di Roberto Benigni
con Roberto Benigni, NicolettaBraschi, Jean reno, Tom Waits

Recensione n.1

Torna Benigni, alfiere del cinema italiano nel mondo, con un film che lascia la “sperimentazione” di Pinocchio, per approdare in lidi a lui più consueti.
Un poeta innamorato alla ricerca dell’amata nell’inferno di Bagdad, luogo del sogno più che luogo fisico.
Un sogno lungo un film, che a tratti incanta e diverte in modo travolgente.
Benigni torna ad alti livelli.
Qualche pecca nella sceneggiatura (alcuni cali di ritmo) e nella recitazione della Braschi, anche se tutto sommato riesce ad essere credibile.
Indubbiamente da vedere, soprattutto per chi ama sognare a occhi aperti.

VC

Recensione n.2

Roberto Benigni è senza dubbio il più grande comico vivente. Il successo de “La vita bella” probabilmente non gli ha fatto bene. I suoi problemi sono iniziati proprio con quel film, quando ha maturato la personale
convinzione di essere diventato un autore più che un comico imprevedibile e lucidamente folle. Anche le ultime apparizioni televisive con le letture della Divina Commedia in luogo delle temute bordate irriverenti, non lasciavano presagire nulla di buono.
“La Tigre e la Neve” racconta la storia di Attilio, poeta ed insegnante, ed il suo amore onirico e non corrisposto per Vittoria che sogna di sposare ogni notte. Vittoria sfugge all’innamorato che decide di seguirla sino in Iraq.
Un film mediocre, lento, lungo e presuntuoso. Benigni non fa più ridere e non suscita alcuna riflessione. Ha la pretesa di aver girato un film che dovrebbe renderci una lezione sul lirismo della poesia. La poesia indispensabile per vivere la vita, la vita da intendere come la poesia più bella. Alla base delle ambiziose e dotte intenzioni dell’autore, l’eterno ed universale amore. L’amore che non muore, nello specifico, l’amore per Nicoletta Braschi. Sarebbe ora che qualcuno dicesse a Benigni che solo lui inseguirebbe per il mondo la Braschi e che, soltanto lui potrebbe sognarla ogni notte. Ci sono altre attrici sicuramente più dotate, il problema e che non produrrebbero il film con l’ex benignaccio. Ma in fondo ognuno è libero di ispirarsi alla musa che vuole. Il problema del film non è soltanto questo. E’ la sceneggiatura difettosa del solito Cerami, la musica del solito Piovani, le gag sempre meno riuscite e personali. A furia di citare e ricitare i colleghi, di citare e ricitare se stessi, si finisce per copiare ed annoiare. Benigni su di un palco e a ruota libera, può smuovere le masse. Se vuole fare il cinema ha bisogno di una spalla. Non è un caso che le cose migliori le abbia fatte con Walter Matthau, con Troisi e con Paolo Bonacelli di Jonnhi Stecchino.
Con “La Tigre e la Neve” si cerca furbescamente di ripetere il successo de “La Vita è Bella”. La formula non funziona più. L’amico Tom Waits, le citazioni oniriche quasi felliniane e Jan Reno, per altro fuori forma, non sollevano le sorti del film.
Ispirandosi al grande Chaplin, modello irraggiungibile, Benigni non ha il coraggio delle scelte operate dal suo idolo in “Tempi Moderni” o ne “Il Grande Dittatore”. Se si sceglie di ambientare parte del film nell’ Iraq della guerra si deve andare fino in fondo. E’ troppo semplice dire che la storia si sarebbe potuta svolgere in qualunque altra parte del mondo per evitare le critiche e gli attacchi. Del resto, gli incassi non mancheranno. E’ una scelta meditata ed opportunistica. Si dia almeno una visione meno buonista e macchiettistica della cosa o addirittura dei marines. La guerra, il pacifismo non sono temi fondamentali del film ma non possono essere citati con superficialità e qualunquismo. Pinocchio è stato un film sicuramente più sincero. Benigni è da sempre un artista politicamente schierato, lo dimostri in maniera trasparente anche con le sue opere. Non potrebbe che guadagnarci, forse anche in termini di ispirazione.
Qualche gag è riuscita ed ai più il film risulterà godibile, con la pace dei botteghini. Per gli altri c’è il Piccolo Diavolo da riguardare con nostalgia. Ridateci anche Cioni Mario, ne abbiamo bisogno con i tempi che corrono.

Francesco Sapone

Recensione n.3

Attilio insegna poesia all’università e scrive versi a sua volta. Attilio è anche innamorato di Vittoria, studiosa di poesia e in procinto di scrivere la biografia di Fuad, un poeta iracheno che vive in Italia, ma che è prossimo ad un ritorno in patria. L’Iraq però, dopo l’invasione e la caduta di Saddam Hussein, è un territorio in costante guerra e quando Vittoria segue Fuad nella sua patria la situazione precita. A seguito di un’esplosione Vittoria finisce in coma. Attilio, raggiunto dalla notizia, non esita un momento e con una stratagemma riesce ad arrivare a Bagdad dove si prodiga per salvare la vita alla sua amata.
Con questo nuovo film Roberto Benigni torna sui passi già percorsi con La vita è bella, abbraccia la stessa semplice filosofia (la vita è così bella che vale la pena viverla nonostante tutto quello che di negativo può accadere) e cerca anche di ripercorrere gli stessi binari emotivi di quel film. Questa volta però, certamente consapevole del fatto che riuscire a bissare La vita è bella è quasi impossibile, Benigni smorza un po’ i toni emotivi, senza che comunque ciò vada a scapito del film. Anzi, è forse proprio questo a giovargli maggiormente. È l’amore a smuovere le azioni di Attilio, ma la sua avventura non ha mai i toni troppo sdolcinati, melensi e semplicisticamente ricattatori a cui sarebbe potuto andare incontro con molta facilità. Certo non siamo di fronte ad un racconto asettico, ma semmai una storia i cui toni emotivi sono abbastanza equilibrati. Una commozione sincera, anche se trattenuta, pervade moltaparte delle vicende narrate, e l’ironia è sempre fortemente presente a ricordarci che è comunque la comicità a governare il tutto.
La regia di Benigni, come al solito, è molto esile e non certo interessata alla ricerca espressiva, ma alla fine ciò che conta nel suo cinema sono le buone intenzioni e soprattutto la presenza di Benigni stesso. Da segnalare sono la scena d’apertura (un sogno in cui compare Tom Waits e, in brevissimi frammenti tratti da brani televisivi di repertorio, alcuni poeti), la lezione di poesia all’università, la serata a casa con Vittoria (favoloso il doppio uso che viene fatto del finale di Il buono il brutto il cattivo di Sergio Leone), l’armeggiare di Attilio con una sedia da barbiere, l’uso di un paio di bombole da subacqueo con annessa maschera, il delicato finale. Sono tutte scene dove la comicità è quasi sempre dominante, spesso accompagnata da una buona dose d’inventiva e di senso del ritmo.
La storia naturalmente non è fatta solo di belle scene. La tigre e la neve è impostato praticamente tutto sulla figura centrale di Attilio dando poca possibilità di sviluppo agli altri personaggi. Vittoria per metà del film non fa che, suo malgrado, dormire (e comunque la sua interprete, Nicoletta Braschi, quando non ha gli occhi chiusi, si sforza di recitare, ma la sua performance non è del tutto convincente), Fuad è a sua volta semplicemente un mezzo utilie ad avvertire Attilio di quanto è avvenuto, ma nulla più. Misteriosa poi l’idea di far uscire di scena il personaggio in maniera tanto misteriosa. Anche per questo la scelta di servirsi di Jean Reno per la parte è una scelta abbastanza sprecata.
Alla fine insomma si esce piuttosto soddisfatti da questo film, fatte salve certe stonature che comunque pochi degli appassionati del cinema di Benigni noteranno. Benigni conta per sè stesso, e sè stesso è pienamente presente in questo piacevole ritorno sul grande schermo.

Sergio Gatti

Recensione n.4

Delude e non poco il nuovo film di Roberto Benigni, che con la Tigre e la neve tocca il punto più basso di tutta la sua cinematografia e sembra purtroppo non essersene accorto.
Benigni non ha più niente da dire ? No,anzi, ma di sicuro ha perso il filo del discorso, andiamo per ordine …
La storia esile nella sua struttura (lui che rincorre l’amore della sua vita attraverso un Paese in guerra e la salva da morte certa) sa di già sentito, ma si sa quando Benigni ci mette lo zampino sa rendere magiche ed emozionanti anche e soprattutto le piccole storie, e qui si riscatta con un finale a sorpresa che lascia lo spettatore romanticamente felice intenerito per il lieto fine.
I personaggi invece, sia principali che secondari sono la vera pecca del film insieme al montaggio:
Jean Reno spaesato nel ruolo ambiguo e secondario di poeta voce di Bagdad non riesce a convincere fino in fondo e la drammaticità della sua situazione interiore non viene colta dallo spettatore e neppure da Attilio entrambi presi dal risveglio di Vittoria. A Reno non è stata data la possibilità di indagare nelle piaghe dell’anima di Fuad e lo spettatore resta spiazzato di fronte alla scena del suicidio perché non ne comprende fino in fondo le ragioni dato che Fuad è tornato a Bagdad consapevole del destino amaro del suo Paese.
Vittoria non si può neppure definire un personaggio visto che la Braschi passa la maggior parte del film in stato di coma e nel momento in cui è sveglia e “interpreta” la parte della donna che rifugge all’amor fu è decisamente più distante e fredda dell’anonima stanza d’ospedale in cui giace. Ma dove è finita la calda sensualità della Braschi di Johnny Stecchino, il brio spensierato e allegro della poliziotta de il Mostro, l’intensità emotiva dei suoi occhi che guardavano attraverso la finestra del lager de La vita è bella?
Attilio è un poeta a partire dal nome e lo resta in parole e fatti per tutto il film tanto che un Benigni così impietosito, addolorato e commosso non si era mai visto. Il nostro per la prima volta piange e ci fa passare il messaggio colmo di tutta la sua disperazione mista a speranza e ha la tenacia e la tenerezza ricca di attenzioni di chi non molla perché sa che senza di “lei” il suo cuore sarebbe il paese più devastato.
E’ il suo personaggio che fa vivere il film e che ne conia i momenti più belli e riflessivi, la lezione di poesia e vita in classe dove ribalta la concezione dei poeti dannati e tormentati “per trasmettere felicità bisogna essere felici per trasmettere il dolore bisogna essere felici”, la scerna del kamikaze imbottito di medicine, quella del cammello che abituato a percorrere la strada per Bagdad non riesce ad orientarsi altrove, la corsa contro il tempo e la guerra per salvare Vittoria.
Il punto più debole del montaggio e della sceneggiatura de La tigre e la neve è il salto che permette ad Attilio di tornare in Italia: il pretesto dell’avvocato che gli fa passare una notte in prigione stordisce e per un attimo non ci si orienta ma come ho scritto sopra il finale ci regalerà tutta dolcezza di un evento inaspettato e rimaniamo stupiti proprio come una tigre sotto la neve.

Emidio Stefanoni