Scheda film
Regia: Abdellatif Kechiche
Soggetto: dal fumetto di Julie Maroh
Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche e Ghalia Lacroix
Fotografia: Sofian El Fani
Montaggio: Sophie Brunet, Ghalia Lacroix, Albertine Lastera, Jean-Marie Lengelle e Camille Toubkis
Scenografie: Julia Lemaire e Coline Débée
Costumi: Sylvie Letellier
Musiche (supervisione): Elise Luguern
Suono: Denis Martin
Francia/Belgio/Spagna, 2013 – Drammatico – Durata: 179′
Cast: Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Aurélien Recoing, Catherine Salée, Benjamin Siksou, Mona Walravens
Uscita: 24 ottobre 2013
Distribuzione: Lucky Red
Il gioco dell’amore e del caso
Adèle è una studentessa liceale che, come molte sue coetanee, è alle prese con i primi turbamenti sentimentali: proprio mentre sta iniziando a frequentare un ragazzo la giovane si imbatte in una misteriosa ragazza dai capelli blu e ogni sua certezza comincia a vacillare.
179 minuti di vita, 179 minuti all’insegna dell’amore: è questo La vita di Adèle di Abdellatif Kechiche, da sempre autore di vibranti e coinvolgenti spaccati umani, che stavolta ha conquistato pubblico e critica raccontando un’intensa storia di libertà e iniziazione liberamente ispirata alla graphic novel “Il blu è un colore caldo” di Julie Maroh. Il regista tunisino torna a raccontare l’universo femminile – elemento cruciale all’interno della sua filmografia – confrontandosi stavolta con due personaggi tra loro complementari e allo stesso magneticamente incompatibili, destinati a percorrere traiettorie che si intersecano per poi dividersi (forse) per sempre: La vita di Adèle coglie l’attimo – in netta continuità con lo stile del regista de La Schivata – immergendosi fisicamente nella vita delle due protagoniste, assorbendone l’energia e traducendola in immagini, sfruttando il legame del loro sentimento per raccontare l’astrattezza dell’amore, la volizione che sta alla base della vocazione verso qualcosa (l’arte, l’insegnamento), la difficoltà nell’accettare se stessi e l’altro. C’è questo e molto altro in un film semplicissimo e allo stesso tempo complesso, che scava nella quotidianità di due giovani donne con lunghe sequenze che indugiano su primi piani di volti, mani, corpi che si intrecciano e interagiscono: ed è la fisicità, l’esperienza tangibilmente tattile e sensoriale a fare da padrone nel film, a prescindere dalle tanto chiacchierate scene di sesso che hanno catalizzato l’attenzione dei media. Al di là delle esplicite sequenze di amore saffico infatti, La vita di Adèle è tutt’altro che un esperimento voyeuristico e non cerca di riprodurre sullo schermo schematizzazioni o cristallizzazioni dell’omosessualità: Kechiche va oltre, tratteggiando un inno alla libertà e un’ode alla forza traumatica del sentimento, tanto irruento e sconvolgente nel suo approccio iniziale quanto devastante nel momento dell’abbandono. È un percorso attraverso le tante fasi d’evoluzione del rapporto quello raccontato dal film, ma è soprattutto l’osservazione della crescita e della presa di coscienza di sé di Adèle, vero fulcro emotivo empatico dell’intero progetto: ed è il suo coraggio e la sua “fame di vita” – come l’ha definita più volte il regista – a rendere vivo e vitale il film, che asseconda i suoi movimenti – dalla sua partecipazione nelle relazioni interpersonali alla gestualità vera e propria – e li trasforma in materiale narrativo. Non stupisce quindi che per la prima volta la giuria del Festival di Cannes – presieduta da Steven Spielberg – nell’assegnare la Palma d’Oro abbia scelto di menzionare esplicitamente nel premio le due attrici protagoniste, Léa Seydoux e Adèle Exarchopoulos, materiali artefici di quella naturale chimica che fa da collante nella costruzione del film.
Girato in ordine cronologico, La vita di Adèle trova nella spontaneità e nella naturalezza la propria cifra caratteristica, rievocando alcuni tra i tratti maggiormente distintivi del cinema di Kechiche: la minuziosa attenzione ai dettagli di scrittura che fa da struttura portante nella fase di preparazione per le riprese viene infatti sovvertita sul set, quando il regista preferisce accantonare dialoghi e testi precedentemente congegnati per lasciare spazio all’interazione fra gli attori, costretti a reagire gli uni con gli altri e a trovare ogni volta soluzioni innovative all’interno della loro interpretazione.
Corpi, sguardi, lacrime, sorrisi si intrecciano in questo viaggio attraverso l’amore in tutte le sue sfumature, fotografato mentre la vita scorre sotto la lente del destino, silenzioso motore dell’azione: molti dei retaggi del cinema di Kechiche tornano e si fondono in nuovi equilibri, dalle eco di Marivaux all’omaggio all’insegnamento come fonte di gratificazione (in un ideale contraltare con La schivata), passando per la dimensione domestica e familiare degli ambienti ma anche alla danza come fonte di fascinazione (Cous Cous), approdando infine alla solitudine e alla lacerazione emotiva (Venere Nera). La vita di Adèle è il nuovo tassello di un mosaico che viene realizzato con continuità di intenti, con la voglia di raccontare storie dense, vive, capaci di rendere impalpabile il confine tra schermo e spettatori.
Chissà se davvero Kechiche sceglierà di dare un seguito alla storia di Adèle, come potenzialmente si potrebbe presagire già dal titolo completo del film – che comprende la dicitura: Capitoli 1 & 2 – e da alcune dichiarazioni dello stesso regista: nel frattempo non resta che attendere il nuovo montaggio che Kechiche sta pensando di proporre per la distribuzione in homevideo, nella quale dovrebbero trovare spazio molte di quelle sequenze tagliate in fase di montaggio dalle 250 ore di girato.
Voto: 8
Priscilla Caporro