La storia di Enzo Molinari e Jacques Mayol, due uomini i cui destini sono stati uniti dalla comune passione per il diving. Dalla morte del padre, fino alla sfida nelle acque di Taormina, la vita di Mayol trascinerà gli spettatori nelle profondità marine, e negli abissi dell’amore per la natura. La coppia Besson- Reno torna sugli schermi, in una versione primitiva in un film sul mare, fatto da chi ama il mare. E’ questo il messaggio de “Le grand bleu”, diretto da Besson 14 anni fa, per esplorare gli abissi della psiche umana, attraverso quelli marini. Sbloccata la distribuzione, nel 2002, è stato presentato alla XIX edizione del Festival Europacinema. Sembra infatti che Maiorca ne avesse bloccata l’uscita in Italia, perché offeso dalla rappresentazione di lui fatta, sullo schermo. Evidentemente non conosceva la chiave di lettura del cinema di Besson. Regista dell’eccesso, e del sopra le righe, associabile per trasposizione nel mondo della moda all’enfant terrible Gaultier (che per lui ha disegnato i costumi del “Quinto elemento”), immerge i suoi personaggi in un mare profondo, e li lascia galleggiare come zattere alla deriva, alla ricerca del loro io. Persone che s’inseguono, senza mai afferrarsi. Ognuno di loro è esagerato e grottesco, ma totalmente insignificante se paragonato all’immensità del mare. Ogni eccesso deve essere perdonato, perché si tratta di una dichiarazione d’amore e non di una rappresentazione veritiera.
Diventa così accettabile bypassare una patetica immagine degli italiani “spaghetti e chitarra”, tronfi ignoranti mafiosi, così come degli americani, caotici personaggi da fumetto. Jean Marc Barr deve essere il tramite per un lungo tuffo fra i flutti, piuttosto che un bambolino sperduto, con grandi occhi da cerbiatto. Capito questo, saranno tollerabili le riprese a volo di gabbiano stile “tonno Nostromo”, e i tuffi di acrobatici delfini in contatto telepatico col protagonista. Non si tratta solo di un confronto fra l’uomo e la natura. Mayol ed Enzo vanno oltre i limiti, per capire cosa c’è “dall’altra parte”, completamente compenetrati dai misteri marini. Una fuga dal mondo, ma anche un ritorno alle proprie origini. I due sub si perdono volontariamente nei flutti, consapevoli che il loro posto, è in quegli abissi, sicuri nella vita, come nella morte, in quello che è un accogliente liquido amniotico. Finezza estetica riservata al prologo, realizzato in un elegante bianco e nero virato al blu, che spara i bianchi di Grecia, e fa risaltare la distesa marina quale unica etoile. Non è possibile parlare di un brutto film, ma semplicemente di un film di quasi vent’anni fa, che come tale mostra ingenuità e limiti, attraverso le tecniche e i protagonisti dell’epoca.
Maggie