tenacia che non possiedo, nonostante tutta la felicità che ti attende alla fine. La quasi impossibilità di adottare in Francia – che obbliga gli adottatori ad andare così lontano – mi fa arrabbiare ancora di più. Ho sentito dire che il governo francese si sarebbe impegnato a facilitare l’adozione in patria. Sarebbe pure ora!

Filmografia (selezione):

Laissez-passer di Bertrand Tavernier
Mon père di José Giovanni
Ça commence aujourd’hui di Bertrand Tavernier
Vive la mariée… et la libération du Kurdistan di Hiner Saleem
Nouvelle vague di Jean-Luc Godard

Philippe Saïd

Bernard

La coppia

Bertrand ha sempre definito la coppia formata da Bernard e Nicole come dei “finti gentili”. Mi piace molto interpretare dei personaggi ambigui. Quali che siano i loro difetti, dal momento che si trovano in questo percorso di adozione, non possono essere troppo cattivi.

Se fossero obbligati a restare nel paese, riesco ad immaginarli benissimo mentre vivono da “espatriati” tra francesi, in una sorta di nostalgia post – colonialista.

Ne ho incontrati diversi in Cambogia.

Non capisco come si possa vivere in un paese restando in disparte.

Senza imparare il khmer, per esempio.

È una lingua ricca di immagini, che si basa sulle metafore e le parabole.

Parlare un po’ di khmer, non significa solo imparare una lingua, ma anche immergersi in un altro modo di pensare.

Girare in Cambogia

La difficoltà maggiore è stata trovare l’ambiente giusto, riuscire a stabilire un contatto il più autentico possibile con il paese. Bisognava integrarsi senza rimanere paralizzati dalla realtà terribile, l’ineguaglianza delle condizioni e i complessi rapporti con gli occidentali.

I cambogiani

I cambogiani per tradizione non mostrano le emozioni come la collera o il risentimento. Sono pudici. Trovarsi laggiù è una scuola di serenità. Allo stesso tempo si fanno prendere totalmente dal piacere della recitazione, un piacere infantile, che buca lo schermo. Il fatalismo legato al buddismo – e che fa molto comodo al potere locale – non gli impedisce di cogliere le opportunità, di aprire delle porte, come hanno fatto con quest’avventura.

Filmografia (selettiva):

Laissez-passer di Bertrand Tavernier
Mon père di José Giovanni
Les braqueuses di Jean-Paul Salomé

Anne Loiret

Nicole

La coppia

La coppia che interpreto con Philippe Saïd è carica di una stupidità molto ordinaria; non sono veramente cattivi, ma piuttosto meschini per conformismo e mancanza di curiosità. Posseggono una certa “incultura umana”. Non dubito, invece, che non possano essere dei bravi genitori, che Nicole possa essere una buona madre, ma preferisco vederli in un film che parla di adozione, piuttosto che in una giornata di elezioni.

Gli adottatori

I rapporti tra adottatori assomigliano a quelli che si hanno a scuola. Si ha voglia di conoscere i genitori dei compagni di nostro figlio, ma alcune volte ci rendiamo conto che non valeva la pena conoscerli.

La scelta del bambino

Ero molto critica, all’inizio delle riprese, riguardo alle attrici che mettevano in discussione il bambino scelto dal responsabile del casting e da Bertrand. Trovavo sconvolgente mettere in primo piano le proprie difficoltà d’attrice, quando per le famiglie le conseguenze finanziarie sarebbero state gravi. Il bambino che ci aveva scelto la produzione era molto difficile con Philippe

Saïd, non lo lasciava avvicinare e piangeva molto.

Bertrand ci ha proposto allora Davin, il figlio del proprietario del Rega, un bambino molto socievole e abituato agli occidentali. Ho accettato, ho fatto la scelta dell’attrice, preferendo rinunciare all’altro bambino e favorendo quello con il quale esisteva un legame carismatico sullo schermo.

Filmografia (selezione):

L’adversaire – L’Avversario di Nicole Garcia
Mortel transfert di Jean-Jacques Beineix
Terminal di Francis Girod

Gilles Gaston-Dreyfus

Yves Fontaine

Il personaggio

Fontaine è maldestro, anche nel suo rapporto con sua figlia adottiva, quando gli fa ripetere l’alfabeto davanti al gruppo del Rega. Ma è scombussolato, come gli altri, da quest’adozione.

Rifiuta qualsiasi forma di corruzione sino all’inverosimile. È un comportamento impossibile da gestire, ma che, fondamentalmente, non gli si può rimproverare. Il suo rigore sfiora la stupidità. Cosa che lo rende ancora più commovente, perché non è né un calcolatore, né machiavellico. La sua idiota ostinazione gli causa un torto considerevole.

Yves Fontaine si dibatte come può in questo paese così lontano dal suo. Lotta contro un tasso d’umidità del 90 per cento, contro delle persone con le quali non ha nessun’affinità. All’inizio, è lì per setto od otto settimane, ma sicuramente si troverà costretto a rimanervi molto più a lungo perché continua a non volersi piegare alle regole dell’amministrazione cambogiana, contro le quali combatte come può, in maniera molto maldestra.

La coppia

Per me, Yves Fontaine ha sbagliato gruppo. Non è un personaggio del tutto negativo, lo trovo commovente: la coppia funziona molto bene, si amano e la loro scelta di adottare una bambina di sette anni è coraggiosa. Il personaggio di mia moglie è un ai margini del film, ma non della coppia.

La sento invece desolata di veder suo marito impegolarsi in lotte senza senso.

Si lamenta per delle storie sulla lavanderia o sullo sciacquone e questo tradisce soprattutto il fatto che non sta bene con se stesso.

La Cambogia

Bertrand ha fatto bene ad immergerci nella realtà drammatica di questo paese, dove tutto è una prima volta, in cui si vivono dei momenti che non si rivivranno mai più.

Per cercare di riprodurre una piccola parte della realtà dell’adozione, bisognava restare con tutt’e due i piedi nella realtà della Cambogia, farvi un viaggio simile, per la sua durata, a quello degli adottatori.

All’inizio a Phnom Penh, ho avuto una strana sensazione, ho finito per rendermi conto nel giro di dieci giorni che mancava un’intera generazione, in pratica non ci sono persone tra i quaranta e i cinquant’anni. Sono state tutte uccise. È così che ho capito il dramma dei Khmer rossi.

Filmografia (selezione) :

La maison de Nina di Richard Dembo
Akoibon di Edouard Baer
Mariages di Valérie Guignabodet
Laissez-passer di Bertrand Tavernier

Corine Thézier

Isabelle Fontaine

Il personaggio

La parte di Isabelle Fontaine è un vero ruolo di composizione. Nella vita sono abbastanza focosa, è stato divertente interpretare una donna modesta e rassicurante.

Il marito

Ho subito avuto voglia di difendere il personaggio di Yves Fontaine, mio marito nel film. lo trovo commovente, è quello che vive peggio quest’adozione che finisce per assomigliare ad un acquisto.

Il bambino

Naturalmente ci siamo affezionati ai bambini che recitavano la parte degli adottati nel film. Bisogna dare l’impressione che sullo schermo stia accadendo qualcosa di forte, e questo non è possibile senza una tenerezza reale. Ho avuto un legame particolare con mia “figlia adottiva”, la più grande dei bambini del film. L’ho iscritta al Centro Culturale francese, sono tornata in Cambogia tre mesi dopo la fine delle riprese, per rivederla. Mi preoccupo per il suo futuro. La chiamiamo regolarmente con Neary e Somany.

Neary forse potrà aiutarla ad iscriversi alla scuola di danza di Phnom Penh.

La Cambogia

C’è stata una gran continuità tra le riprese e la vita. Abbiamo passato molto tempo al Rega, dove sono state girate numerose scene. Abbiamo vissuto nel centro della città, circondati dai parrucchieri di strada, i lustrascarpe, matrimoni e altre festività, le costruzioni, le riparazioni meccaniche… Guardando il film ho ritrovato quel rumore così particolare a Phnom Penh.

Filmografia (selezione):

Corine Thézier ha lavorato principalmente a teatro, co-dirige anche “il teatro dell’Impossibile” con Robert Bensimon. Per la televisione, ha lavorato con artisti come Josée Dayan, Michel Vuillermet, Richardn Dembo…

Frédéric Pierrot

Xavier

Il personaggio

Il personaggio di Xavier, che ha già adottato un bambino di origine cambogiana, sta facendo le pratiche per adottare il secondo. Lavora per Handicap International, che opera in Cambogia occupandosi dei volti e della rieducazione.

Durante il nostro primo incontro, Bertrand Tavernier mi aveva dato come modello uno dei fondatori di Handicap, il dottor Richardier, che mi aveva descritto come un uomo pragmatico, concentrato sui problemi quotidiani. Questo è stato il mio primo approccio con il personaggio ed’altronde, le persone di Handicap che ho incontrato erano così: gente con i piedi per terra prima che militanti. Cosa che non gli impedisce di tenere un discorso politico…

Questa indicazione mi è subito piaciuta.

La coppia

Bertrand voleva anche che il personaggio di Xavier fosse caloroso, ma la base del mio lavoro durante la preparazione, era la coppia.

In una storia come questa, prima di interpretare un personaggio si deve prima interpretare la coppia. Con Ève-Marie Arnault, la costumista, Somany ed io abbiamo scelto delle stoffe, ed era divertente partecipare a questa scelta in veste di futuro marito. Creava un legame colorito, un modo di avvicinarsi alla vita di coppia: studiare come gli piace apparire, vestirsi.

La Cambogia

Sono andato nella regione di Païlin, a 150 km da Phnom Penh, nell’ultimo covo dei Khmer rossi alla frontiera con la Tailandia, ho visto dei cantieri di sminamento. Il responsabile cambogiano ci ha subito colpito per la sua densità e la sua serenità.

Solo una volta l’ho visto perdere il suo sangue freddo, durante il viaggio di ritorno, quando gli abbiamo chiesto se pensava che un giorno si sarebbe arrivati ad estirpare tutte le mine. In un accesso di collera mi ha detto tutto ciò che gli era insopportabile: il fatto che trent’anni dopo, intere famiglie erano distrutte quando il capo famiglia saltava su una mina, i maggiori problemi sanitari causati da tutto questo, i dissodamenti da rifare quando piove, una storia senza fine… quando abbiamo visitato l’ultimo cantiere, gli ho chiesto, insieme a Somany che traduceva in khmer, se fosse disperato e ci ha risposto “Quando le persone vengono trovarci in cantiere, come avete fatto voi, ci dà una speranza.”

Ecco la sua risposta… Eppure, ho visto quanto gli è costato venirci a prendere a Battambang, a tre ore di tragitto su strade dissestate… Durante questo viaggio Païlin, abbiamo rivisto delle scene, riequilibrato dei dialoghi. Nella sceneggiatura ero soprattutto io a spiegare il paese agli altri adottatori, ma ho sentito subito la forza dell’esigenza di Somany, legata alla sua forte personalità ma anche alle sue origini cambogiane. La frase sui contadini che saltano viene da lei. Ero tornato con alcune pagine di dialogo, che abbiamo riscritto una decina di volte con gli sceneggiatori

Dominique, Tiffany e Bertrand. Alla vigilia delle riprese, erano rimaste solo tre battute…

Ma avevamo trovato i nostri personaggi.

Filmografia (selezione):
Cette femme-là di Guillaume Nicloux
Inquiétudes di Gilles Bourdos
Monsieur N di Antoine de Caunes

Somany Na

Chenda

Il film

La sceneggiatura mi è piaciuta molto: l’adozione, la corruzione, una visione intelligente e pertinente della Cambogia, la storia di francesi in uno scenario khmer, ma anche una storia khmer.

La coppia

Ho incontrato Frédéric Pierrot, ed abbiamo “intessuto” la nostra storia. Abbiamo deciso insieme che questa coppia avrebbe avuto dei segreti, riguardanti soprattutto il mio personaggio, Chenda.

Abbiamo costruito la nostra storia principalmente su quella di questa donna, sul suo percorso principale, che resta implicito nel film. Questi criteri hanno cimentato la coppia, con la sua complementarietà, la sua comprensione ed il suo amore, nonostante la differenza d’età e di cultura.

Le riprese

Ho cercato di immaginare cosa avrebbe potuto apportare la mia vita a questo personaggio così discreto.

Non avevo mai recitato prima, come d’altronde la maggior parte dei cambogiani del film.

Questa “verginità” mi ha messo in una posizione particolare.

Mi sentivo, in alcuni momenti, più spettatrice che attrice. Osservavo gli altri, spiavo ogni minimo gesto, ogni minima parola che avrebbe potuto aiutarmi, adeguarmi a loro. Ero la sola cambogiana adottatrice in questo gruppo di francesi. Non ero né con loro, né senza di loro.

Ero con il mio bambino.

La Cambogia

Tornavo in Cambogia per la seconda volta in vita mia. Mi ero dispiaciuta, in occasione del mio primo viaggio, di non aver visto nulla, non aver conosciuto nulla, monopolizzata dai miei famigliari ritrovati.

In questo nuovo viaggio ho visto. Ho visto il turismo sessuale, i bambini sieropositivi e il paradosso dell’essere umano. Non capivo più le motivazioni della gente. Che fanno quegli uomini con delle ragazzine così giovani? Perché quest’ossessione per il denaro? E che fanno quelli dell’ONG? Ed io, che spendevo i miei soldi al mercato russo e che mangiavo al ristorante tutte le sere.

L’adozione

E poi, c’è questa storia dell’adozione. Il film denuncia la corruzione, che è ben reale. Ciononostante, non smetto di pormi la questione del divario, della sproporzione tra gli copmportamenti, come quelli dei due avversari in piena battaglia. I francesi al limite dell’isteria, trasportati dal loro desiderio, la loro passione per il bambino che hanno scelto, pronti a tutto. I cambogiani, soggiogati da questo comportamento, spinti verso ogni tipo di abuso e di traffico, quando essi stessi accettano il loro destino, il loro karma. Si trovano in un tale stato di rassegnazione che accettano addirittura il genocidio e tutto ciò che lo ha generato: vivere accanto al proprio boia, rimasto impunito, nella povertà, la paura, la dipendenza, senza governo.

Oggi, quando penso all’adozione, rivedo una serie di immagini in successione di lattanti malati, inadottabili.

Forse, avrei potuto essere una di quelle madri che abbandonano i propri figli malati, tutto ciò mi fa venire in mente la frase di Marguerite Duras : “C’è del dolore impiantato nella speranza.”

Si tratta del suo primo ruolo. È responsabile della realizzazione per RFI ed ha lavorato con Rithy Panh, in paritcolare su S21.

Anne-Marie Philipe

Marianne

Il personaggio

Ho avuto subito voglia di interpretare la parte di Marianne, che avevo percepito come raggiante, inserita in questo paese.

Abbiamo deciso con Ève-Marie, la costumista, che l’integrazione di Marianne in Cambogia doveva vedersi nei costumi che porta. È venuta da me a Parigi, le ho mostrato un modello di pantaloni comodi, che ha fatto rifare in Cambogia. Credo che questi costumi ci abbiano aiutato; durante la festa delle Acque, per esempio, nessuno mi guardava, non mi facevo notare.

Le riprese

Mi piaceva anche che, il fatto che Marianne fosse sola, venisse accettato completamente. Ha vissuto l’inferno di perdere un bambino, cosa che racconta a Géraldine. Questa scena è stata girata durante il mio primo giorno di riprese. Abbiamo iniziato con le prove sul balcone del nostro appartamento, nel posto in cui si svolgeva la scena nella sceneggiatura.

Bertrand non era soddisfatto. Siamo scesi in strada e lì, ci ha proposto di girare sul lungofiume Sisowath, vicino al fiume, durante la festa delle Acque, una ricorrenza che celebra il momento in cui la corrente del Tonle Sap cambia senso.

È quello che desideravamo, Isabelle ed io.

Ci siamo ritrovate in mezzo ad una folla immensa, filmate da Alain Choquart, camera in spalla, di spalle alla folla, aiutato dal suo assistente. Mi sono immersa in questo paese con la scoperta di questa festa, che dura tre giorni.

Come il mio personaggio, Marianne, non ho avuto nessuna difficoltà a adattarmi alla Cambogia. Era la prima volta che sentivo così poca differenza tra il momento che precedeva le riprese e le riprese stesse.

Bertrand bisbigliava “motore” e Isabelle e Jacques ed io ci guardavamo allo stesso modo,.

Bertrand ha uno sguardo preciso, sa ciò che vuole e tutto si svolge con dolcezza; abbiamo provato pochissimo questa scena.

Filmografia (selezione):

Une affaire de goût – Un affare di gusto di Bernard Rapp
La veuve de St Pierre – L’amore che non muore di Patrice Leconte
Marquise di Vera Belmont

Philippe Vieux

Jérôme

Il personaggio

Con Nathalie Bécue, mia moglie nel film, interpretiamo delle persone che desiderano affrontare la durezza del paese con un sorriso piuttosto che con le lacrime; abbiamo fatto come loro… Ci nascondevamo per piangere.

La Cambogia

È uno choc arrivare in Cambogia, quest’angolo di paradiso devastato dalla guerra e dal genocidio, oggi retto da un governo corrotto.

Il confronto della magnificenza della cultura khmer con questo paese oggi paralizzato è terribile.

Non era difficile mettersi nei panni degli adottatori, perché quotidianamente vivevamo le stesse loro difficoltà, la corruzione, la tirannia per tutto ciò che riguarda l’amministrazione e parallelamente la generosità della gente.

L’avventura umana ha ispirato l’avventura artistica e si è confusa con essa. Tutto questo è molto più importante della performance.

Filmografia (selezione):

Quand tu descendras du ciel di Eric Guirado
Le placard – L’apparenza inganna di Francis Veber
La fausse suivante di Benoît Jacquot
Une chance sur deux – Uno di due di Patrice Leconte

Nathalie Bécue

Sabine

La coppia

Con Philippe Vieux, mio marito nel film, interpretiamo la coppia che, rispetto ai nuovi arrivati, conosce meglio il paese, la sua cucina, la sua cultura. Non viviamo in hotel ma dividiamo un appartamento con un’altra adottatrice interpretata da Anne-Marie Philipe. Ci siamo divertiti moltissimo ad immaginare la nostra coppia, degli allegri buontemponi “dispensatori di consigli”, che hanno più riferimenti degli altri.

Lavorare con Bertrand

Bertrand sa riunire molte persone diverse e fare in modo che le cose funzionino. Ricrea con gli attori uno spazio confortevole ed è abbastanza attento da saper prendere ciò che si ha voglia di dare. Le sfide che ci lancia fanno sì che si ha poco tempo per pensare a sé, al proprio lavoro d’attore.

Si partecipa ad un’avventura il cui scopo è vivere bene, essere felici, ma soprattutto rendere felici gli altri. È un vero conforto.

Filmografia (selezione):

Ça commence aujourd’hui – Ricomincia da oggi di Bertrand Tavernier
Choc en retour di Roch Stephanik
Un moment de bonheur di Antoine Santana

Jean-Yves Roan

Michel

Il personaggio

Ho preparato la mia parte in funzione delle indicazioni di Bertrand che facevano del mio personaggio Michel un maestro di vini. Bertrand tiene molto al mestiere dei suoi personaggi, ci lavora sopra moltissimo. In realtà, la professione di Michel non viene mai menzionata esplicitamente nel testo, ma mi ha permesso di improvvisare una scena con Jacques, quella dell’attesa davanti al Consiglio dei Ministri, aggiungendovi un tocco di commedia un po’ sfalsata. Sapevo da, Capitaine Conan, che a Bertrand piace che si improvvisi. Si arrivano a dire delle cose un po’ assurde, quando si vive un momento importante, e si deve attendere. Come Gilles

Gaston-Dreyfus quando esce dall’ufficio adozioni dicendo: “Non è servito a nulla ma l’ho detto.” Sono commosso da tutti quei momenti in cui i personaggi nascondono il loro desiderio o ne sono sopraffatti, sino al punto di mettersi a parlare di cose assurde.

Gli orfanotrofi

Adottiamo un fratello e una sorella con Béatrice, mia moglie nel film. Il ragazzino ha un problema, è apatico e mentre Jacques lo esamina è chiaro che i suoi riflessi non rispondono. È un problema curabile ma molto angosciante per i genitori. Lo abbiamo visto insieme Laurence Lasheb andando a visitare un orfanotrofio, in cui vivono dei bambini affetti dall’aids: ce n’erano alcuni completamente spenti, amorfi, seduti su delle sedie speciali. Mi sono detto che non era possibile comunicare in alcun modo con loro…

Frédéric Pierrot è arrivato, ha giocato con questi bambini, con i giochi che avevamo portato, ed in pochissimo tempo i loro occhi si sono aperti, è successo qualcosa, la vita è tornata.

A Phnom Penh, le tate che si occupano dei bambini sono molto affettuose, cosa che ritroviamo anche nel film. I bambini non si precipitavano si di noi, c’è una vita vera nell’orfanotrofio. Avevamo un rapporto di scambio con loro. Giocavamo.

Tutti gli adottatori che ho incontrato laggiù erano attivi, ottimisti, coraggiosi, eroici.

Non so se sarei capace di affrontare una situazione simile.

Le riprese

Tra gli attori cambogiani c’era una presenza scenica incredibile: anche quando erano un po’ goffi e maldestri, erano precisi.

Non c’erano problemi di ego in queste riprese. Ci sentivamo come i veri adottatori, come se si partecipasse ad una corsa con mille ostacoli, provavamo un misto di invidia e di energia. Questo si adattava perfettamente al soggetto.

Filmografia (selezione):

Laissez-passer di Bertrand Tavernier
Le soleil sous les nuages di Eric Le Roch
Paparazzi – A colpi di scoop d’Alain Berberian
Capitaine Conan di Bertrand Tavernier

Laurence Lasheb

Béatrice

Ho rivisto Bertrand anni dopo L.627 – Legge 627, in cui interpretavo un impiegata con contratto a termine. Lavorare dieci giorni su trenta di presenza è stato duro a livello morale. In questi venti giorni di “tempo libero”, s’incontra la povertà ad ogni angolo della strada. È difficile essere pigri in una simile atmosfera. Alla fine i momenti felici sono stati quelli delle riprese.

È stata una bella esperienza di lavoro e di vita, alcune volte dolorosa.

Filmografia (selezione):

L.627 – Legge 627 di Bertrand Tavernier
De guerre lasse di Robert Enrico
Le soleil sous les nuages di Eric Le Roc

Daniel Langlet

Monsieur Detambel

Il personaggio

Mi piace l’evoluzione del mio personaggio, che all’inizio del film incarna il rigore amministrativo finendo per esprimere una vera simpatia.

È anche abbastanza tenero nella scena finale, che abbiamo girato con delle immagini quasi rubate davanti all’ambasciata di Francia. In pratica non ci sono state prove e per rendere il tutto più piccante, Bertrand mi ha chiesto all’ultimo minuto di lanciare al taxi una serie di ordini, ovviamente in khmer.

La Cambogia

Ho interpretato diversi film con Bertrand, ma non mi aspettavo uno choc simile, un’avventura straordinaria dalla quale ancora non mi sono ripreso. Eppure Neary Kol, l’attrice cambogiana, mi aveva avvisato durante il viaggio da Parigi a Phnom Penh parlandomi del suo paese, riassumendolo in una formula:

“Sorriso facile, cuore spezzato.”

Filmografia (selezione) :

Une vie à t’attendre di Thierry Klifa
Paris s’éveille – Contro il destino d’Olivier Assayas
Capitaine Conan
La vie et rien d’autre – La vita e nient’altro di Bertrand Tavernier

Patrick Courteix

Luc

Il personaggio

Ho una piccola parte in Holy Lola. Partecipo a delle scene di gruppo e ho una sequenza con Séverine Caneele, che ha dovuto scegliere “il nostro bambino” senza di me. Séverine ha un personaggio molto carino. Si sente che questa coppia si trova lì per amore, non finge.

La Cambogia

Le due settimane che ho passato in Cambogia mi hanno segnato la vita, immagino che quelli che ci sono rimasti due mesi hanno avuto delle difficoltà a riprendersi. Non appena incontri i cambogiani, sai che imparerai molte cose. Bertrand investe moltissimo nei luoghi in cui gira. Crea le condizioni di un vero scambio, sia all’interno della troupe che con il paese. Mi ero accorto di questo nei quartieri poveri della Valenza, durante le riprese di Ça commence aujourd’hui – Ricomincia da oggi, e l’ho ritrovato in Cambogia. Questo film è stato l’occasione per numerosi incontri, in modo particolare quello cui ho assistito tra Neary ed il suo vecchio maestro di musica; in questo concerto, abbiamo veramente comunicato attraverso la musica.

Filmografia (selezione):

Laissez-passer di Bertrand Tavernier
Belphegor – Belfagor, il fantasma del Louvre di Jean-Paul Salomé
Ça commence aujourd’hui – Ricomincia da oggi di Bertrand Tavernier

Séverine Caneele

Patricia

L’incontro con Bertrand

Bertrand Tavernier mi ha scoperto prima ne L’humanité – L’umanità di Bruno Dumont, poi in Une part du ciel di Bénédicte Liénard. Era rimasto molto colpito e commosso da questi due film. Anche il mio lavoro gli era piaciuto, visto che mi ha telefonato per chiedermi di andare a Parigi… Voleva parlarmi di Holy Lola e chiedermi se m’interessava partecipare a questa storia.

Lo rivedo scusarsi di non offrirmi un ruolo importante come quelli che avevo nei due altri film. Aggiungeva che aveva voglia di darmi un personaggio meno tragico, meno solitario. Voleva vedermi far parte di un gruppo, discutere, ridere, condividere le emozioni; si ricordava di me al festival Yokohama. Ho subito accettato il ruolo non appena ho letto questa magnifica sceneggiatura e sono partita per la Cambogia. Ero piuttosto spaventata ma, non appena arrivata, mi sono sentita al sicuro. Ho scoperto un altro modo di girare, con una gran rapidità d’istallazione e di decisione, persino alle prove. Ero impressionata.

Il personaggio

Ho avuto molte difficoltà con la scena in cui mi vengono presentati due bebè tra i quali devo scegliere, una cosa terribile. Scoprendo l’orfanotrofio e alcuni bambini molto malati, ho avuto una crisi di pianto, tutta sola nel mio angoletto. Ero sconvolta, ma Bertrand e Isabelle mi hanno aiutata molto. Non ho avuto bisogno di interpretare l’emozione o la difficoltà di scegliere. Vedendo questa scena, Bertrand, Tiffany e Dominique hanno cambiato la sceneggiatura e hanno aggiunto una scena in cui discuto davanti al Rega con Isabelle e Laurence.

La Cambogia

È un paese incredibile. Alla ricchezza storica e umana si affianca la distruzione, conseguenza dei crimini commessi dai Khmer rossi. La scena che abbiamo girato al Museo del Genocidio e stato un momento molto difficile. Nonostante questo passato così vicino, si sente che la gente ha voglia di rendersi utile. Sono di una gentilezza incredibile.

Filmografia (selezione):

L’humanité – L’umanità di Bruno Dumont
Une part du ciel di Bénédicte Liénard

Lara Guirao

Anne

Il personaggio

Annie adotta da sola.

Ha bisogno di emanciparsi dal gruppo e abbandonerà l’hotel Rega dove risiedono gli altri adottatori. Dimostra coraggio adottando un bambino malato, affetto da epatite B.

Non si sa come faccia un personaggio a trovare la strada dentro di noi. Non avevo mai viaggiato così lontano, né provato un desiderio particolare di conoscere l’Asia. Eppure, sin dal primo risveglio in Cambogia, aprendo le tende, o sentito la necessità di uscire a Phnom Penh, prima dell’appuntamento del mattino con gli altri attori. Avevo bisogno di impregnarmi, da sola, di questo paese. Questa necessità non mi ha più lasciato per tutto il corso delle riprese. Io che non sono avventurosa, ho visitato la Cambogia da sola, alcune volte esponendomi a dei rischi.

La Cambogia

Credo che Bertrand volesse che questo paese ci attraversasse e che anche noi lo attraversassimo.

Mi piace immergermi in universi sconosciuti, è quello che è accaduto in L.627 – Legge 627… All’interno della troupe c’erano dei legami molto forti. Mi sono talmente immersa in questo paese che temevo il momento in cui mi sarei confrontata con il film; dopo averlo visto, ho costatato che tutto quello che abbiamo vissuto laggiù si ritrova nel film. Sin dal primo giorno, Bertrand ci ha fatto visitare un orfanotrofio. Ne sono stata sconvolta. Ho cominciato a giocare con alcuni bambini, uno di loro era molto timido, poi ha finito per venire da me e giocare con noi. Non dimenticherò mai lo sguardo di questo bambino.

Quando ho cominciato a girare, ho pensato a lui e il suo sguardo mi è bastato per interpretare il rapporto di Annie con il suo piccolo.

In Cambogia ho trovato una gran solidarietà tra donne. Gli uomini sono dei macho e le donne si occupano di tutto.

I bambini erano difficili durante le riprese, perché sono abituati a stare sempre con la madre. I padri non si occupano dei bebè.

Laggiù ho dovuto mantenere le distanze tra me e il bambino che interpretava mio figlio. Mi affeziono molto presto ai bambini, per esempio, quando un piccolo mi si addormenta in braccio, mi commuovo. Ovviamente, il piccolo si è addormentato tra le mie braccia… Henri Texier, il compositore della musica del film mi ha ricordato dopo la proiezione questa frase di Jouvet: “Per fare teatro, bisogna avere il cuore caldo e la mente fredda.”

Filmografia (selezione):

Qui perd gagne di L. Benegui
Laissez-passer
L.627 – Legge 627 di Bertrand Tavernier
Couples et amants di John Lvoff

Neary Kol

Kim Saly

Il personaggio

Interpreto la parte della segretaria del signor Cheng, che dirige l’ufficio adozioni. Il personaggio di Kim Saly non è cattivo ma severo, il suo comportamento è legato al mondo nel quale vive. Nella sceneggiatura, Kim Saly faceva la doccia nuda, ma ho precisato a Bertrand che i cambogiani si fanno la doccia con il sarong o il kramas. I cambogiani della mia generazione sono molto pudici.

La mia storia

Vivo in Francia dal 1975; sono un’attrice professionista ma ho fatto numerosi lavoretti per guadagnarmi da vivere. Lavoro anche nel municipio della mia cittadina, seguo i bambini asiatici, li aiuto ad integrarsi, ad iscriversi alle scuole primarie.

Parlo cinese, cambogiano, un po’ di vietnamita. Ero cantante, danzatrice e acrobata dell’opera cambogiana, che deriva da quella cinese. Ho interpretato uno dei film sul re Sihanouk, nel 1969 e nel 1970. Parlo cinese perché nel 1973 sono andata in Cina, mandata dall’università delle belle arti cambogiana per studiare l’opera cinese. Non sono più rientrata in Cambogia e ho ottenuto asilo politico in Francia. La mia famiglia è scomparsa durante la dittatura dei Khmer rossi. I miei genitori, i miei fratelli, le mie sorelle e mio figlio di un primo matrimonio: sono tutti scomparsi.

Quando sono partita per la Cina, il mio bebè aveva pochi mesi, l’ho lasciato a mia madre e non l’ho mai più rivisto. Sento che mio figlio è ancora vivo, cerco di ritrovarlo. Ho creato un’associazione culturale dal 1975 al 1983, con altri rifugiati politici, per non dimenticare la cultura cambogiana, stare insieme, recitare, danzare. Ho incontrato Bertrand grazie al regista Rithy Panh.

Era molto tempo che volevo interpretare un film, dal 1973! Non ho avuto nessuna difficoltà a calarmi in questa parte. Ho ritrovato nella vita di tutti i giorni, intorno a me, delle persone che conducevano “una doppia vita”, esattamente come il mio personaggio, che deve obbligatoriamente fare due lavori per riuscire a cavarsela.

Il film è uno specchio molto preciso dei problemi che devastano la Cambogia odierna e vederlo è stata un’esperienza dolorosa.

Ma è bene, è salutare guardare questi problemi in faccia, anche se si è consapevoli che tutti questi orfani dovranno affrontare un mondo senza speranza.

È il suo primo cinematografico in un film francese. È attrice, danzatrice e insegnante di ballo.

Martin Jaubert

direttore di produzione

GUEST HOUSE REGA

Il mio primo contatto con la Cambogia. Una stradina di terra rossa, un albergo a conduzione familiare in cui nuovi e vecchi adottatori s’incrociano e si raccontano: la coppia ha un proprio ruolo nel film. La buona cucina di “Touille-Touille” (diminutivi di ratatouille !) un miscuglio sapiente di cucina tradizionale vietnamita, cambogiana, francese, le storie di “Duc” suo marito, esiliato e poi tornato nel paese…

Come per tutto il resto, si adattano anche quando sbarca un’intera troupe che resterà lì a girare per intere settimane: tutto è perfettamente naturale.

LA DISCARICA

Un vero choc. Arrivare su queste colline piene sino all’inverosimile di immondizia che brucia sotto il sole, niente ombra, un tappeto di mosche a 50 cm da terra. E dei bambini a piedi nudi che corrono dietro ai camion per smistarne il misero contenuto.

Per i nuovi attori e tecnici che arrivavano, Bertrand aveva incluso la discarica nel percorso iniziatico: “Portali nei due orfanotrofi, poi alla discarica e per finire al museo del genocidio” mi diceva. “Così si ambienteranno subito…”

IL MERCATO CENTRALE

Una grande costruzione, la cui parte centrale è stata concepita da un architetto francese. Circa 3000 banchi. La samaritana cambogiana. Un giorno di “riprese-shiopping” memorabile…

IL MERCATO RUSSO

Vi si trova di tutto: pezzi sfusi di moto, cartoleria, elettronica…

Ad ognuna delle mie visite lo stesso ragazzino di otto anni mi seguiva dappertutto per sventagliarmi con il suo pezzo di cartone.

Ho finito per ingaggiarlo per il giorno delle riprese. È stato l’unico a capirci qualcosa – un vero segretario di produzione in erba.

WAT PHNOM – FESTA DELLE ACQUE

La popolazione di Phnom-Penh passa da 1 milione e mezzo a tre milioni durante la Festa delle Acque, il momento in cui il Tonlé Sap inverte il suo corso. Le rive del fiume diventano inaccessibili anche a piedi. Il solo modo di portarvi il materiale era venire a parcheggiare i camion durante la notte, quindi iniziare la giornata di riprese alle tre del mattino avendo così la possibilità di vedere sorgere il sole sul fiume.

HOLY BABY 1

È l’orfanotrofio da cui viene Lola, che all’inizio, come la maggior parte degli orfani, porta il nome dell’orfanotrofio seguito da quello di battesimo. Di tutti gli orfanotrofi visitati in occasione dei sopralluoghi, Holy Baby 1 e 2 offrivano le migliori condizioni di vita per i bambini.

Bisogna seguire il fiume per diverse decine di chilometri per raggiungere questa casa di quattro piani.

All’ultimo piano, circondati da una ventina di bebè orfani uno più bello dell’altro, si sovrasta la campagna cambogiana e nel giardino i più grandi si riuniscono per cantarci “c’era un piccolo naviglio”.

IL CENTRO DI NUTRIZIONE

È un orfanotrofio situato al centro di Phnom-Penh e che accoglie principalmente i bebè che non sono adottabili (aids, trisomia…). Conservo il ricordo commovente di aver dato il biberon ad una piccolina di due mesi che stava morendo di aids. Un posto che ci ha segnato tutti.

ORFANOTROFIO DI KANDAL (a 1h30 da Phonm-Penh)

L’idea di Bertrand era di girare durante il riposino dei bambini. Una troupe intera in punta di piedi che bisbigliava. Gli attori e la cinepresa si muovevano in mezzo alle amache dondolate dalle tate. Un momento magico.

ORFANOTROFIO DI SFODA

Un piccolo orfanotrofio di periferia in uno stato deplorevole.

Niente acqua, niente bagni, una semicopertura gocciolante su terra battuta dove dormono i bambini.

Nonostante tutto, dei bambini sorridenti, belli e comunicativi. In uno dei sopralluoghi abbiamo assistito all’incontro di una madre adottatrice, che si trovava al Rega, con una bambina di tre mesi ed abbiamo potuto seguire tutte le varie tappe durante i due mesi delle riprese.

LA LOCANDA IN CAPO AL MONOD (a Kep)

Costruita da un francese sposato con una cambogiana, questa costruzione in legno è immersa nella vegetazione della “collina dei cobra” di fronte al mare. Vi si può dormire senza zanzariera!

40 autisti, sei ore di pista improbabile (160 km) per giungere a Kep nel sud della Cambogia. Un piccolo villaggio sul mare al confine col Vietnam.

Poco cibo per tutta una troupe, niente elettricità notturna per ricaricare le batterie, 80 letti per 140 persone (allestimento di dormitori di fortuna), i poliziotti opportunisti più inquietanti che rassicuranti, e poi tutta una serie di storie fantastiche, di superstizioni.

Giuseppe Ponturo

scenografo

Casella di testo: La mia troupe in Cambogia rappresenta il sogno di ogni direttore di produzione: uno spirito dominato dalla gentilezza e la generosità

Prima di scoprire la Cambogia, immaginavo, sceneggiatura alla mano, orfanotrofi e ospedali sui quali concentravo le ricerche, gli studi, i bozzetti…

L’atroce realtà, scoperta nel corso dei sopralluoghi, offriva essa sola, più “scenografie naturali” di quanto fosse possibile immaginare. “Adattare” per motivi di ripresa era tanto inconcepibile quanto indecente.

Lo sguardo sconvolgente dei bambini negli orfanotrofi te lo ricordava continuamente.

Una scena del film si svolge in un policlinico ridotto ad una stanza stretta e ad una sala consulti mille volte più cupa di quella delle urgenze della Pitié-Salpêtrière. Abbiamo dovuto costruire una ufficio ed una sala consulti fittizi per le necessità del film. I “fogli” che fanno da muro sono più solidi di quelli veri. Il dottore ha deciso stabilirsi definitivamente nella scenografia del film.

Per quanto questo possa sembrare inverosimile, la scenografia che ha richiesto più ore di lavoro è stata una ricostruzione di una parte dell’ambasciata di Francia, che è molto solida, ma in cui non avevamo il permesso di girare.

È a K6, (un posto a 6 km da Phnom Penh) che, in un hangar gigantesco, abbiamo ricostruito la hall, degli uffici, un patio. Sorprendente, no?

Sophie Brunet

montatrice

Una delle cose che preferisco in Holy Lola sono le sequenze cosiddette “di montaggio”. È un termine vecchio: “sequenza-montaggio” o “montaggio- sequenza”, che corrisponde ad una forma che era molto frequente, diventata poi più desueta e che Bertrand Tavernier ha rinnovato completamente.

Ovviamente tutte le sequenze sono montate, ma queste possiedono la particolarità di fondarsi essenzialmente sul montaggio: non descrivono una sola azione ma più d’una e si svolgono spesso in diversi luoghi e in tempi differenti. Il loro primo obiettivo è il passare del tempo e, molto usate fino agli anni ’50 erano spesso imperniate su delle immagini simboliche un po’ naif come i fogli del calendario che se ne vanno, i differenti stati del fogliame di un albero, o, più semplicemente, uno scorrere di date sullo schermo.

Bertrand aveva già realizzato sequenze simili in Ça Commence Aujourd’hui – Ricomincia da oggi. Erano composte dagli eventi quotidiani di una scuola e del suo preside e rispecchiavano perfettamente l’aspetto narrativo del film.

In Holy Lola, queste sequenze sono particolarmente ricche e fanno proseguire la storia nel vero senso della parola. D’altro canto, non abbiamo trovato la loro costruzione se non dopo essere riusciti a fissarne i contenuti e l’ubicazione. La maggior parte degli elementi che le compone erano previsti nella sceneggiatura, la proprietà di queste sequenze è la libertà infinita che forniscono alle riprese e al montaggio: è sempre possibile aggiungere o sopprimere un elemento come anche spostare l’intera sequenza.

In Holy Lola, oltre a far passare il tempo, la loro funzione principale è quella di mescolare finzione e documentario. Di approfittare della narrazione per andare anche incontro alla realtà del paese, esattamente come i personaggi del film finiscono per staccarsi dai loro problemi individuali per guardarsi intorno.

Ogni immagine documentario poteva quindi essere compresa in queste sequenze.

Abbiamo anche utilizzato delle immagini girate durante i sopralluoghi e per le prove di pellicola*. Eravamo guidati dall’emozione che potevano procurare, l’impressione di realtà che si liberava da esse ed un certo senso di rarità: volevamo a tutti i costi evitare l’effetto di accumulazione. Miscelando in questo modo le azioni dei personaggi e la vita del paese che scoprono, mescolando le lacrime Géraldine e l’incredibile agitazione delle strade di Phnom

Penh, Bertrand inscrive il destino dei suoi personaggi in un contesto preciso, geografico, storico e anche politico.

I personaggi non meritano un’attenzione esclusiva, non sono più interessanti né più commoventi di quei milioni di passanti sui marciapiedi di Phnom Penh. Ci siamo focalizzati sulla loro storia, ma non dimentichiamo che sfiora quella di milioni di altri, in mezzo ai quali s’inscrive.

Una delle ragioni per amare queste sequenze è la musica che le guida più che accompagnarle. Sin dall’inizio del montaggio, abbiamo lavorato con dei pezzi che Henri Texier aveva composto in precedenza. Ci hanno permesso di trovare il tono, il ritmo e in cambio hanno fornito a Henri delle piste per la musica che ha composto in seguito per il film. Ci ha mandato rapidamente delle bozze ed è proprio con esse e grazie ad esse che abbiamo montato queste sequenze.

La musica da un colore, un sentimento, di una tal evidenza che i legami si formano da soli, gli accostamenti diventano chiari e fecondi. In particolare per quanto concerne la giustapposizione delle immagini d’Alvernia e della Cambogia.

Mi piacciono molto queste immagini d’Alvernia, tanto più che non ne ero particolarmente entusiasta alla lettura della sceneggiatura.

Pensavo che fossero inutili, un po’ sentimentali.

Sono stato sorpresa nel constatare sino a che punto nutrono il film, per la densità che apportano ai personaggi e soprattutto per il realismo che danno al loro desiderio di tornare a casa. Le trovo infinitamente piene di grazia e di semplicità per il modo in cui sono state filmate e la presenza discreta e luminosa dell’attrice, Mariecke de Bussac. Aggiungono, sempre senza parole, una prospettiva all’atto dell’adozione: l’inscrizione di un bambino non solo in una coppia ma in una famiglia, in un corpo sociale.

* Bertrand fa sempre in modo di girare queste scene “in più” che i suoi vecchi collaboratori (ce ne sono stati molti) chiamano “passaggi Bouvier” perché ne aveva girate moltissime per Le Juge et l’Assassin – Il Giudice e l’Assassino. Esigevano una grande disponibilità e creatività da parte dell’operatore.

Alain Choquart

direttore della fotografia

A qualche mese dalle riprese siamo partiti per fare i sopralluoghi senza aver parlato prima con Bertrand di uno stile o di principi visuali troppo definiti. Non avevamo visto alcun film da cui trarre ispirazione o che potesse fare da base per una discussione preliminare. Ci saremmo lasciati condurre dalla lenta scoperta di Phnom Penh giorno dopo giorno, come l’avrebbero vissuta i personaggi.

Ed è proprio questa assenza di principio che ne è diventato uno…

Abbiamo così girato in un ordine cronologico impegnativo a livello tecnico, ma che in cambio permetteva agli attori di vivere uno scorrere del tempo simile a quello che sperimentano gli “adottattori” o chiunque si trovi in un paese sconosciuto per un lungo soggiorno non turistico. Raramente l’avventura delle riprese di un film s’identifica in maniera così strettamente eclatante con il film stesso. Incontri con gli adottatori, visita ad innumerevoli orfanotrofi, lo choc del campo S 21, il lavoro dell’importante associazione PSE nell’immensa discarica in cui vivono centinaia di famiglie, le traversate di Phnom Penh in “motodop”, la folla alla festa delle acque…

Gli attori, sempre in costume, permettevano alla cinepresa di intervenire in qualsiasi momento. Poi riprendevamo il cammino delle “nostre” scenografie, naturali o in teatro, carichi di ciò che avevamo visto.

È in questo spirito che l’illuminazione delle scene poteva allora evolversi, trovare un significato più preciso.

Henri Texier

compositore

Bertrand Tavernier conosceva quella frase di Francis Marmande per definire il contrabbasso: “la voce di mio padre e il corpo di mia madre…”? Totalmente in situ, per la maggior parte dei contrabbassisti di jazz, gravi e gracili allo stesso tempo. Totalmente calzante per la storia di un adozione.

Ed ecco Henri Texier, tutto contro e bassista. L’autorità di un “grande maestro”, come se ne contano sulle dita nel mondo del jazz in Francia; lo spessore sensibile di un uomo del suo tempo, testimone e attore, congiuntamente creatore e cosciente della sua eredità.

Con Holy Lola, Henri Texier non è ai suoi inizi per quanto riguarda le musiche “di”, “su” o “con” il cinema. Dall’immaginazione che gli ha fatto comporre la sublime ballata Simone Signoret per l’album An Indian’s Week nel 1993, alla nuova vita data ai baluardi d’argilla di Jean-Louis Bertucelli, attraverso la musica suonata dal vivo durante la proiezione, Henri Texier non ha mai smesso di pensare la sua musica come lo svolgersi di immagini in movimento.

Con un senso della messa in scena che fa si che spesso i suoi album siano costruiti come dei film. con dei personaggi (la melodia, il suono) e i loro rapporti (interattività dei musicisti, essenziale nel jazz), una drammaturgia (la tensione delle improvvisazioni e degli assolo), una messa in scena (gli arrangiamenti), delle scenografie (degli effluvi di altri continenti o di radici celtiche), delle luci (dei tempi smorzati o dei mormorii da alba nascente) …

Per Holy Lola, Henri Texier ha dovuto semplicemente spingere l’esperienza un po’ più lontano. Prima di tutto perché la collaborazione con Bertrand Tavernier è stata molto complice: molti scambi all’inizio delle riprese, una vera riflessione sui colori strumentali. La scelta di giustapporre lo Strada Sextet di Henri (egli stesso la contrabbasso, Guéorgui Kornazov al trombone, François Corneloup e Sébastien Texier al sassofono e al clarinetto, Manu Codjia alla chitarra e Christophe Marguet alla batteria) e il primo cerchio della famiglia musicale Louis Sclavis (Louis al clarinetto, Dominique Pifarély al violino, Vincent Courtois al violoncello, Bruno Chevillon al contrabbasso e François Merville al Marimba) ai quali si aggiunge il percussionista Francis Pichon. Henri Texier e Louis Sclavis sono compagni di viaggio da moltissimo tempo. Louis aveva composto la musica Ça commence aujourd’hui – Ricomincia da oggi, il penultimo film di

Bertrand Tavernier. Gli amici dei miei amici…Ovviamente.

Ciò che è stato meno naturale per Henri Texier, è stata la necessità di sfuggire alla tentazione dell’esotismo della Cambogia, esattamente come vi si è rifiutato il regista. Il jazz non sarebbe stato congruo. I codici della musica da suspense neppure… due chiavi sono state trovate Henri. La prima nelle musiche popolari cambogiane (non nella musica colta di corte), sufficientemente documentate dai musicologi: possiedono un’onnipresenza ritmica, data dai tamburi, che scandisce una speranza. Ed anche se non si sentono esplicitamente, se non nel contesto generale, questi tamburi sono lì in filigrana ed il loro pulsare sotterraneo sorregge costantemente il discorso musicale. Questo slancio ritmico fa da motore dinamico al film. La seconda chiave proviene dalle radici indiane (e dunque modali) di questa musica popolare cambogiana: la musica dell’India venuta ad arenarsi qui nell’Est, com’è arrivata sin in Andalusia ad Ovest.

Come la maggior parte dei jazzmen contemporanei, dopo Miles Davis e John Coltrane, Henri Texier si sente come un pesce nell’acqua con la musica modale.

Non restava altro che mettere in luce una tensione musicale tra la pulsazione contrabbasso-batteria e le volute del clarinetto, o degli altri strumentisti.

Una tensione che realizza un’eco intima a quella della ricerca.

Progredendo sul filo di uno scoraggiamento incombente e di una fragile speranza.

Non una musica da film: la musica del film