Titolo originale: L’Empire des loups
Regia: Chris Nahon
Fotografia: Michel Abramowicz
Montaggio: Marco Cavé
Anno: 2005
Nazione: Francia
Distribuzione: Medusa
Durata: 128′
Data uscita in Italia: 30 settembre 2005
Genere: noir
Schiffer Jean Reno
Mathilde Wilcrau Laura Morante
Jocelyn Quivrin Jocelyn Quivrin
AnnaHeymes Arly Jover

Il cinema francese, ed in particolare le produzioni Pathè e la Gaumont, ci hanno abituato negli ultimi periodi a kolossal-thriller-action di vaga matrice gotica, con forti riferimenti ad un’immaginario europeo ben riconducibile, a stili di vita, automobili, scenari, atmosfere ben presenti nell’immaginario collettivo, come per esempio una Parigi piovosa e che ben ostenta le geometrie dei suoi quartieri.
Kassowitz, Besson e fratellini ci hanno fatto vedere del cinema godibile e appetibile, sfruttando attori non sempre conosciuti, ma con un icona che buca lo schermo, ovvero Jean Reno. Anche la lezione di Simenon e le infinite combinazioni del rapporto uomo-donna in ambito drammatico e thriller hanno condizionato il cinema francese con
un’altra recente icona: Daniel Auteil.
Nel caso de “L’Impero dei Lupi” il risultato spettacolare è riuscito e le commistioni turche e medio orientali sono affascinanti e ben si collegano nel tessuto iconografico della storia, ma purtroppo non molto in quello della storia.
La voglia di raccontare troppo è palesemente evidente. Il film mette in tavola: “Lupi Grigi”, ovvero un associazione di uomini nazionalisti turchi (ma non erano anche bulgari?), dediti anche a traffici illeciti di vario tipo, poi ci sono poteri istituzionali dello stato che fanno esperimenti per coadiuvare operazioni di intelligence sul terrorismo, infine chirurgia plastica e un fantomatico serial killer, da cui comincia la storia, che si “perde” un po’ per strada ma lo troviamo nel finale, e sin dall’inizio c’è anche un Jean Reno ex(ex?) poliziotto(poliziotto?) ambiguo(ambiguo?) che coadiuva le indagini di un giovane commissario dedito a fare delle indagini su un killer (appunto) che sfregia in modo particolare le vittime, le quali hanno una certa somiglianza fra loro, sono sfigurate e torturate in modo singolare, quasi si trattasse di operazioni sul corpo ben studiate.
Il film lascia non perfettamente chiusi alcuni raccordi e quindi con un certo affanno si rende tutto credibile (o al limite della credibilità) e logico. Insomma, ci sono dei vuoti che rimangono tali nello svolgimento della storia, con psicologie talvolta non esaurientemente abbozzate, anche per film di questo tipo, ma comunque “L’Impero dei Lupi” si lascia vedere con un coinvolgimento e con delle scene di suspance e una certa curiosità per il dipanarsi della trama, che nel cinema italiano sono del tutto estranee. Pupi Avati recentemente ha affermato, con parole diverse, che un regista che non sia un grado di dare un brivido allo spettatore non è un regista che conosce bene il suo mestiere. In questo film il mestiere è impiegato con dovizia e gli attori ci “credono” ed offrono una buona prova.
Bisogna anche non stancarsi di puntualizzare che un film non deve necessariamente appesantirsi con ritratti minuziosi di psicologie; il personaggio deve “farsi conoscere”, ma in opere come questa non è necessario sapere tutto di tutti e approfondire ogni aspetto della vita dei personaggi; insomma, sostanzialmente va bene così, ma rimane il problema di aver voluto raccontare troppe cose e quindi alcuni personaggi e situazioni si perdono come rivoli che non raggiungono il “fiume” del racconto, e si fa fatica a far quadrare tutto nel cerchio della risoluzione del film, però è anche nella natura del cinema forzare la narrazione e gli aspetti logico-temporali.
L’ideale è “equilibrio”, ma meglio una fragorosa abbondanza di una sterile e povera trama, anche se “perfettina” o di un film stupidamente rigoroso nel suo sentirsi nato da una sceneggiatura di ferro…con la quale il fabbro-regista costruisce ben poche “frecce” ma tanti “pentolini” per soporifere tisane….

Gino Pitaro newfilm@interfree.it