Prendete un illustre sceneggiatore (Christopher McQuarrie, vincitore dell’Oscar per lo script de “I soliti sospetti”) alla sua opera prima. Aggiungete due attori: uno glamour (Ryan Philippe) nel disperato tentativo di scrollarsi di dosso l’aura di “bambolo” tenacemente conquistata; l’altro fresco di Oscar (Benicio Del Toro) con la faccia giusta ma la stessa espressione stampata per tutto il film. Non dimenticate l’icona “born killer” degli anni novanta (Juliette Lewis) in cerca di un rilancio internazionale dopo un periodo poco felice.
Condite il tutto con una sceneggiatura volutamente ambigua e poco chiara nello snodo narrativo dei personaggi, attenta a spiazzare lo spettatore ma ben lontana dall’appassionarlo. Infarcite l’azione di dialoghi paradossali di smaccata matrice tarantiniana e abbondate con le citazioni, che in piu’ di un’occasione sembrano essere l’unico vero motore della storia.

A questo punto cosa manca, beh, un’aura di perdente santità che vorrebbe trasmettersi dai personaggi allo spettatore, qualche caduta nel trash, una lunga serie di agguati e sparatorie, un po’ di cinica violenza, l’ennesimo confronto tra una micro-criminalità di strada tutto intuito e squallidi motel e una macro-criminalità molto tecnica e iper-organizzata che discute con calma apparente in ville mozzafiato.
Il risultato e’ “Le vie della violenza”. Troverà estimatori perché e’ ben girato e, nonostante tutto, sceneggiato con cura, ma la sua forzata originalità si riduce a maniera e, soprattutto, non arriva a coinvolgere, lasciando una sensazione di tedio e di compiaciuto gioco per “cinephiles”.

Luca Baroncini