Regia di Roger Avary
Interpreti: James Van Der Beek, Ian Somerhalder, Shannyn Sossamon, Jessica Biel

Recensione n.1

Trama: Quali sono le regole dell’attrazione dei giovani d’oggi?
Scopriamole insieme in un college americano.
Tutti contro tutti. Non ci sono regole ognuno cerca l’amore come può. Uno crede di aver imboccato la scorciatoia giusta, e invece… è una foresta di penitenze e sofferenze. Questo il destino aveva riservato all’allor giovine Roger Avary, commesso dei Video Archives con ambizioni da cineasta, come l’altro suo amico, Quentin. Strano come un progetto con grosse potenzialità (Pulp Fiction, niente meno)possa sfuggirti dalle mani, e non solo, ritorcertisi contro.

Sì, perchè Avary altro non era che uno dei tre autori che avrebbero partecipato alla realizzazione di Pandemonium Reigns, sceneggiatura scritta a quattro mani con il fraterno amico Quentin durante un lungo viaggio ad Amsterdam, della cui, dopo l’abdicazione del terzo, incomodo regista, prese poi totale possesso Tarantino, dedicandocisi anima e corpo e ottenendo il meritato successo che sappiamo.
Da quella originale bozza, composta da tanti episodi intrecciati tra loro, alcuni scampoli finirono ne Le Iene, altri vennero cestinati e il resto rimase dov’era, assumendo il titolo di Pulp Fiction. Il maggiore apporto di Avary, a quanto ne sappiamo, ma non è impossibile escludere anche ulteriori interventi, è nell’episodio di Butch e il suo orologio, scritto di suo pugno (la forma originale del racconto la trovate qui: http://www.avary.com/theskinny/pandemoniumreigns/script-pandemoniumreigns.ht
ml).
Giunse la Palma d’Oro (a Tarantino), e l’Oscar alla sceneggiatura (ad entrambi).
E qui scoppia l’inevitabile: Tarantino, sul palco, si mangia letteralmente i cinque minuti messi a disposizione per il discorso di ringraziamento, lasciando ad Avary il tempo per ringraziare la moglie e sfoderare la battuta d’uscita (“Beh ora scusate ma devo proprio andare a pisciare.”).
E’ la goccia che fa traboccare il vaso: tanti e troppi smacchi ha già subito il nostro Roger da parte del dirompente Quentin. Egli stesso sottolinea situazioni in cui il (vecchio) amico avrebbe taciuto l’appartenenza di scene scritte da Avary – per esempio in Assassini nati -, pur di accaparrarsi tutto il bottino di elogi.
Poco si sa dei modi in cui avvenne la rottura, ma, fatto sta, avvenne. I due non ebbero più rapporti professionali insieme, tanto che Tarantino non lo volle nel progetto Four Rooms – preferendogli il suo nuovo fido amico-cane, Robert Rodriguez.
Frapposto tra l’Oscar e la rottura, vi è la parentesi di Killing Zoe, il primo, debordante, straordinario esordio di Avary dietro la macchina da presa. Tarantino e Bender producono. I manifesti seguono l’onda: il film sembrerebbe appartenere più a Tarantino – in veste solo di produttore esecutivo – che ad Avary. Si aggiunga inoltre la superficiale somiglianza dell’opera con l’impianto teatrale e violento de Le Iene: ci si mette anche la critica.
Avary è in un vicolo cieco. Le sue sceneggiature (commissionate o no), non attecchiscono (ricordiamo almeno una sua battuta: “Cosa fareste appena vinto un Oscar?” – dice – “Se foste in me, scrivereste Phantasm 3 per la regia di Don Coscarelli”); la sua opera prima, è bollata come una scialba propaggine tarantiniana; l’onore e la fama, sono perdute sotto il peso dell’egemonico Tarantino.
Per anni rimane in silenzio, umile, accetta partecipazioni anche modestissime a produzioni sia americane che europee (tra cui un adattamento francese – poi mai realizzato – del fumetto italiano Ranxerox, per 500 dollari), si dedica alle sue passioni (“Motion Pictures, Body Surfing, Videogames, HTML, and penis enlargement techniques”, come annuncia egli stesso), e cova, nell’oscurità, nuovi progetti.
Sette lunghi anni di oblio.
Poi, l’illuminazione. Ripesca negli scaffali un libro che amava molto da ragazzo… The rules of attraction, di Bret Easton Ellis. E improvvisamente sente che qualcosa combacia ancora con la sua personalissima visione del mondo, cinica e disillusa. Perchè non farne un film?
Cosa fareste voi se vi trovaste in un vicolo cieco, opprimente e tenebroso?
Be’, se foste Roger Avary, lo mettereste nel culo al mondo e girereste quel capolavoro assoluto che è Le regole dell’attrazione, il nuovo, geniale, sconvolgente film di uno dei più grandi registi viventi.
Lunga vita a Roger Avary!

Andrea D’Emilio

Recensione n.2

Premessa: l’universo giovanile al cinema soffre di una fastidiosa interpretazione binaria che lo vuole, o valoroso ed eroico tutto patria e famiglia, oppure cinico e vizioso, tutto sesso, droga e poco altro. “Le regole dell’attrazione” si inserisce nel filone “cool” (giovani, carini e marci) adattando per il grande schermo l’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis. Che dietro al perbenismo dei college americani si celassero pulsioni e vacuita’ lo abbiamo gia’ scoperto in una miriade di film e il lungometraggio di Roger Avary non si discosta da questo modello, riproponendo situazioni di patinato squallore ormai ampiamente dissertate. Il regista ha pero’ il pregio di conferire al racconto ritmo e freschezza, grazie a scelte visive interessanti (molto bello lo split-screen che si congiunge in un’unica immagine), ad interpreti ben diretti e ad una sceneggiatura (dello stesso regista) assai strutturata e complicata, che mantiene nelle immagini verve e incisivita’. Ma e’ proprio un certo tipo di cinema e di letteratura che appare irrimediabilmente datato. Esplosioni di rabbia, scelte insensate, mancanza di valori, ormoni in subbuglio, il mentore della droga, sembrano gli unici motori dei teen-ager, secondo un luogo comune cinematografico che vorrebbe imitare la vita ma finisce per diventare un modello da seguire. Ampiamente scontato anche il conseguente mea culpa attribuito a genitori e istituzioni sociali. Sembra che un ragazzo debba trombare senza sosta o morire vergine per trovare spazio tra i fotogrammi di un film o nelle pagine di un libro. Forse la via di mezzo e’ cosi’ poco spettacolare da risultare non vendibile: non genera miti o sufficiente sdegno. Sta di fatto che l’ennesima spettacolarizzazione delle pulsioni giovanili in salsa glamour produce un vago senso di fastidio e aggiunge poco ad un universo, sicuramente contradditorio, ma in cui, grazie al cielo, sopravvivono ancora le sfumature.

Luca Baroncini (da www.spietati.it)