Scheda film

Regia: Steven Spielberg
Soggetto: liberamente ispirato al libro “Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln” di Doris Kearns Goodwin
Sceneggiatura: Tony Kushner
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Michael Kahn
Scenografie: Rick Carter
Costumi: Joanna Johnston
Musiche: John Williams
Suono: Ryan Cole
USA, 2012 – Storico/Biografico – Durata: 150′
Cast: Daniel Day-Lewis, Joseph Gordon-Levitt, Tommy Lee Jones, Michael Stuhlbarg, Jackie Earle Haley, Jared Harris, Lee Pace
Uscita: 24 gennaio 2013
Distribuzione: 20th Century Fox

 Bianco e nero

Cinematograficamente parlando, lo avevamo lasciato nelle mani di Timur Bekmambetov lo scorso 20 luglio nelle vesti di un abilissimo e letale cacciatore di vampiri, protagonista assoluto della trasposizione dell’omonimo romanzo di Seth Grahame-Smith dal titolo Abraham Lincoln, Vampire Hunter. A qualche mese di distanza, per la precisione il 24 gennaio 2013, ritroviamo il sedicesimo Presidente degli Stati Uniti alle prese con la cruciale approvazione dello storico e controverso tredicesimo emendamento alla Costituzione per l’abolizione della schiavitù in Lincoln, un biopic a tutti gli effetti con il quale Steven Spielberg lo riporta su binari storicamente più veritieri rispetto alla geniale, quanto improbabile, rilettura semi-biografica in chiave action-fantasy firmata dal collega kazako.
Prima di loro, possiamo però annoverare illustri precedenti che in passato hanno fatto rivivere sulla pellicola l’esistenza pubblica e privata di Abraham Lincoln, a cominciare da Il cavallo d’acciaio di John Ford, western datato 1924 nel quale fece la sua prima comparsa sul grande schermo, seguito a ruota da David Wark Griffith che nel 1930 gli dedicò Il cavaliere della libertà, Clarence Brown con il suo Cuori umani del 1938, ancora Ford l’anno seguente con Alba di gloria e infine John Cromwell, che con Abe Lincoln in Illinois del 1940, regala alla storia della Settima Arte, anche grazie al suo interprete principale (Raymond Massey), il migliori film e il miglior Lincoln visto fino a questo momento. Primato, questo, che dopo aver assistito alla perfetta mimesi di Daniel Day-Lewis nei panni dell’intramontabile presidente americano, nella 28esima opera spielberghiana, ci sentiamo quantomeno di mettere in discussione. In tal senso, l’attore inglese mette in cassaforte l’ennesima prova maiuscola davanti alla macchina da presa in una carriera che lo ha già visto vincitore di due Oscar con Il mio piede sinistro e Il petroliere, candidandosi di diritto – e meritatamente – alla tripletta il prossimo 24 febbraio durante l’85esima cerimonia degli Academy Awards (nel frattempo si è già portato a casa il Golden Globe per il miglior attore protagonista drammatico), alla quale il film concorre con altre undici nomination. Daniel Day-Lewis regala alla platea una performance di quelle che da sole riescono ad elevare al quadrato un’opera, qualsiasi sia l’Arte alla quale appartiene. Camaleonticamente fa suo il personaggio, diventa il personaggio (come era già successo in passato con le superbe interpretazioni dello scrittore e pittore paraplegico Christy Brown ne Il mio piede sinistro, dell’ex promessa del ring, Danny, in The Boxer e il terrorista dell’Ira Gerry Conlon in Nel nome del padre), appoggiandosi a uno script che fa leva in primis sul singolo, ma si allarga a macchia d’olio su un coro greco efficacissimo che trasferisce sullo schermo la moltitudine di esistenze che hanno ruotato intorno alla figura di Lincoln, resi in maniera straordinaria da pezzi da novanta come Sally Field (Mary Todd Lincoln), David Strathairn (William Steward) e Tommy Lee Jones (Thaddeus Stevens). Insieme o singolarmente materializzano duetti o monologhi che lasciano il segno, fino a generare un fiume di parole e silenzi del quale il plot si alimenta narrativamente.
Di conseguenza, è lui l’assolo perfetto di una sinfonia orchestrata in maniera impeccabile da uno Spielberg che riemerge come una fenice dalle ceneri del pessimo War Horse. Le ambizioni epiche vengono qui soffocate da uno script che porta la firma del premio Pulitzer Tony Kushner (sua anche la sceneggiature di Munich), autore di un testo ispirato, solenne ma non agiografico né tendenzioso, che si concentra sugli ultimi mesi di vita di Lincoln, consumati storicamente quattro primavere dopo lo scoppio della Guerra di Secessione, ossia nel 1865, prima e poco dopo l’approvazione dell’emendamento fino alla tragica dipartita. Il punto di partenza è il libro di Doris Kearns Goodwin, “Team of Rivals: The Political Genius of Lincoln”, dal quale Kushner trae ispirazione per partorire una biografia classica che si fonde con il dramma in costume, a sua volta immersa in un nuovo e affascinante capitolo della storia secondo Spielberg. Lincoln è, infatti, l’ennesima tappa di un viaggio spazio-temporale nella memoria di una nazione (e non solo), che il regista statunitense nella sua filmografia ha percorso in lungo e in largo con: Amistad, Il colore viola, L’impero del sole, Salvate il soldato Ryan, Schindler’s List e i già citati Munich e War Horse. Con i primi due film, in particolare, condivide la tematica antirazziale, chiudendo con essi una sorte di ipotetica trilogia.
La scrittura è solida, come solida è la regia di Spielberg, che per l’occasione costruisce un’architettura stilistica più contenuta, ossia un approccio alla materia fondata su uno sguardo della macchina da presa più discreto, animato da lenti carrelli che assecondano e osservano i personaggi in azione, piuttosto che elaborati dolly o vorticose steadicam più appariscenti. Lo stile del cineasta americano si fa qui meno prepotente, la messa in quadro meno monumentale, perché Lincoln è un cinema di racconto e parola, più che di immagine ed estetica. Insomma, il tocco di Spielberg c’è, ma si fa intelligentemente più discreto, assecondando senza riserva alcuna la volontà del testo di non affacciarsi, se non nel prologo e nell’epilogo, sul campo di battaglia, preferendo all’orribile messa in scena della guerra gli interni delle cosiddette “stanze dei bottoni” ove si è decideva il destino dei tanti. L’odore della morte è comunque fortemente presente, lo si percepisce sempre e comunque, nonostante i massacri vengano lasciati fuori campo. Pochi lampi bellici, infatti, lasciano spazio alla meticolosa ricostruzione storica (la fotografia di Janusz Kaminski ricopre un ruolo determinante) e al genio politico di Lincoln, quest’ultimo raccontato in una veste inedita che travalica il solo ruolo pubblico, per mostrarci anche quello privato e intimo di padre e marito, ma soprattutto di un uomo non indistruttibile, persino fragile, tenero, incerto e dubbioso quando deve occuparsi delle dinamiche familiari. Spielberg rende visibili anche le sue paure inconsce, proiettando sullo schermo l’essenza di una persona con dei conflitti, divisa tra il bene di una nazione, dell’umanità intera e dei suoi cari, per questo più vicina a noi, per nulla mitizzata. Per questo sarebbe più corretto non parlare di un film di guerra, bensì sulla guerra e sul Potere.
Non raggiunge le vette di Schindler’s List, al quale ci sentiamo di affiancarlo più che a Salvate il soldato Ryan, così ricco di tensione, sapiente nei passaggi dal documento al romanzesco, dai momenti epici a quelli psicologici, ma è comunque un’opera prodiga di emozioni forti che rastrellano il cuore delle spettatore con una mistura coinvolgente di registri (c’è spazio anche per qualche sorriso). Nonostante sia la Storia stessa ad annunciarne gioie e dolori dell’epilogo, Lincoln è capace di tenere calamitate le persone alle poltrone grazie alla sapiente messa in scena della rocambolesca votazione che porterà all’abolizione della schiavitù, ma anche al modo in cui si è deciso di negare alla platea l’assassinio del sedicesimo presidente americano, raccontandolo da una prospettiva spiazzante.

Voto: * * * *

Francesco Del Grosso

Alcuni materiali del film:

Path to Freedom

Featurette Untold Story

Clip – Robert Pleads With Lincoln To Enlist

Clip – Mary Todd Lincoln And Thaddeus Stevens At The Ball

Trailer italiano

LIVE CHAT
SPOT TV

Il video integrale della live chat con Steven Spielberg e Joseph Gordon-Levitt che si è svolta il 13 settembre 2012, in occasione della prima mondiale del trailer del film