Thriller kafkiano questo “La Moustache” del titolo orginale.
Una copia felice e tranquilla. Lui, Marc, un giorno si taglia i baffi che ha sempre portato; una piccola sorpresa per Agnès, la sua compagna da diversi anni…ma quando l’uomo si rasa nessuno ricorda assolutamente che lui li aveva…assolutamente nessuno, eppure le foto parlano chiaro e sono ai suoi occhi la prova evidente che è così…ma capita sempre qualcosa per cui queste stesse non possono provare l’evidenza (e forse è un piccolo punto debole del film).
Nessuno, veramente nessuno ricorda nulla: non solo Agnès ma anche amici, collaboratori, conoscenti, ecc.
Cosa c’è sotto: è una congiura? E’ pazzia di uno dei due coniugi? Follia collettiva…o qualcosa nell’ordine del mondo è cambiato?
Il film ci offre un interessante spunto per capire come realtà banali, chiaramente accettate come reali ed ineluttabili, se messe in discussione rivoluzionano la nostra vita o ci mettono in crisi.
Immaginate molto semplicemente di essere appassionati di vela e nessuno, ad un certo punto, fra amici e conoscenti intimi che hanno condiviso con voi questa passione o ne sono stati spettatori, ricorda nulla o non riconosce in voi nulla della passione che vivete o avete vissuto…sarebbe sconvolgente.
In realtà è un argomento toccato in vari modi da tanta letteratura e da tanto cinema, recentemente da quello spagnolo e americano.
Non è un caso che da qualche tempo siano usciti tanti thriller francesi con un ambientazione borghese e dalle coordinate metafisiche, hitchkockiane o con pretese intellettuali di vario genere, in quanto è stata una precisa scelta del cinema francese degli ultimi anni. Tuttavia le opere spagnole in questo ambito hanno dimostrato una maggiore incisività.
Marc va ad Hong Kong per sfuggire alla sua segregazione in qualche ospedale psichiatrico; comincia a viaggiare, viaggiare, viaggiare da un traghetto ad un altro fino a…trovare un approdo in un alberghetto, ma poi….
Il film può essere definito interessante, gli interpreti appropriati e la sceneggiatura ben elaborata e doverosamente imperfetta e ricca di ambiguità.
L’ “Amore Sospetto” può essere visto come una riflessione sulla possibilità dell’esistenza di varie dimensioni di vita che si intrecciano o si allontanano, che possono essere parallele o convergere in un determinato punto dello spazio-tempo; una variazione a tema ben riuscita.
Gino Pitaro newfilm@interfree.it