Scheda film

Regia: Robert Redford
Soggetto: dal romanzo di Neil Gordon
Sceneggiatura: Lem Dobbs
Fotografia: Adriano Goldman
Montaggio: Mark Day
Scenografie: Laurence Bennett
Costumi: Karen L. Matthews
Musiche: Cliff Martinez
Suono: Stephen Urata
USA, 2012 – Thriller – Durata: 125′
Cast: Robert Redford, Shia LaBeouf, Julie Christie, Sam Elliott, Jackie Evancho, Brendan Gleeson, Terrence Howard
Uscita: 20 dicembre 2012
Distribuzione: 01 Distribution

 Colpevole fino a prova contraria

Mentre nelle sale cinematografiche proseguono imperterrite ad affacciarsi attempate e nuove saghe di spionaggio più o meno internazionale che ruotano intorno al personaggio di turno coinvolto in questo o in quel complotto, c’è chi come Robert Redford, da dietro la macchina da presa con The Company You Keep, ha scelto volutamente di percorrere la strada dello spy-thriller vecchia maniera per calamitare a sé l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori. Per farlo ha avuto però bisogno di affidarsi alle solide e accattivanti pagine dell’omonimo romanzo di Neil Gordon, dalle quali la pellicola trae ispirazione e non una fedele trasposizione. Il risultato vale quantomeno il prezzo del biglietto, quello che lo spettatore potrà acquistare a partire dal 20 dicembre 2012, quando l’ultima fatica da regista di Redford, dopo le vetrine festivaliere in quel di Venezia, Toronto e Courmayeur, proverà a farsi largo nel ricco cartellone natalizio nostrano nel listino 01 Distribution con il titolo La regola del silenzio.
La scelta di guardare al passato, in particolare a un genere che decenni fa partoriva pietre miliari, poteva tramutarsi in un arma a doppio taglio, perché l’asticella del livello di credibilità per quanto riguarda l’impianto drammaturgico e la messa in scena, è sottoposta a continue pressioni dal primo all’ultimo fotogramma utile, pressioni di tipo strutturale, narrativo, dialogico, stilistico e attoriale, capaci di mettere a rischio l’esito finale dell’operazione. Probabilmente le esperienze maturate davanti alla cinepresa proprio in quel filone (da Il candidato di Michael Ritchie a I tre giorni del Condor di Sydney Pollack, passando per Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula) gli sono servite a costruire successivamente il lavoro dietro la cinepresa Il merito principale del nuovo film diretto dal celebre attore statunitense classe 1937 sta proprio nell’aver dribblato abilmente la maggior parte degli ostacoli che il thriller old style presenta nel proprio DNA. Nonostante un evidente calo di tensione nella parte centrale, che abbassa per una ventina di minuti la soglia d’attenzione e la suspense per iniziare a svelare le carte del plot, ma senza mai sfiorare i livelli di guardia, La regola del silenzio conserva comunque un pregevole equilibrio delle suddette componenti. Ne viene fuori un “puzzle” filmico che rivela alla platea i tasselli di una storia che prende nel suo fluire, costruita pezzo per pezzo attraverso una sceneggiatura che dosa e sfrutta come può gli elementi a disposizione, a cominciare dalla caratterizzazione e dallo sviluppo dei singoli personaggi, ognuno dei quali ben incastonati, delineati e inseriti nell’architettura drammaturgica. Attraverso di loro e con loro il film prende quota, rivela la doppia anima che lo regge e lo alimenta: da una parte la ricerca di una verità e dall’altra il velo spesso sotto la quale viene celata. Quest’ultimo si chiama segreto e il suo progressivo svelarsi e sgretolarsi sullo schermo permette automaticamente allo spettatore di comprendere la reale natura dei fatti e in primis delle persone che li animano dall’interno. Tutti loro, non solo il protagonista interpretato in maniera molto convincente dallo stesso Redford, hanno infatti qualcosa da nascondere. È una battuta a metà della pellicola a svelare definitivamente il ruolo chiave che il concetto di segretezza ricopre nello script dell’opera numero nove del Redford cineasta: «I segreti sono una cosa pericolosa. Pensiamo tutti di volerli conoscere. Se ne hai avuto uno, allora saprai che significa non solo conoscere qualcosa su un’altra persona, ma anche scoprire qualcosa su noi stessi.»
L’attore e regista americano si cala nei panni di Jim Grant, un tranquillo padre single nonché un avvocato di successo, almeno fin quando la sua vera identità viene svelata da un giovane reporter di nome Ben Shepard a caccia di una storia. Ex pacifista radicale, l’uomo fugge infatti da un’accusa di omicidio che pende sulla sua testa dagli anni settanta: sarà quindi costretto a dimostrare la propria innocenza mentre tenta di fuggire ad una dilagante caccia all’uomo. Il tutto si muove su una strada a tre corsie che finisce inevitabilmente per intersecarsi nell’atto finale, dando vita a un thriller incentrato su un membro dell’associazione di attivisti, la Weather Underground, che cerca di sfuggire dalle grinfie dell’F.B.I. ed è tampinato da un giovane giornalista che ha scoperto la sua identità. Redford è bravo a divincolarsi nella fitta tela, un po’ meno nel gestire e sviscerare fino in fondo la mole di tematiche sollevate: riflessione sul valore degli ideali e sul mondo del giornalismo, interrogazione morale sulla necessità della lotta armata in determinati frangenti, disamina su come gli eventuali errori dei simbolici padri siano destinati a ricadere sulle nuove generazioni. Tematiche onnipresenti nella filmografia redfordiana (vedi Leoni per agnelli), purtroppo solo in rari frangenti saldamente ancorate all’urgenza del messaggio, ad una riflessione sincera sulle cose epurata da esigenze di intrattenimento come accaduto in Gente comune, In mezzo scorre il fiume o Quiz Show.

Voto: * * *

Francesco Del Grosso

 #IMG#Albany, stato di New York …

Albany, stato di New York. Sharon Solarz, una normalissima casalinga, viene arrestata con l’accusa di essere stata un’attivista del movimento pacifista denominato ‘Weather Underground’, che nei ’70 non esitò a uccidere per difendere i propri ideali. Incuriosito dal caso degli ‘attivisti dormienti’ il giornalista Ben Shepard si mette sulle loro tracce arrivando a Jim Grant, uno stimato avvocato, padre single che apparentemente conduce una vita tranquilla. Shepard scoprirà che sotto questa coltre di apparente normalità si cela invece una realtà ben differente.
Robert Redford ci delizia nuovamente con un film d’impegno sociale mascherato da thriller, munendosi di un cast di gran qualità: dal giovane ma esperto Ben ‘LeBeouf’ Shepard, al quale cede giustamente il passo offrendogli un ruolo che sino a qualche decennio fa sarebbe stato perfetto per lui. Passando per Stanley Tucci, nel ruolo di un capo redazione molto zelante e con un’etica del giornalismo non per forza rivolta allo ‘scoop ad ogni costo’, sino ad arrivare a Susan Sarandon, nei panni di una casalinga che a quasi quarant’anni di distanza viene prima arrestata e smascherata della sua vecchia esistenza, salvo poi offrire al pubblico un’arringa difensiva di grande spessore. Un film che cattura l’attenzione degli spettatori, che li fa riflettere sia sul senso di difesa dei propri ideali, di quanto si debba rischiare per difenderli e su come la notizia e i media possano spostare l’ago della bilancia dell’opinione pubblica riuscendo a manipolare una notizia di cronaca. Tutto questo Redford riesce a farlo lasciando in secondo piano una ‘trama gialla’ che a fine film resta forse ancora troppo intricata in termini di risoluzione ma che cede il passo a molte domande di grande attualità.

Voto: * * * ½

Ciro Andreotti