Recensione n.1

Il remake selvaggio e’ ormai la primaria fonte di ispirazione del cinema, soprattutto americano: sfrutta idee vincenti vestendole a festa per un pubblico privo di memoria (non a caso il destinatario principale e’ il teen-ager), si limita ad aggiornare ai tempi un immaginario consolidato e quindi facilmente vendibile e, soprattutto, paga in termini economici. In particolare l’horror, il genere indubbiamente piu’ saccheggiato, al botteghino americano, ma non solo, fa sfracelli: costa poco (nessun cachet stellare a pesare sulle spese di produzione) e titilla, grazie anche a trailer mirati, la curiosita’ del pubblico adolescente, sempre avido di emozioni ad alto tasso adrenalinico. Anche per i rifacimenti, pero’, occorre fare opportune distinzioni. Se “Non aprite quella porta”, tanto per restare all’attuale stagione, pur nella gratuita’ del progetto trasmetteva la claustrofobica angoscia e lo spirito malsano dell’originale, con “L’alba dei morti viventi” il risultato e’ molto diverso. Il titolo italiano trae in inganno e lascia pensare ad un remake del folgorante debutto di Romero, invece ad essere scopiazzato e’ il successivo “Zombi” (perche’ non rispettare il parallelismo dei titoli notrani?). L’idea di partenza e’ la stessa, un microcosmo rinchiuso in un centro commerciale per sfuggire alla fame di carne di un’umanita’ morta e risorta unicamente per mangiare, ma le varianti rispetto al “cult” di Romero sono notevoli. Prima di tutto la velocita’ degli zombi: la vera novità di fine anni Settanta era che i morti viventi vagavano conla stessa indolenza che avevano da vivi, mentre il cambio di millennio ha portato il turbo. Il nuovo ritmo non ha pero’ nessun surplus di spavento, anzi, toglie una caratteristica peculiare ricalcando le razionali aspettative (di solito il cattivo e’ superveloce, mentre la lentezza aveva un che di inatteso e agghiacciante) e scimmiottando con poca fantasia decine di altri zombi cinematografici (tra gli ultimi in ordine di apparizione, quelli non entusiasmanti di “28 giorno dopo” di Danny Boyle). Inoltre, la vena caustica con cui Romero criticava la societa’ dei consumi e la sua popolazione di zombi acquirenti, si annulla completamente nel progetto di Zack Snyder che, lungi dal solleticare riflessioni, punta tutto sull’azione. Peccato che i colpi di scena siano piu’ che annunciati, i personaggi perlopiu’ macchiette per cui e’ impossibile parteggiare, l’ironia appiccicata e stridente e la tensione mai e poi mai coinvolgente. La sceneggiatura ha le colpe maggiori (davvero ingiustificabile il cambio repentino attraverso cui il capo delle guardie si trasforma da ottuso e menefreghista a eroe pronto al sacrificio; pessimo l’arrivo del camion con nuova carne da macello che pare uscita da un sit-com; risibile per non dire irritante l’episodio con il cane; inconcludente la lunga sequenza del parto; piu’ che prevedibile il decorso della cicciona infettata), ma anche la regia e’ incapace di creare un’atmosfera in cui credere, impedisce allo spettatore di avere qualsiasi coscienza dei luoghi (la geometria del centro commerciale resta un mistero), rende le sequenze di fuga eazione confuse e incomprensibili e utilizza con scarsa efficacia tecniche da videoclip ormai usurate (i soliti fotogrammi in aggiunta per velocizzare e la trita desaturazione dei colori per cercare realismo). A cornice del tutto una colonna sonora accattivante e banalotta, che impallidisce nel confronto con il magnetismo e l’originalita’ della musica dei Goblin. L’elemento di cui si sente maggiormente la mancanza è, pero’ (fondamentale, dato il genere), la paura. Se remake deve essere, almeno che incolli allo schermo non puntando sull’accumulo di effetti (sonori e visivi) ma sulla messa in scena di situazioni destabilizzanti. Cosa che nel film di Snyder assolutamente non si verifica. Attendiamo, quindi, con logico scetticismo, la prossima occasione, che sicuramente non manchera’, anche se l’industria ha ormai clonato buona parte dei “cult” degli anni Settanta e Ottanta. Quando la fonte primaria del riciclo si esaurira’ non restera’ che dare in pasto al marketing una nuova tendenza, pronta a rinvigorire il mercato e a far parlare (inizialmente male e poi bene) la critica piu’ illuminata: il re-remake. Giusto il tempo di arrivare ad un nuovo gap generazionale in modo da avere nuovi occhi da ingannare!

Luca Baroncini (da www.spietati.it)

Recensione n.2

Fosse per me, piu’ remake si fanno dei bei film, se fatti con appena un minimo di grazia, meglio e’. Sono laica e bimba, con il cinema: piu’ volte mi raccontano una bella storia, cambiando le facce, i luoghi, i ritmi, piu’ sono contenta.
Vale anche per questo L’alba dei morti viventi, che accelera l’originale senza aggiungere molto e togliendo assai poco: un thriller corretto e postmodernamente inverosimili, con una dose moderata di gore e pochi trucchetti da salto sulla sedia. L’ironia e i momenti di alleggerimento della tensione non sono mai gratuiti: la critica al consumismo dell’originale e’ ripresa mostrando con evidenza come gli oggetti in vendita aiutano le persone a dimenticare per qualche tempo la situazione in cui si trovano.
Ottimi gli attori (soprattutto Sarah Polley, Jake Weber e Mekhi Phifer); gli zombi che corrono ci stanno tutti, anzi, la loro somiglianza con le folle reali (cfr per esempio koyannisquatsi) e’ agghiacciante. Titoli di testa e di coda ottimi e disturbanti, molto piu’ del film; un’inquadratura all’inizio fara’ assai discutere.

Mafe