Regia di Sergio Rubini
Soggetto e sceneggiatura: Domenico Starnone e Sergio Rubini
Con: Fabrizio Bentivoglio, Margherita Buy, Sergio Rubini, Giovanna Mezzogiorno
Italia 2004, 110 min
E’ un peccato che questa pellicola non abbia riscosso il successo che si sarebbe meritata, di questi tempi a patire delle penurie commerciali non sono solo i film dichiaratamente d’impegno, accade sempre più ad opere semplicemente un pelino al di sopra della media per originalità, contenuti o semplice genuinità. Sergio Rubini non ha ancora eguagliato il sorprendente esordio de La stazione, ma si conferma regista di polso e, a differenza di altri più o meno giovani autori nazionali (leggi Muccino) sa che la regola della buona sceneggiatura è quella del “almeno quattro mani”, non si ostina a fare tutto da solo appoggiandosi all’ottima esperienza di Domenico Starnone. Si circonda inoltre di primattori di talento, con un cast che oltre a Bentivoglio, alla Buy ed alla pargola di Mezzogiorno comprende pure comparsate, o qualcosa di più, del calibro di Michele Placido, della Melato, di Antonello Fassari. L’antefatto del film narra del funerale di una giovane ragazza in un’epoca andata ed in un paese del meridione che è invece sempre lo stesso, con il suo consueto strascico di sovraccariche manifestazioni di dolore. Ad un avvio in stile Kusturica sul quale scorrono i titoli di testa si sostituisce, dopo la dissolvenza in nero che ci conduce al titolo, una sequenza fantascientifica con echi da Aliens di Cameron, che disorienta non poco lo spettatore, salvo mostrarci poi che si tratta di un set. Ed il terreno privilegiato attorno al quale ruota la settima pellicola del regista-attore è proprio quello della settima arte: il protagonista Luca-Bentivoglio è infatti un celebre attore colto da improvviso malore e costretto ad abbandonare il set per ritirarsi in una clinica. Qui tutti gli elementi del puzzle della sua vita si ricomporranno, dall’abbandono della famiglia e del paese natale, il medesimo dell’antefatto, alla ricerca del successo, alla relazione fallita con una donna anch’essa attrice che non riesce a dimenticare, la Buy, sino alla nuova relazione con una bellissima e decisamente infantile Giovanna Mezzogiorno. La malattia mina alle fondamenta il suo stile di vita portato agli eccessi dal mondo dello spettacolo, lo costringe alla riflessione e lo “restituisce” al mondo, se non guarito, certamente cambiato, consapevole delle difficoltà che la vita ci pone dinanzi e della necessità di non scordare le nostre radici. Il film possiede momenti decisamente esilaranti, in particolare grazie alla figura dell’attrice in carriera Mezzogiorno, impegnata a conquistare sia il successo che l’amore di Luca ma che si rivela semplicemente una bambina cresciuta, e dove l’attrice-figlia d’arte si diverte a fare il verso, in alcune sequenze, alla Uma Thurman tarantiniana. La contrapposizione iniziale poi tra la tradizione – il paesello – e la tecnologia – il cinema – pervade l’intera pellicola, la prima in particolare manifestandosi attraverso una metafora a dir la verità sin troppo evidente e scontata: il fantasma della ragazza morta nel prologo, una cugina della madre di Luca deceduta da cinquant’anni, riappare in forma di vera o presunta visione ad alcuni dei protagonisti. Il regista si ritaglia il ruolo di professionista insoddisfatto, personaggio speculare a quello di Luca perché non ha avuto il coraggio di abbandonare le radici e per questo non ha potuto avere successo, perdipiù con moglie asfissiante a carico, mentre Luca può ancora guadagnarsi il favore di deliziose fanciulle. Il seguito dimostrerà che nemmeno per lui saranno in realtà tutti fiori. Ottima come sempre la maschera di Bentivoglio, che da lanciatissimo self-made-man si trasformerà suo malgrado in bestiola docile e mansueta, costretta su un letto d’ospedale, e l’effetto viene reso in particolar modo dagli occhi, che da aggressivi divengono sottili come una minuscola fessura. Il finale, con lo scioglimento dell’enigma della ragazza-fantasma tornata dalla terra dei morti ad onorare la promessa fatta in vita alla madre di Luca, dovrebbe palesare la riscoperta dei primigenei affetti da parte del protagonista, ma appare una scelta eccessivamente scolastica; in ogni modo il film ha il pregio di presentarci una galleria di personaggi ed attori originali, dall’agente di Luca segretamente innamorato di lui che si commuove cantando una canzone di Renato Zero mentre rivede le sue immagini in televisione, al solito istrionico Rubini, sino a giungere al padre aspirante poeta, ed unica eccezione è il personaggio interpretato dalla Buy, forse perché ci si aspetta sempre molto da lei, soprattutto nei film di Sergio. Certamente il regista ha anche voluto prendersi beffe del suo mondo, quello dello spettacolo, e ciò emerge con evidenza sin dalla scelta di far interpretare al protagonista un film di fantascienza, evenienza davvero rara per il cinema di casa nostra. Un’opera forse discontinua, atta a cedimenti nel pulp, soprattutto nella parte iniziale, a momenti poetici a tratti suggestivi a tratti un po’ stucchevoli, in particolare nelle apparizioni dell’angelo venuto dal passato, ma che in ultima analisi appassiona e diverte, riuscendo pure a venire a capo di una moralina di fondo della storia.
Mauro Tagliabue