Recensione n.1

L’uomo ha occhi chiari, grandi, ed è il capitano di una barca ormai ferma, anchilosata a largo. La ragazza ha labbra sensuali, tumide e occhi bellissimi. Vive con l’uomo, sulla barca ancorata a largo, da dieci anni, da quando ne aveva sei: sedici in tutto. La ragazza e il vecchio hanno messo alcuni divani a bordo del peschereccio e così ospitano i pescatori che dalla città vengono da loro per pescare e passare le giornate.
L’uomo ha un arco col quale difende la ragazza dalle avances dei giovani pescatori. Tende l’arco, scocca sicuro la freccia e blocca così i facili ardori dei più intraprendenti. La sera con l’arco intona una mesta litania, che accompagna le onde, il peschereccio che beccheggia, il tempo che passa.
Con l’arco il vecchio è pure capace di presagire il futuro.
La ragazza si siede su una altalena che sporge fuori dalla barca, su un fianco in cui è disegnata una immagine di Buddha. Inizia a dondolare lentamente e l’uomo la attraversa con le frecce. Il destino è scritto nelle parti del corpo di Buddha trafitte dalle frecce.
Sul calendario è segnato un giorno in rosso. E’ il diciassettesimo compleanno della ragazza. In quel giorno lui la sposerà, ha già comprato un vestito nuovo per lei, delle scarpe rosse e due galli per la cerimonia.
Un giorno con i pescatori arriva un giovane dalla città che regala un walkman alla ragazza: tutta un’altra musica.
Nei film di Kim Ki-duk non è il “che cosa” succede la cosa fondamentale, ma il “come” succede. Anzi, direi, che il suo film è proprio l’equilibrio, la forza emotiva che nasce del rapporto fra il “che cosa” e il “come”. C’è nel suo linguaggio una semplicità disarmante e una capacità straordinariamente evocativa di stare sempre nell’ epicentro dell’emozione.
L’arco è una storia d’amore meravigliosa, una metafora originale e immediatamente gustabile di desiderio, gelosia, fantasia, sesso. Il racconto è reso con immagini poetiche estremamente suggestive e una messa in scena efficacissima.
Non è facile rendere l’idea, forse faccio prima a raccontarvi un paio di situazioni.
Il vecchio ha sequestrato il walkman che il giovane della città ha regalato alla ragazza perché lei lo ascolta sognante a prua della barca volando col pensiero fra le onde, fino a riva. La ragazza rimane triste senza quella musica, allora prende due pezzi di lenza e vi lega ad ognuno un grande amo. Poi intreccia i due ami, li mette in bocca, e inizia a pizzicare con le dita le due lenze tese che escono dalla bocca: un’arpa.
Oppure il momento in cui la ragazza decide di scappare col suo giovane amante. Il vecchio ha legato una grossa cima alla barca con cui i due se ne stanno andando. La barca si allontana, la cima si tende trainata dalla barca, all’altro capo della corda c’è il collo del vecchio che a quel modo ha deciso di strozzarsi: è la stessa cosa la fuga di lei, della donna che ama, e la sua morte.
E’ in questo modo che Kim Ki-duk rimane ancorato alla scossa, alle prime vibrazioni dell’emozione che vuole raccontare. In questo modo il suo racconto-film procede limpido, liscio come l’olio, senza esitazioni. La macchina da presa sembra davvero un arco teso allo spasimo, prende la mira e scaglia la freccia, sicuro, preciso. Suona anche la macchina da presa-arco. E presagisce il futuro.
Non so dirvi altro che andarlo a vedere.

Andrea Scaccia

Recensione n.2

Ci viene presentato come il dodicesimo film di Kim-Ki-duk, e “L’Arco” non delude le aspettative, dato che il maestro coreano ci ha abituato a film tutt’altro che trascurabili.
“L’Arco” è una storia di un vecchio uomo di mare che vive su una barca dove affitta postazioni di pesca, assieme ad alloggio, a gente che vive nelle trafficate città e che cerca un weekend di relax dedicandosi all’ “hobby degli ami”.
Con il vecchio “hamingwayano-coreano” vive una giovane e bella ragazza, che misteriosamente abita con lui, la quale viene “cresciuta” con amorevolezza, anche paterna, nell’attesa del giorno in cui, raggiunta la maggiore età, sarà sua sposa.
Nessuno può avere confidenza con lei. L’Uomo utilizza l’arco come strumento di difesa, di terrore e d’amore, infatti lo impiega anche come strumento musicale, suonando musiche che solo lui e la giovane ragazza possono sentire. L’Arco diviene anche strumento di preveggenza per i visitatori che lo chiedono: il vecchio fa dondolare la ragazza su un’altalena sospesa sull’acqua, e lancia tre frecce mentre lei oscilla su un fondo-barca dove c’è una divinità orientale, poi la ragazza trae dai punti colpiti vaticini e presagi. E anche lei stessa è avvezza ad usare quest’arma d’amore e di morte con destrezza.
Un giorno capita qualcosa, arriva sul barcone-albergo per pescare un giovane di Seul, e fra i due ragazzi nasce una certa simpatia; il suono dell’arco viene sostituito da quello molto meno immaginifico di un lettore elettronico di musica che il giovane le regala; del resto l’adolescente si avvicina alla maggiore età, e comincia a sentire il desiderio di conoscere il mondo; da questo momento tutto cambierà, con qualche poetica sorpresa.
La vena artistica del regista coreano non indugia nel sentimentalismo e non cede ad un romanticismo di maniera, ma si nutre di una poetica forte di legami esistenziali, di richiami ad archetipi e mitologie, voluti o meno che siano, piegati con talento e originalità alla propria visione del mondo e alla propria cultura. Un altro regista rischierebbe di rendere le cose ridicole, ma Kim Ki-duk tiene le fila della narrazione e dei sentimenti con polso sicuro.
L’attrice protagonista, Yeo-reum Han, ha un fascino femminile e freschezza da vendere. Anche lei sola meriterebbe il prezzo del biglietto…o di andare a pesca sul barcone…

Gino Pitaro newfilm@interfree.it

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