…il mondo è impazzissou…

ovvero: di vite acquatiche fra granchi caramellati e dilemmi di vita familiare

Wes Anderson, ormai nel settembre 2003, viene a girare in Italia, a Roma, a Cinecittà, e dintorni. Si favoleggiano avventure marinaresche con tanto di pirati e fauna acquatica animata in stop-motion (regalo di Henry Selick), sulle orme di Cousteau e di Melville. In realtà, oltre ai cappellini rossi ai costumi speedo color acquamarina ai walkman da palombaro e all’odissea d’ossessione mobydickesca, c’è altro: Fellini – è Wes Anderson a dircelo di persona -, Tati – mi sento di aggiungere io -, l’avventura disneyana con la A maiuscola (I Goonies, Tron perché no, i viaggi verso l’ignoto, le ragazze coi leoni e i veli da sposa forse).

Deliberatamente, wesanderson rinuncia (apparentemente) al rigore da camera e al perfezionismo drammaturgico e stilistico a cui ci aveva abituati con le sue opere precedenti e il film, privo di quell’impatto omogeneo (sia pur elasticamente omogeneo), spiazza e rischia il rigetto. Troppo comico, troppa confezione parodistica in realtà superficiale e vuota, troppo poco spessore: possibile, forse, ma, a conti fatti, poi, questo risulta il suo film più luttuoso (in senso non figurato: contate i morti, i feriti, gli abbandonati, i dispersi – non ultimo, scena colma di strazio ma non virata nel patetico, il cane monco Cody).

Che il lutto di wesanderson sia poi non definitivo, anzi pronto a essere risanato, viatico per altre, ben più notevoli, rigenerazioni (umane, morali, esistenziali…), è un altro paio di maniche e non bisogna confondere le acque.

Lo stile del Nostro è ampiamente riconoscibile (i cartelli, le didascalie, la suddivisione in capitoli, l’utilizzo rapsodico del carrello laterale, l’inquadratura dall’alto, l’umorismo impassibile, l’assurdo beckettiano, l’understatement,…) e Anderson, per niente ingenuo, è consapevole che ci vuole un cambio di approccio ed è abile nell’applicarlo. Da tiepidi e accoglienti, i colori della fotografia imitano il cobalto (“acquamarina e celeste” cita Anderson: “tutto quello che era possibile doveva essere dipinto in quel modo”) delle distese mediterranee (o delle piscine clorate alla Hockney), squillante e luminoso, solare e accecante. Così accecati, stile e struttura si disarticolano con appassionante libertà: i tempi diventano obliqui, ora rallentandosi (tutta la parte centrale) ora accelerandosi (incipit ed epilogo); gli attori seguono le istruzioni – Bill Murray, finalmente valorizzato come merita, è divino, ma che dire degli altri, Willem Dafoe teneramente umoristico in testa? – e tutto il contorno è raro e prezioso. I costumi (di Milena Canonero) e le scenografie (di Stefano Maria Ortolani) sono feticistici ed elaboratissimi as usual, e non gratuitamente: il Belafonte, felliniana “nave che va” ricostruita in sezione sul set, è una vera e propria casa di bambole da esplorare e pianosequenzare; le divise del Team Zissou… beh, io ne vorrei avere la collezione!

In tutto questo, Anderson trova il tempo di instaurare un coté acuto sui temi della realtà e della finzione (esiste lo squalo-giaguaro o, come Moby Dick, è parto ossessivo, motivo di scacco matto di una vita o, in questo caso, concretizzazione della presa di coscienza di sé – Zissou, arrogante e volgare, finalmente si scioglie in un pianto commovente [senza rinunciare, sia pure al secondo grado, autoironicamente cioè, alla sua vanagloria: “Chissà se si ricorda di me”] e comprende la sua reale stagione mentale e comportamentale [non negativa in toto perché viva di fantasia e istinto] affermando che gli undici anni e mezzo sono la sua età preferita – e dell’esistenza di una seconda chance? è Ned Plimpton suo figlio naturale oppure no, visto che lui, causa immersioni ripetute (che sublime assurdo sberleffo!), “spara a salve”? sarà felice Jane Winslett-Richardson col suo bambino?), quindi anche del metacinema: non solo i verofalsi documentari di stevezissou, alla cui sciatteria disordinata in Ektachrome (quindi, altro che sciatteria…) qua e là il film “vero” si accorda come a rendere ancora più manifesta l’anima del personaggio, ma anche il marinaio Pelé dos Santos per esempio, che non pronuncia alcunché (se non, forse, una risposta semideficiente: “una mappa”) ma compone e canta in maniera diegetica ed extradiegetica, ovvero per la ciurma della nave e per noi spettatori.

Lo spirito fintamente documentario (il titolo, così come quello degli altri film, è sintomatico: la traduzione italiana, ora pressoché fedele, rischiava di essere il folle eppure non del tutto imperdonabile “acquatici lunatici”) contrasta con l’afflato poetico di wesanderson: la dicotomia produce scintille e idee a raffica, senza nessuna preoccupazione di essere per forza di cose originale e/o potente. E se l’odissea billmurrayana, in fondo, non fosse altro che la visualizzazione/espansione/variazione di uno dei tanti non detti dei Tenenbaum – l’anno sentimentalmente sabbatico di Richie (il tennista fallito: non a caso, quando il Team Zissou arriva all’Isola Ping per salvare il tirapiedi della compagnia finanziatrice attraverso un campo da tennis in disuso e ne scavalca la rete malconcia) a bordi di improbabili yacht da crociera – così come I Tenenbaum conteneva già la prosecuzione amara e adulta del discorso sugli adolescenti geniali iniziato in Rushmore?

Costanza ed evoluzione: guarda un po’, i private-jokes (uno lapalissiano su tutti: la citazione da Cousteau scritta a margine di un libro in Rushmore) non finiscono mica qui…

Regista classico e démodé nel 2005, e quindi implicitamente (ma senza, per questo, fastidiosi esibizionismi) postmoderno, wesanderson conosce il gioco della citazione e della deriva, della coazione a ripetere (da fumetto), del riferimento (colto e popolare) e del rimando, dell’interferenza e del buffetto, e ci scherza su, in punta di penna prima e di macchina da presa poi, in un umanesimo intimista di infinita grazia, bontà e pietà; ce n’è da imparare…
Grazie

(continua così.)

ps. tuffo interiore, quello del vostro cuore durante l’epifania dello squalo-giaguaro, nel finale? Noo? Mah, saluti e felicitazioni…
La colonna sonora

Lo score ufficiale di The Life Aquatic with Steve Zissou distribuito da Hollywood Records (in realtà mancano pezzi importanti se non sublimi: arie di Bach, altri David Bowie originali o rielaborati, una sinfonia dei Sigur Ros…) si presenta compatto e particolarmente adatto a quell’avventurosa avventura marina che è il film. David Bowie tradotto in portoghese e riarrangiato con saudade dal cantante/attore brasiliano Seu Jorge non è soltanto eccentrica bizzarria: assume, invece, sonorità più profonde, inspiegabilmente marinare, da interno di conchiglia, oltreché implacabilmente divertenti, anche perché, al solito, Anderson non ostenta questa scelta, relegandole spesso in sottofondo rispetto all’azione dominante – contrappunto ambient, anche commento.

Delicatezza e attenzione, lo abbiamo visto, sono due dei suoi marchi di fabbrica: il fatto è che Anderson conosce il linguaggio visivo e la comunicativa della musica, e li sa combinare. Alla composizione orchestrale, il fido ex-Devo Mark Mothersbaugh, impegnato a riprodurre, stante le dichiarazioni, suoni e atmosfere degli strumenti Casio; Anderson permette estro e libertà ma, a quanto pare sentendo, non improvvisazione. Il rigore, anche un rigore sconclusionato, è essenziale.

Attacchi di Sven Libaek, il compositore australiano dei documentari oceanografici di Ron e Valerie Taylor, recuperi d’autore (Here’s To You di Joan Baez, da Sacco e Vanzetti), mescolamenti azzardati (la Passacaglia di Bach e Iggy the Pop), approcci ora lisergici (i Devo, Scott Walker) ora liturgici (l’epifania dello squalo-giaguaro commentata da Staralflur, una straordinaria sonata dei Sigur Ros): Wes Anderson sa cosa ha tra le mani e come gestire il tutto.
Ecco, anche stavolta, l’elenco (incompleto, da cd):

1) Sven Libaek – Shark Attack Theme

2) Mark Mothersbaugh – Loquasto International Film Festival

3) David Bowie – Life on Mars?

4) Seu Jorge – Starman

5) Mark Mothersbaugh – Let Me Tell You About My Boat

6) Seu Jorge – Rebel Rebel

7) Mark Mothersbaugh – Zissou Society Blue Star Cadets/Ned’s Theme Take 1

8) Devo – Gut Feeling

9) Sven Libaek – Open Sea Theme

10) Seu Jorge – Rock’n’Roll Suicide

11) Joan Baez – Here’s To You

12) Mark Mothersbaugh – We Call Them Pirates Out Here

13) Iggy and the Stooges – Search and Destroy

14) Paco de Lucia – La nina de Puerta Oscura

15) Seu Jorge – Life on Mars?

16) Mark Mothersbaugh – Ping Island/Lightning Strike Rescue Op.

17) Seu Jorge – Five Years

18) Scott Walker – 30 Century Man

19) The Zombies – The Way I Feel Inside

20) David Bowie – Queen Bitch

…il mondo è impazzissou…(…e io con lui.)
Ebbene sì: questo Life Zissou with WIfe Aquatic, questo Stevsey Life with Aquatic Zissou, questo Aquatic Steve i Zissou Life, insomma questo Le avventure acquatiche di Steve Zissou (ma avete idea che il titolo è stato cambiato in questo tutto sommato onesto soltanto tramite sondaggio popolare e non per mea culpa dei distributori?) è stupendo! Sì, wes è riuscito a sorprendermi ancora, giocando ad altro: via il rigore da camera dei precedenti, e via, ora, con l’avventura con la A maiuscola, quasi simil-disneyana (il bel disney nostalgico dela fine ’70-inizio 80: Goonies, Tron perchè no, i viaggi nell’ignoto, le ragazze coi leoni e i veli da sposa forse). Lo stile, non rinunciando a sè stesso, si fa anche altro: stralunato al massimo, apparentemente quasi sconclusionato (a ricalcare il Team Zissou e i documentari da esso prodotti), lunare, da altro pianeta (wes citava Fellini in conferenza come principale fonte di ispirazione, ma c’è anche molto Tati).
I colori tiepidi e accoglienti non ci sono più (qui domina il celeste e l’acquamarina super-mediterranea: il colore delle piscine anche, molto amate da wes, che ammette di guardare anche a David Hockney), ma non ne siate scontenti, c’è dell’altro, ovvero: il taglio è più comico, vero, però poi, guarda caso, ci sono famiglie allargate e mancate, tragedie, lutti, abbandoni, fallimenti – ora imprevedibili ora lancinanti. Con niente, i casi drammatici della vita irrompono e dilatano, o accorciano a strappo, i tempi della narrazione. Un film che spiazza e spiazzerà che va visto e rivisto, come sempre i suoi film, per godere appieno degli scarti umorali, della pletora di dettagli e dettaglini e delle varie riflessioni che nascono; un film che temo scomparirà velocemente e che non entusasmerà molti. As usual.
Di sicuro è un film, più che altro (al di là del bello e del meno bello), enormemente stimolante, una fonte di meraviglie (non vi anticipo il prefinale e finale da lacrime!!!!!!!!). Magari può anche deludere, ma tenetelo di conto… Dibattito con wes (io faccio giusto una domanda) – di una timidezza/imbarazzo ragazzini – interessante, poi riesco a parlarci, gli dicono che non sono un semplice fan, ma che in lui ho trovato un punto di riferimento essenziale, gli lascio le mie cose, mi faccio fare l’autografo sul dvd dei tenenbaum e la serata fluisce via, per me ovattata e al rallentatore come in uno dei suoi film. Ragazzi, sono beato come un bimbo col suo balocco in mano (battuta chiave, e non è uno spoiler grave:
CATE BLANCHETT (INCINTA DI SEI MESI): “TRA 12 ANNI NE AVRà 11 E MEZZO”
BILL MURRAY: “LA MIA ETà PREFERITA” siete avvertiti….), eccitato come una tigre in gabbia. Ce ne fossero, di giornate così… Un commiato, e a presto, il dibattito è aperto… (su centraldocinema, per chi non l’avese fatto, può leggere lo special a lui dedicato).

RB VC