Scheda film
Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Rob Zombie
Fotografia: Brandon Trost
Montaggio: Glenn Garland
Scenografie: Jennifer Spence
Costumi: Leah Butler
Musiche: John 5, Griffin Boice
Suono: Dan Snow
USA, 2012 – Horror – Durata: 101‘
Cast: Shri Moon Zombie, Bruce Davison, Jeffrey Daniel Phillips, Ken Foree, Dee Wallace, Meg Foster, Maria Conchita Alonso
Uscita: 24 aprile 2013
Distribuzione: Notorious Pictures
Heidi Hawthorne, una DJ di Salem, Massachusetts…
Heidi Hawthorne, una DJ di Salem, Massachusetts, riceve un LP di un misterioso gruppo che si fa chiamare “The Lords”. Dopo aver trasmesso il disco durante il suo programma radiofonico, alcune ascoltatrici entrano in stato di trance e la stessa Heidi inizia ad avere delle visioni in cui rivive il passato della cittadina. Mentre il confine tra realtà e allucinazione si fa sempre più labile, i “The Lords”, ormai ribattezzati “The Lords of Salem”, annunciano uno spettacolare concerto in città.
Dopo i due Halloween, in cui era costretto entro una rigida struttura da rispettare, Rob Zombie torna con un progetto più personale, in cui poter riversare tutto il suo amore per il cinema dei gloriosi Seventies. Le streghe di Salem è solo l’ultimo tassello di una serie di film che potremmo definire “retrohorror”, variante cinematografica del retrogaming. Non è solo un omaggio al cinema di oltre un trentennio fa, ma insegue a tal punto il mimetismo da sembrare effettivamente girato negli anni ’70, disco in vinile compreso.
I processi alle streghe che sconvolsero Salem negli anni 1692-93 sono stati variamente interpretati nel corso degli anni, sia da un punto di vista antropologico che psicoanalitico, e persino reinterpretati come metafora del maccartismo nel memorabile “Il Crogiuolo” di Arthur Miller, che godette anche di due trasposizioni cinematografiche. Ovviamente a Rob Zombie interessa giocare pesante, ed è quindi attratto unicamente dal versante esoterico della vicenda; le sue streghe, orrende megere che sembrano vomitate da un’incisione di Albrecht Dürer, avrebbero provocato una scarica di endorfine nel Reverendo Cotton Mather, Puritano di lovecraftiana memoria, o, andando indietro nel tempo, nei probi domenicani che stilarono il “Malleus Maleficarum”. Come nella migliore tradizione, il fine ultimo della congrega è preparare la strada all’avvento dell’Anticristo, con buona pace della Wicca e dei contemporanei movimenti New Age, in tutt’altre faccende affaccendati.
Rob Zombie, da musicista metal (heavy o alternative poco importa), si nutre di un immaginario pseudosatanista tra Anton Szandor LaVey e l’Aleister Crowley rivisitato dal Kenneth Anger di Lucifer Rising, con l’obiettivo neanche tanto nascosto di scandalizzare i bigotti e gratificare il suo pubblico. Ha inoltre ben presenti alcuni riferimenti fondamentali, in primis il Roman Polanski di Rosemary’s Baby e L’inquilino del terzo piano, con una spruzzata di Ken Russell, da I diavoli a Stati di allucinazione, nelle sequenze dichiaratamente oniriche e un pizzico del Mario Bava di La maschera del demonio. Questo potrebbe far pensare a un cinema derivativo e ripiegato su se stesso, invece il regista ha talmente rimuginato tutte le suggestioni di cui si è nutrito da aver riproposto qualcosa di molto peculiare, come del resto era accaduto con La casa dei 1000 corpi e La casa del Diavolo, figli dell’accoppiamento degenere tra Sam Peckinpah e Tobe Hooper. Del resto l’intento riepilogativo è dichiarato esplicitamente, a partire dalla gigantografia che campeggia nell’appartamento di Heidi, ovvero un fotogramma de Le voyage dans la lune di Mélies. Il primo vagito del cinema “fantastico”, che può essere assimilato a quello dell’obbrobriosa creatura partorita dalla protagonista, da cui tutto ha avuto origine e che perciò è lecito assumere come punto di partenza, assieme a tutto quello che ne è seguito. Rob Zombie, insomma, come un piccolo, scatenato “Hugo Cabret” dell’horror, che corre a perdifiato tra gli ingranaggi della macchina-cinema.
Le cupe atmosfere dell’autunnale cittadina di Salem rammentano un piccolo capolavoro “occulto” degli anni ’70, Messiah of Evil (1973) di Willard Huyck, mentre lo stabile in cui abita Heidi fa sembrare l’Overlook Hotel un ridente luogo di villeggiatura; le tre inquiline, tra cui si segnala la Patricia Quinn di Rocky Horror Picture Show, hanno la sinistra soavità dei coniugi Castevet, premurosi abitanti del Dakota Building, e si resta inoltre con il dubbio se il cognome della protagonista, Hawthorne, non voglia alludere a quel Nathaniel Hawthorne che ne “La casa dei sette abbaini” e in innumerevoli racconti cercò di venire a patti con il senso di colpa generato dai delitti dei padri e dall’oscuro passato del New England.
Non tutto funziona alla perfezione, dato che in un horror tutto d’atmosfera e sostanzialmente antinarrativo il subplot che vede protagonista Francis Matthias, uno studioso di storia locale, ha tutta l’imprevedibilità di un telefilm da seconda serata, mentre il finale appare a dir poco affrettato, forse per problemi di budget. Ma tra prelati sporcaccioni, epifanie demoniache e Sheri Moon Zombie che cavalca un capro con i dreadlocks al vento, c’è ancora spazio per un’ultima provocazione, accompagnata dalla ieratica voce di Nico che salmodia “All Tomorrow’s Parties”.
Sheri Moon Zombie non sarà un’attrice eccelsa, ma ha il fisico del ruolo sia come DJ in via di disintossicazione dalle droghe, che come vestale posseduta dalla musica sinistra e ipnotica di John 5 e Griffin Boice. E per i coniugi Zombie, ora e sempre, “Sympathy for the Devil”.
Voto: * * *¼
Nicola Picchi
#IMG#Il film si apre su una Salem seicentesca…
Il film si apre su una Salem seicentesca in cui un gruppo di streghe mal ridotte invoca il Signore del Male. Mentre i loro canti e le loro grida inquietano la gente che abita Salem e in particolare il reverendo, uno dei giudici che le condannerà a morte, una deejay che vive nella Salem del terzo millennio viene coinvolta in una discesa verso gli inferi senza alcuna possibilità di resistere al suo destino. Heidi, infatti, è una deejay rockettara che lavora in una radio locale insieme ad altri due ragazzi con i quali forma un trio. La loro trasmissione parla di libri e musica satanica o ai limiti del satanico e un giorno ricevono una scatola di legno con all’interno un disco che una volta suonato ipnotizza Heidi, riportandola nella Salem del ‘600. Gli autori del disco sono i Signori di Salem, che terranno un concerto nella cittadina da lì a qualche giorno. Il disco ha successo e mentre tutti attendono i Signori di Salem, Heidi inizia la sua trasformazione venendo mentalmente e fisicamente rapita dal Male.
Il male come fusione fra l’orrido e l’iconoclasta si manifesta nella vita di Heidi che viene tramortita e poi plagiata dal diavolo e dalle streghe, che morte 400 anni prima, ritornano a manifestarsi nella Salem moderna. Il film atteso nella speranza che segnasse una nuova sperimentazione del genere horror firmato Rob Zombie, nella prima parte è troppo lento mentre nella seconda parte rappresenta un interessante cambiamento nella cinematografia del regista americano. Lasciando perdere i riferimenti sociologici ai vari massacri che si sono susseguiti nella storia americana, si tratta di un film che non risparmia scene truculente ma che sviluppa soprattutto una trama intrecciata su tre livelli: la vita di Heidi, protagonista e moglie del regista, la Salem del 1692 con il suo tributo di sangue alla caccia delle streghe, e la manifestazione del male che coinvolge Heidi trascinandola in un’altra dimensione, dove l’onirico si intreccia con il reale in un incubo senza fine.
Voto: * * *
Fulvio Caporale
Salem in zucca
Heidi Hawthorne (Sheri Moon Zombie), una rinomata deejay della radio locale di Salem, riceve un giorno in redazione un misterioso vinile firmato dal fantomatico gruppo de “I signori di Salem”. Trasmesso via etere, il disco le causa – come a molte altre ascoltatrici a distanza – curiosi disturbi, quali una specie di trance ipnotica, conseguente emicrania e l’inizio di una serie di inquietanti allucinazioni. Per capirci qualcosa la ragazza si reca dall’esperto Francis Matthias (Bruce Davison), autore di un libro su ciò che sembra soltanto folklore locale.
Quello che la povera Heidi ignora è che il mittente del long-playing è una congrega di streghe, emuli di quelle condannate al rogo centinaia di anni prima da un suo lontano avo inquisitore, le quali cercano in lei vendetta, ma anche il compimento di un antico, diabolico disegno…
Il musicista Rob Zombie si è ormai dato da una decina d’anni al cinema, realizzando già prima di questo ben altri quattro lungometraggi live-action. Il Rob Zombie regista, profeta di una sorta di “nouvelle vague” del genere, si fregia di girare esclusivamente dei “vetero-horror”, che rifuggono l’effetto digitale, privilegiando atmosfere e trucchi più o meno vecchi, quali anche gli animatroni: infatti, dopo La casa dei 1000 corpi ed il relativo seguito La casa del diavolo, che si ispiravano chiaramente alla famiglia omicida di Non aprite quella porta, si è dedicato al remake del carpenteriano Halloween, dirigendone anche il capitolo secondo, trasformando così il rifacimento in reboot, trasfondendo nuovo sangue alla saga.
Con questo Le streghe di Salem porta alle estreme conseguenze le sue convinzioni, omaggiando in un solo film decenni di horror mondiale, tra cui spiccano l’Argento di Suspiria, il Bava de La maschera del demonio, il Fulci di L’aldilà e Demonia ed il Polanski di Rosemary’s baby e L’inquilino del terzo piano.
Non pago di tutto ciò, trascina nella sua opera(zione) vere e proprie icone del genere fantastique: il Bruce Davison dei primi due X-Men di Synger (e dei film ribelli degli anni settanta), la Judy Geeson di Inseminoid e L’assassino di Rillington Place n. 10, l’invecchiatissima Meg Foster di Essi vivono e Leviathan, la Patricia Quinn di The Rocky Horror Picture Show, il Ken Foree di Zombi e Knightriders, la Dee Wallace de L’ululato, di E.T. e di Cujo, la Maria Conchita Alonso de L’implacabile e di Predator 2 ed infine – ma l’elenco potrebbe continuare – il Sid Haig dei primi due film dello stesso Zombie.
La pellicola è una lenta, cupa e lunga discesa agli inferi, una messa nera estremamente visionaria ed iconoclasta, ricca di “coraggiose”, se non spudorate scene blasfeme che la avvicinano più spesso al mondo della video-arte che all’universo cinematografico tout-court: preti che si sottopongono a fellatio da incubo, mostruosi vescovi che si masturbano falli palesemente finti, croci proposte in tutte le salse e neo-madonne demoniache sono solo alcune delle sue deliranti invenzioni.
In una Hollywood, ma non solo, in cui il cinema dell’orrore è diventato un simpatico baraccone pullulante di blockbuster divertenti ma innocui, i film di Rob Zombie, come questo fastidioso, irritante, ma realmente affascinante Le streghe di Salem, sono linfa salvifica non solo per il genere ma anche per l’intera settima arte.
Onore al merito quindi alla Notorious Pictures che dal 1° maggio 2013 lo porta audacemente in un considerevole numero di sale e senza censure in un paese come il nostro, che vive da sempre all’ombra del Vaticano.
Voto: * * *½
Paolo Dallimonti