Regia: Costanza Quatriglio
Sceneggiatura: Costanza Quatriglio Fotografia: Aldo Di Marcantonio Scenografia: Paola Peraro Montaggio: Babak Karimi
Musica: Paolo Fresu Interpreti: Ignazio Hernandes, Veronica Guarrasi, Marcello Mazzarella, Erri De Luca
Italia 2003, colore, 97 min.

Esiste in Italia una tradizione di cinema per così dire “di mare”, un’identificazione iconografica che riposa su luoghi, sguardi e situazioni consolidate. Si tratta di opere che spesso ci pongono d’innanzi il povero paesino del Sud e la difficile esistenza della sua popolazione, costretta a fare i conti con la povertà e la necessita di procacciarsi giornalmente, per sé e per le proprie famiglie, il pane (o, come più spesso accade, il pesce). Le difficoltà, le insicurezze ma anche quella sotterranea area di fascino che permea la figura del pescatore hanno da sempre destato l’interesse dell’artista, secondo un filo sottile che, dispiegatosi sin dai tempi dei “Malavoglia”, è passato attraverso quell’opera fondamentale del neorealismo italiano che è “La terra trema” di Visconti, peraltro debitrice nei confronti del romanzo verghiano, sino a giungere ai nostri giorni e permeare un cinema italiano contemporaneo sempre alla ricerca delle sue radici. Penso ad opere quali “Tornando a casa” di Marra oppure allo splendido “Respiro” di Crialese. Non ultimo questo “L’isola”, opera prima della giovane (30 anni) Costanza Quatriglio, la quale ha certamente tenuto conto di questa eredità di immaginario, se è vero che il film si svolge per intero su di un’isola al largo delle coste di Trapani. L’approccio dello spettatore alla storia ed ai rituali arcaici della vita di mare viene fatto coincidere con lo sguardo dei due ragazzini, protagonisti di un film nel quale l’ingenuità ma anche la purezza dell’adolescenza posseggono un ruolo centrale. Anche da un punto di vista stilistico, la scelta di generosi girati di macchina a mano suggerisce una certa instabilità, la sensazione di muoversi in un mondo di regole secolarmente consolidate nel quale si fatica ad amalgamarsi, una sensazione propria tanto dello spettatore metropolitano quanto appunto dell’adolescente in attesa di essere svezzato. Questo stare dalla parte dei bambini è anch’esso un tratto caratterizzante di certo nostro cinema recente (penso a “Io non ho paura”), un approccio indicatore di notevole sensibilità per chi si trova a fare i conti con una Storia e con delle storie a lui in qualche modo estranee, e delle quali cerca di penetrarne i segreti. Le singole tematiche sviluppate dal film sono risapute; l’adolescenza, i primi amori, il trovarsi di fronte per la prima volta ai doveri, al duro lavoro, ma anche l’eterna e struggente poesia del mare. Connotate di un marcato realismo molte scene, fra le quali un plauso va alla mattanza dei tonni, con gli animali imbrigliati nelle reti che cercano di sottrarsi ad un amaro destino e finiscono letteralmente in un mare di sangue, un sangue vero, col quale l’autrice pare rivendicare una concretezza, una purezza del cinema a fronte dei litri di finto plasma versato nei tanti film d’azione che dominano l’odierno immaginario cinematografico. Bella anche la controversia tra i due protagonisti sulle distinte professioni del marinaio e del pescatore, che in epoca di globalizzazioni rivendica l’autenticità di professioni tradizionali che posseggono al loro interno valori forse oggi accantonati, sintomo di un lavoro che nobilita e rende orgogliosi di sé. D’accordo, niente di nuovo, e forse questo è il limite maggiore del film, che scade un po’ nella sua scelta di mostrare e non di raccontare, connotare più i personaggi che le vicende, scadendo un po’ in originalità per l’assenza di eventi in grado di scuotere o impressionare lo spettatore. Inoltre l’instabilità dell’inquadratura denota, metaforicamente, una qual mancanza di polso nel costruire visivamente alcune scene. Se la regista palermitana si fosse fatta dare una mano nella stesura della sceneggiatura forse il film ne avrebbe giovato, ma si tratta pur sempre di un’opera prima ed in futuro margini di miglioramento sono a buona ragione auspicabili.

Mauro Tagliabue