Scheda film
Regia: George Clooney
Soggetto:Beau Willimon (commedia “Farragut North”)
Sceneggiatura: George Clooney, Grant Heslov, Beau Willimon
Fotografia: Phedon Papamichael
Montaggio: Stephen Mirrione
Scenografie: Sharon Seymour
Costumi: Louise Frogley
Musiche: Alexandre Desplat
USA, 2011 – Drammatico – Durata: 101′
Cast: Ryan Gosling, George Clooney, Philip Seymour Hoffman, Paul Giamatti, Evan Rachel Wood, Marisa Tomei, Jeffrey Wright
Uscita: 16 dicembre 2011
Distribuzione: 01 Distribution
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Le idi di Marzo. Un evento tragico, tra i più conosciuti dell’antica Roma. Un evento che vanta più di un significato simbolico, e che spinge alla riflessione sulle insidie del potere e sui limiti del ‘buon governo’.
In un periodo di grande crisi economica, segnato da un repentino crollo dei valori comuni e della fiducia nelle istituzioni, il cinema più di una volta ha fatto fuoriuscire una voce dal coro in favore di un riesame del contemporaneo modus operandi dei politicanti. Ora anche George Clooney prova a dire la sua, con un progetto pensato a lungo e che ha atteso il momento adatto per diventare realtà: The ides of March.
Il titolo riprende la disgraziata congiura che pose fine alla vita di Gaio Giulio Cesare, il 14 marzo del 44 a.C., da parte di Bruto e Cassio. Un titolo, naturalmente, dalla forte valenza simbolica, e che trova, in un perfetto gioco di specchi, più di una collocazione all’interno della trama del film, presentato in anteprima, e come pellicola di apertura, alla 68esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Si avvicinano le presidenziali, e il Governatore Mike Morris (George Clooney), progressista candidato democratico, si prepara agli atti decisivi della spietata campagna elettorale.
Nel suo staff ha un uomo di grande esperienza, Paul Zara (Philip Seymour Hoffman) in grado di coordinare il tutto perfettamente (e alla larga da intrighi e scandali che possano scalfirne l’immagine) e un ambizioso ed idealista giovane organizzatore dell’ufficio stampa, Stephen Meyers (Ryan Gosling). Stephen ha fiducia nel suo candidato, così come ha fiducia in un certo percorso politico abbastanza idealista. L’intervento dell’intrigante Tom Duffy (Paul Giamatti), coordinatore per il candidato concorrente, e dell’insidiosa giornalista d’assalto Ida Horowicz (Marisa Tomei), insidieranno però nel ragazzo il dubbio di cosa sia giusto e sbagliato, lecito o sleale, quando si arriva ai livelli più alti della politica.
Decisivo sarà però il passaggio, nella sua vita, di una giovane e bella stagista, Molly (Evan Rachel Wood), che lo farà ricredere su molte cose.
Tratto dall’opera teatrale “Farragut North”, Le idi di Marzo supera il confine tra teatro e cinema presentando
una grande storia con dei grandi attori. In poche parole, un ottimo esempio di buon cinema.
Un cinema fatto di grandi interpretazioni, di idee e tematiche estremamente attuali ed interessanti, di un approccio che intriga lo spettatore ma non si accontenta di presentare o vagliare un’idea o una visione in particolare.
L’ambiguità dei suoi personaggi è ben resa e assolutamente funzionale alla storia, e il finale aperto a varie letture è semplicemente un tocco di classe che arricchisce ancora di più l’opera, che non si complica o si smarrisce sul finale come purtroppo capita spesso a pellicole del genere.
La sceneggiatura e la regia di Clooney non si perdono in complicanze fini a sé stesse ma anzi si limitano all’essenziale, e vengono supportate dall’esemplare lavoro di un cast in gran talento, tra cui spicca Gosling, che sembra oramai destinato ad una sicura carriera di successo.
Srepitoso anche Clooney, che appare su schermo molto meno del previsto, riuscendo sempre a colpire.
Ambiguità, seduzione, perdita di valori: il gioco politico si mescola coi giochi di potere, le certezze crollano, gli amici diventano i nemici.
Clooney torna alla regia dopo quattro anni, con un dramma morale sulla lealtà e dei valori e sulla facilità di perderli sulla strada del compromesso. Un’opera intensa, intelligente, ben scritta e ancor meglio recitata.
E che, nonostante il contesto politico americano poco conosciuto alla maggior parte del pubblico italiano, si fa ben comprendere da tutti.
In fondo non importa da che parte si sta, l’importante è ciò in cui ci crede.
Voto: * * * *
Giada Valente
Stati Uniti. Alle primarie in Ohio del partito democratico…
#IMG#Stati Uniti. Alle primarie in Ohio del partito democratico si presenta Mike Morris, volto nuovo della politica USA. A decidere le sorti della sua candidatura alle presidenziali il giovane addetto stampa Stephen Mayers che a soli trent’anni può vantare numerose esperienze nel campo politico e che per la prima volta vede in Morris non solo un volto da collocare alla Casa Bianca ma un uomo sincero e dai sani principi morali al quale affidare le sorti del paese.
George Clooney dopo Syriana” e Good night, and good luck, entrambi datati 2005, torna sul luogo dell’impegno politico e serve una nuova pellicola in salsa “politically (s)correct”. Sì, perché al termine del film nessuno dei protagonisti è del tutto scevro da colpe e quello che poteva sembrare l’uomo giusto cui affidare le sorti della prima potenza mondiale, il Mike Morris ateo ma corretto e salomonico interpretato dal rassicurante volto dello stesso Clooney, risulta invece essere un coacervo di luoghi comuni e di standard politici sin troppo facili da intravedere in quasi tutte le democrazie, non solo presidenziali, di questo mondo. A prestare il volto al giovane Stephen Mayers un Ryan Gosling che può ben dire di aver definitivamente svoltato la propria carriera grazie a un 2010 nel corso del quale ha interpretato non solo questa pellicola ma ha anche prestato il volto al silente protagonista di Drive, sapendosi imporre al grande pubblico per due interpretazioni differenti ma al tempo stesso efficaci e figlie del medesimo approccio minimalista. Nel complesso una sceneggiatura e una scenografia capaci di rendere alla perfezione il pathos creato dal clima che si respira proprio in questi giorni durante le primarie made in USA. Completa un film, che si fatica a non apprezzare, un cast stellare, impreziosito dai premi Oscar Marisa Tomei, nei panni di una giornalista priva di scrupoli, e Philip Seymour Hoffman in quello di un capo ufficio stampa quanto mai ligio all’etica giornalistica, oltre ad un Paul Giamatti mefistofelico che seppur impiegato in minor quantità, rispetto alla propria bravura, lascia un segno indelebile per marcare una svolta decisiva nell’economia del racconto. Pellicola da vedere se siete appassionati di politica e anche qualora non lo siate, il tutto non prima di essersi posti una domanda più che legittima: possibile che un esperto comunicatore, seppur giovane, come Stephen Mayers possa essere altrettanto ingenuo?!?
Voto: * * * *
Ciro Andreotti
The show must go on
Stephen Meyers (Ryan Gosling) segue dietro le quinte la campagna del governatore Mike Morris (George Clooney), in lizza per le primarie del Partito Democratico in vista delle elezioni presidenziali. È un giovane idealista, affascinato dagli intrighi della politica, al seguito di maestri come l’esperto Paul (Philip Seymour Hoffman), corteggiato dal concorrente Tom Duffy (un inquietante Paul Giamatti), uomo del senatore Pullman, l’altro democratico, e non restio a flirtare con la giovanissima stagista Molly (Ewan Rachel Wood). Ma il mondo spietato in cui sta cercando di entrare, proprio in virtù della sua abilità sembra ribellarglisi contro e, in seguito ad un errore di valutazione, ad una mossa falsa, si ritroverà fuori dai giochi. Essendosi però già spinto un po’ più in là nei complicati vortici elettorali, saprà come restare a galla, spietatamente, senza risparmiare nessuno…
Le ventitré pugnalate inferte a Gliulio Cesare in quel delle Idi di marzo del 44 A.C. Fanno solo riferimento al periodo primaverile in cui si svolge la campagna elettorale e sono niente più di un eufemismo riduttivo in confronto ai colpi bassi sparati per queste primarie democratiche qui raccontate, all’interno di una macchina unica ed estremamente complessa come le elezioni statunitensi. Tutti contro tutti, fino alle presidenziali vere e proprie, i candidati ed i loro spin doctor non si risparmiano impensabili accordi trasversali, trucchi e scorrettezze pur di puntare alla conquista di voti, in mezzo a giornalisti manipolati, pur convinti di manipolare. Più che congiura, è guerra senza esclusione di colpi, che lascerà sul campo morti e feriti e regalerà ai vincitori una vittoria di Pirro, con un finale sospeso ed aperto in cui l’ormai tronfio Stephen, ceduta l’anima ed il candore al Mefistofele del potere, intervistato sui reali motivi della turbolenta campagna elettorale, dopo aver tenuto gli occhi bassi per tutta la preparazione, alza lo sguardo, raggelante, verso il pubblico. Che cosa dirà?…
Dall’esordio idealista, in cui afferma di credere nel futuro presidente Morris, poiché è convinto che sia l’uomo giusto per la nazione, Stephen vedrà sgretolarsi tutte le sue certezze e tirare fuori tutta la sua grinta e la sua cattiveria. Interpretato da un Ryan Gosling in stato di grazia, che comincia con i suoi sorrisi teneri, con le sue timidezze, ma anche con una certa fermezza, fino a cambiare a metà film e a diventare un blocco di granito, con gli occhi persi nel vuoto di chi non crede più in niente, se non nel potere, da cui è fagocitato e di cui si nutre. Nessun politico è puro, sembra dirci Clooney, tutti perseguono un secondo fine, come questo Morris che, tanto per dirne una, predica l’ecologia e promette di eliminare entro dieci anni le auto a combustione, mentre adesso si ostina a girare su fiammanti quanto letali SUV.
Come dice l’esperto Paul, l’unico elemento che può contare qualcosa in questo ambiente è la lealtà, ma in questo clima da “homo homini lupus”, sembra un’arma ormai desueta e di conseguenza il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffman è il primo ad uscire di scena quando la musica inizia a cambiare.
Diretto con rara finezza da uno spiazzante George Clooney, il film sembra rifarsi direttamente ai film politici statunitensi degli anni settanta di Sidney Pollack, Alan J. Pakula e Sidney Lumet, quali Come eravamo, Tutti gli uomini del presidente e Quinto Potere, anche se in alcuni tratti dello Stephen Meyers in cerca di vendetta e riscatto non è difficile ravvisare quel Condor ferito ed in fuga col volto di Robert Redford ne I tre giorni del Condor.
Nel paese più democratico del mondo, con qualche riferimento alla recente storia patria, l’ala politica più progressista sembra avere scheletri nell’armadio in quantità, mostrandosi anch’essa inadatta a gestire un paese che, come il resto del mondo, affronta una terribile crisi economica. Ma quel che più conta è lo spettacolo, che deve andare avanti: l’importante è illudere il popolo, riscuotere applausi, prendere voti. Poiché tutto cambi affinché nulla cambi.
Voto: * * * *
Paolo Dallimonti