Regia, Soggetto e Sceneggiatura: Julio Medem
Fotografia: Kiko de la Rica
Montaggio: Iván Aledo
Scenografie: Victor Molero
Costumi: Estibaliz Markiegui
Musiche: Alberto Iglesias
Suono: Agustín Peinado
Spagna/Francia, 2001 – Drammatico – Durata: 128′
Cast: Paz Vega, Tristán Ulloa, Najwa Nimri, Daniel Freire, Elena Anaya, Silvia Llanos, Diana Suárez
Uscita: 17 aprile 2003
Distribuzione: Fandango

Recensione n.1

Altro caso di film schizofrenico …

Altro caso di film schizofrenico (solo in apparenza, stavolta): vado al cinema aspettandomi un bel filmone spagnolo turgido e torrido con tanti paesaggi soleggiati e tante trombate in bella evidenza. E cosi` per i primi venti minuti, anzi la regia e` talmente patinata da risultare irritante: i colori di Formentera, i corpi degli amanti impegnati in un coito a pelo d’acqua, la fotografia perennemente sovresposta e i contrasti sparati al massimo. Viene voglia di uscire dal cinema.

Poi invece la trama si complica, e ad un certo punto non si comprende piu` bene quale sia la realta` del film e quale quella del romanzo che il protagonista Lorenzo sta scrivendo. Entrambe le realta` coesistono e corrono parallele, diversi piani temporali si intersecano fino a far fare alla diegesi del film la stessa capriola che avviene a quella del romanzo. E` un’idea affascinante e portata sullo schermo degnamente, al punto che il dubbio resta: tutto cio` che abbiamo visto se l’e` immaginato Lorenzo mentre sedeva alla tastiera del suo computer?

E poi ci sono degli attori straordinari, una sceneggiatura melodrammatica al punto da far storcere il naso (ma si tratta pur sempre del romanzo di Lorenzo!) e una regia, in alcuni punti, straziante. I paesaggi e le patinature dell’inizio assumono ben presto connotati espressivi precisi, fino a quando il film diventa una rappresentazione affidabile dell’influenza del sesso sulla vita di ognuno dei personaggi.

Montaggio strepitoso. Tenere le fila di un racconto simile per due ore non deve essere stato affatto semplice. “Lucia y el sexo” e` un film onirico e sensuale, e soprattutto bello, bello, bello: i corpi degli attori, la natura, i vestiti, i cibi (che giocano un ruolo importante). Da non perdere, e magari raccomandabile per una seconda visione per ricostruire tutti i dettagli non notati la prima volta.

Claudio Castellini

Recensione n.2

Uno scrittore in crisi…

Uno scrittore in crisi creativa trova ispirazione nell’amore di una bella sconosciuta, ma il passato e’ in agguato ed e’ pronto a tornare per una resa dei conti (non) definitiva, sospesa tra realta’ e fantasia. “Non siamo altro che destino” sembrano dire i protagonisti, ma a dirigere questo pasticcio, che arriva in Italia con due anni di ritardo dopo avere mietuto successi un po’ ovunque, non ci sono Claude Lelouch o Pedro Almodovar, abili nel coniugare il dramma con la commedia, il concreto con l’evanescente, ma l’aspirante demiurgo Julio Medem. Gli elementi per costruire un intreccio appassionante ci sarebbero. Si parla di eros, arte, mistero, ma non si va oltre una superficie che evoca stati d’animo senza riuscire a trasmetterli, ne’ ai personaggi, marionette dai fili impazziti che imitano una vitale follia ma non la penetrano, ne’ tantomeno allo spettatore. Mancano infatti, nella progressione per accumulo elaborata dal regista, la magia, il fluido, l’alchimia, in poche parole l’essenza del cinema, che ha il potere di rendere grande ogni storia e credibile qualsiasi incongruenza. L’atmosfera onirica che permea il racconto non nasce spontanea dai protagonisti e dal loro interagire, ma e’ forzata dalla regia e dalla sceneggiatura, con incastri e lune velate tanto banali quanto inutili. L’amour-fou, la fatalita’, la liberta’, non diventano quindi mai irrazionali e soffocano sotto il peso della insensatezza. Dialoghi risibili ed enfatici, poi, infarciscono amplessi (forse la cosa migliore del film), nudita’ e brulli paesaggi, appesantendo la visione e ridicolizzando sul nascere qualsiasi emozione.

Tutto risulta percio’ gratuito, dagli sviluppi narrativi, con i personaggi sviliti a pedine di un gioco in scatola, allo stile visivo, con una onnipresente fotografia desaturata che finisce per uniformare le immagini appiattendone ogni implicazione. Nonostante la complessita’ della costruzione narrativa, con continui rimandi tra i diversi livelli del racconto, lo spettatore, pur spaesato, non resta mai sorpreso e la geometria artificiosa degli improbabili incontri/scontri crea un melodramma raggelato. Ha meno pretese e diverte di piu’ una telenovela. Resta la bellezza della protagonista, la neo-diva Paz Vega, unico vero traino a un film che si presenta tanto ambizioso quanto vacuo e irritante.

Luca Baroncini di www.spietati.it