Scheda film
Regia: Tom Hooper
Soggetto: dal musical di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil, basato sul romanzo di Victor Hugo
Sceneggiatura: William Nicholson
Fotografia: Danny Cohen
Montaggio: Chris Dickens
Scenografie: Eve Stewart
Costumi: Paco Delgado
Musiche: Claude-Michel Schönberg
G.B., 2012 – Musical – Durata: 158′
Cast: Hugh Jackman, Russell Crowe, Anne Hathaway, Amanda Seyfried, Helena Bonham Carter, Sacha Baron Cohen, Eddie Redmayne
Uscita: 31 gennaio 2012
Distribuzione: Universal Pictures
La Musica Del Cuore
«Who am I?/ […] Can I conceal myself for evermore?/ […] My soul belongs to God, I know/ I made that bargain long ago/ He gave me hope when hope was gone/ He gave me strength to journey on». Sono le parole cantate da Jean Valjean (Hugh Jackman), il prigioniero 24601. In un crescendo di presa di coscienza dove le domande interiori si rincorrono, capiamo come Valjean non sia un mero numero, ma un uomo che nel suo errare ha ricevuto misericordia e impara a ridonarla nel corso della sua esistenza.
Non si poteva non partire da una domanda chiave nel romanzo di Victor Hugo e resa ancora più ricorrente ne Les misérables di Tom Hooper – adattamento cinematografico del celebre e longevo musical scritto nel 1980 dai compositori francesi Claude-Michel Schönberg (musica) e Alain Boublil (libretto). Ogni personaggio “miserabile” – compresi gli individui che animano la folla – consciamente e non, chi più chi meno, porta con sé questa domanda; spetta però emblematicamente a Valjean esplicitare un filo rosso che attraversa la sua vita di singolo uomo dipanando una parabola intrisa e allo stesso tempo parallela alla Storia con la “s” maiuscola. Grazie a una sequenza iniziale mastodontica il regista inglese ci immerge nella Toulon del 1815, tra i prigionieri condannati ai lavori forzati c’è il n° 24601 mentre dall’altra parte della barricata c’è l’ufficiale Javert (Russel Crowe); bastano il vigore e la carica iconica di “Look down” a restituirci la tensione tra i due uomini: l’uno costretto a rubare per la sopravvivenza, l’altro fedele esecutore di una legge che lo governa talvolta fino a schiacchiarlo. Non tutto però è bianco e nero e Hugo in origine, Hooper ora, ci mostrano un incipit dove i due protagonisti motore della narrazione sono in marcata opposizione; ma, in una storia che non si ripiega mai su se stessa, attraverso scontri e incontri la natura umana è pronta a rivelare quanto il confine tra buono e cattivo sia labile e non sempre così definito e definibile.
Se Hugo ha impiegato quindici anni per scrivere un’opera monumentale che desse vita alla Francia degli anni post Restaurazione in un arco di tempo che va dal 1815 al 1832, ci risulta riduttivo condensare in poche battute la trama di un capolavoro in cui indagine storica, tensione lirica e riflessioni esistenziali si intrecciano mirabilmente. Nel 1980 quel materiale così denso e apparentemente irriducibile è approdato sulle tavole di un palcoscenico sottoforma di musical (curato dal regista francese Robert Hossein) e oggi l’epopea dei miserabili può rivivere sullo schermo forse nell’accezione più di opera piuttosto che di musical se teniamo conto della quasi totale assenza delle coreografie. Il regista de Il discorso del re sembra far suo un pensiero che Hugo scrisse anni prima de “I miserabili”: «La musica esprime ciò che non può essere detto e su cui è impossibile rimanere in silenzio» (da “Canti del crepuscolo”, 1835). Dimostrando un coraggio non indifferente e supportato dalla “perfect storm of actors” (perfetta tempesta di attori), Hooper sceglie di far cantare gli interpreti dal vivo dando loro la possibilità di scandire il tempo e di conservare una spontaneità della recitazione che col playback si sarebbe persa per strada ancor più in una pellicola in cui la musica del cuore fa da padrona (pochissime sono, infatti, le battute). Traslare dalla letteratura al palcoscenico e da quest’ultimo al grande schermo implica una chiarezza di intenti, una conoscenza profonda delle potenzialità dei diversi mezzi di comunicazione, un’abilità nel far dialogare le varie arti e con loro gli spettatori; inutile negarlo, il rischio di creare un teatro filmato è sempre dietro l’angolo, ma il regista della serie tv John Adams non ci casca. Fedele al suo stile, giocando col grandangolo, le sfocature e le inquadrature volutamente decentrate, Hooper crea un perfetto e delicato equilibrio tra le scene dal respiro epico e quelle più intime realizzate con primi piani stretti, sfruttando così la forza cinematografica del primo piano con volti che bucano lo schermo guardando a tratti in macchina, così da rompere la quarta parete e instaurare un dialogo diretto con lo spettatore – indimenticabili l’empatia che Anne Hathaway crea con “I dreamed a dream”, un’interpretazione talmente intensa da far acquistare un nuovo spessore a qualcosa di noto (forse anche grazie allo spostamento del punto in cui Fantine canta questo brano: nello spettacolo avviene subito dopo il licenziamento dalla fabbrica, nel film dopo che la donna ha venduto il suo corpo lavorando nel bordello e ormai guarda dal fondo con occhi lucidi) così come la partecipazione emotiva scatenata da “On my own” cantata straordinariamente da Samantha Barks. Tutti, da Javert a Valjean e Fantine, da Cosette (A. Seyfried) a Marius (E. Reymane), da Eponine al piccolo e attivista Gavroche (D. Huttlestone) fino alla massa prendono il loro posto nella storia grazie a una presenza scenica in cui tutti sono a servizio del flusso di emozioni sgorgato dalla penna di Hugo. In una bilancia che pende tra Storia/Fato e homo faber fortunae suae, nulla ne Les misérables è lasciato al caso tanto che i dettagli possono diventare simbolo di una condizione interiore e/o storico-scoiale (vedi il Café Musain, ricostruito appositamente storto per restituire un aspetto precario, potenzialmente crollabile se una forza più potente fosse arrivata e così, d’altronde, accade a Marius e agli studenti rivoluzionari che proprio lì si riunivano). In quest’ottica di rimandi notiamo come la significativa apertura della pellicola con una bandiera francese (in parte strappata) che galleggia in acqua tracci una linea che emergerà – ora esplicitamente, ora come sottotraccia, ora come preludio – lungo tutto il film (degna di nota la scelta dei costumisti di giocare con i colori della bandiera francese: il rosso della giacca di Enjolras, il blu delle impiegate della fabbrica o il bianco di Valjean in un momento topico). Grazie ad un’architettura teatrale calibrata sulle peculiarità del cinema (vedi, ad esempio, l’uso frequente del campo-controcampo, le imponenti scenografie – qualche volta dal sapore artificiale – e l’uso del digitale), Hooper, lo sceneggiatore W. Nicholson e tutta la squadra di artigiani del cinema dimostrano di non dimenticare mai il sottile filo che deve legare la ricostruzione storica al pizzico di surreale trattandosi pur sempre di una messa in scena in cui dominano le canzoni.
Les misérables, guidato dal collante della musica, mixa i registri del melò con quelli dell’opéra-comique (i ruoli dei locandieri/ladri, Mr. e Madame Thénardier, interpretati da S. B. Cohen e H. B. Carter, si rivelano indispensabili nel gioco delle parti e dei toni). Gli occhi, le orecchie, il cuore, la mente godono della visione di un film che, fotogramma dopo fotogramma, fa vibrare lo spettatore suonando le corde dell’anima dei miserabili in una parabola che non è solo del singolo.
«Per i miserabili la speranza non muore mai. Anche la notte più buia non impedirà al sole di sorgere».
Voto: * * * *
Maria Lucia Tangorra
Epopea, musical epico, kolossal…
Epopea, musical epico, kolossal, i nomi per etichettare Les Misérables possono essere molti.
Si tratta di un’impresa titanica e coraggiosa quella del regista Tom Hooper (premio Oscar per Il discorso del re) di portare sullo schermo il successo teatrale dell’omonimo musical che vanta il primato assoluto nel mondo in termini di repliche, con una rappresentazione vista da più di 60 milioni di persone.
Ma, come dice lo stesso produttore storico del musical Mackintosh, “la musica narra in maniera davvero fenomenale” e sullo schermo difatti è protagonista assoluta: la musica è utilizzata nel film come elemento narrativo esclusivo. Lo sforzo del regista di non creare un semplice musical filmato, ma una reinterpretazione affinché sia ben adattato al cinema, è stato premiato: l’incredibile intuizione è stata quella di far cantare gli attori dal vivo, una performance live che ha reso le interpretazioni straordinariamente reali e naturali, e i momenti clou della storia sono di un’emozione viscerale. Magistrali le interpretazioni nel canto e nella recitazione di Hugh Jackman e Anne Hathaway: Jackman, che interpreta il personaggio di Jean Valjean, è camaleontico nei più di 30 anni di storia raccontata, interpreta una sorta di Achille, semidio per vigore e virilità imponenti, forza fisica ma anche forza interiore del perdono, un uomo dal grande animo che da delinquente e diseredato si redime mantenendo una promessa e seguendo un cammino illuminato da Dio; la Hathaway è parimenti di un’interpretazione straordinaria, nel ruolo di Fantine, la martire che per aiutare la sua piccola figlia Cosette vende la sua dignità e moralità scendendo letteralmente all’inferno. La canzone “I dreamed a dream” è commovente, ricorda quasi la Jean d’Arc di Dreyer, con il primissimo piano espressivo, il taglio corto dei capelli e uno sguardo profondamente disperato, forse meno combattiva perché arresa completamente al suo destino segnato.
Molto meno convincente Russell Crowe nei panni di Javert, la guardia che insegue Jean Valjean per una vita, con un’espressione sempre uguale a se stessa sia quando difende la legge sia quando ha i primi dubbi nel confondere ciò che lui ritiene il male con il bene.
Set colossali, scenografie imponenti, costumi curatissimi (circa 2.200 costumi), con la prestigiosa presenza sul set dei creatori delle musiche teatrali Schonberg e Boublin, ogni cosa evidenzia una cura maniacale al dettaglio, una buona abitudine che Tom Hooper condivide con Victor Hugo.
Romanzo sociale di tutti i tempi portato sullo schermo, Les Misérables racconta la passione, il sacrificio, la redenzione, l’amore, la giustizia sociale, la misericordia, l’amore.
Sullo sfondo le lotte degli studenti nella Parigi della Restaurazione, un rigurgito rivoluzionario che viene soffocato con lotte sanguinarie e sanguigne, ma che nella parte finale del film riemerge in tutta la sua energia con la barricata enorme popolata da migliaia di persone e da tutti i personaggi della storia che cantano trionfanti come nelle migliori rappresentazioni di rivoluzione francese, a ricordare il migliore dipinto di Delacroix, la libertà che guida il popolo.
Voto: * * * *
Vito Casale
Alcuni materiali del film:
Epic Scale – Les Mis’ Opening Number
Javert rilascia il prigioniero 24601
Dal palcoscenico al grande schermo: Javert rilascia il prigioniero 24601
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DIETRO LE QUINTE – CANTANDO DAL VIVO SUL SET DE LES MISÉRABLES (sottotitoli in italiano)